Sono ormai decenni che si dà la colpa ai lacci, lacciuoli, lentezze e complicazioni della burocrazia se fare impresa è spesso un “calvario”, al punto che tanti imprenditori o rinunciano a crescere o addirittura smettono l’attività. Il termine burocrazia etimologicamente ha una radice francese e una greca, in quanto deriva dal francese bureau (ufficio) e dal greco Krátos (potere).

In un tempo dove le semplificazioni e le euristiche hanno il sopravvento, e le incertezze sul futuro hanno raggiunto la configurazione del distopico, volontariamente o involontariamente, sia a destra che a sinistra, si auspica l’avvento dell’uomo forte e cresce un certo fastidio per la repubblica e la democrazia. Forse la storia non si insegna nelle scuole con la dovuta qualità e la memoria degli anziani si ascolta ormai poco, ma ci si è dimenticati quanto sia durato il percorso che ci ha portato ad essere uno Stato di diritto, e quanto inalienabile e preziosa sia la libertà.

Le Costituzioni dei Paesi occidentali, le leggi, le norme, la struttura dello Stato e la cultura scientifica e umanistica sono l’unica garanzia possibile per la tutela dei diritti e della libertà di ogni cittadino. L’apparato burocratico italiano altro non fa che garantire il funzionamento dello Stato, proteggendolo da possibili incursioni della politica locale e nazionale, e da ogni forma di abuso. I burocrati sono dipendenti pubblici protetti dai licenziamenti facili e dai trasferimenti punitivi proprio per evitare possibili rappresaglie di imprenditori e politici.

Per continuare a difendere l’ordinamento repubblicano democratico è necessario però che l’apparato burocratico si dia un’etica e che il licenziamento irrevocabile per grave negligenza non sia più un tabù. Il meraviglioso film “Quo vado?“ di Gennaro Nunziante, interpretato da Checco Zalone, rappresenta, forse meglio di ogni altro, la brama per il posto fisso nell’amministrazione pubblica.

Al cittadino medio italiano il dipendente pubblico appare come appartenente ad una casta intoccabile, e ciò crea un fastidio crescente che rappresenta per la democrazia e la libertà un enorme pericolo. Spesso anche nelle imprese private, nazionali o multinazionali che siano, alcuni impiegati, spesso amministrativi, assumono il modus vivendi e operandi dei rispettivi dipendenti pubblici.

I dipendenti pubblici italiani sono, secondo stime del 2016, circa 3.200.000 su una popolazione di 25 milioni di occupati. Lo Stato, anche in onore dell’articolo 3 della Costituzione italiana che recita che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, dovrebbe agire per ridurre la frattura comportamentale che si è creata tra lavoratori pubblici e privati attraverso un processo di riqualificazione professionale ed etica dei dipendenti pubblici, senza in alcun modo intaccare l’enorme valore che ha la burocrazia in un Paese democratico.

Un burocrate, dirigente e semplice impiegato che sia, deve rispondere della sua produttività ed argomentare il perché degli ostacoli e le bocciature che riserva alle imprese e ai semplici cittadini esattamente come avviene nel privato. Succede a volte che i problemi che il singolo impiegato pubblico pone alle imprese siano incontestabili perché le leggi e le norme locali e nazionali vengono scritte dal legislatore o dai ministeri con un ampio margine di discrezionalità. Un impiegato non proprio “sereno” può utilizzare tale discrezionalità per esercitare la sua voglia di potere. Anche se un po’ volgare, il proverbio siciliano “U cummannari è megghiu di futtiri” fa capire che anche i piccoli esercizi di potere sono molto appaganti per la natura umana.

Per far di nuovo innamorare l’opinione pubblica alle regole della democrazia di uno stato repubblicano, e in tal modo non buttare alle ortiche secoli, se non millenni, di conquiste civili e la libertà di ogni cittadino, è giusto suggerire delle soluzioni e stimolare un dibattito in modo da non scivolare nella pericolosa semplificazione di auspicare la fine della burocrazia in nome di un più rapido progresso. Propedeutico a tutto è il ricordare e insegnare l’articolo 3 della Costituzione italiana che sancisce come tutti i cittadini italiani sono soggetti agli stessi diritti e agli stessi doveri, e che non esistono persone di serie A o di serie B.

In secondo luogo, quando il legislatore scrive o semplicemente recepisce leggi e norme, dovrebbe farlo riducendo all’indispensabile la discrezionalità nell’interpretazione ed eliminando tutti i provvedimenti legislativi più vecchi che potrebbero creare contraddizioni con quello che si sta varando.

Non ultimo in ordine di importanza è il ricordare che l’essere un dipendente pubblico, e quindi titolare di un posto di lavoro di fatto inalienabile, è sì un privilegio che va però meritato ogni giorno, e che comunque è un costo a carico della collettività. Un percorso non ideologico verso la “sburocratizzazione” dello Stato deve essere gestito con molta prudenza e sicuramente non direttamente dai politici o da chi dipende strettamente dalla loro nomina.

Affidare a privati alcuni servizi burocratici non delicati per la gestione della cosa pubblica può essere una buona scelta. Può anche essere legittimo che la principale motivazione che spinge a cercare un posto fisso pubblico sia la sicurezza, a patto che sia chiaro che comportamenti negligenti come l’allontanarsi ingiustificatamente dal posto di lavoro, o una ridottissima produttività, possono essere validi motivi di licenziamento o trasferimento anche a lunghe distanze, come del resto avviene normalmente per i lavoratori privati.

Uno Stato non può permettersi una scarsa produttività di 3,2 milioni di lavoratori pubblici o, peggio ancora, che per motivazioni a volte discutibili impediscono alle imprese o ai lavoratori privati di lavorare e progredire.

Cito ancora volentieri, perché mi ha molto colpito, una delle numerosi frasi che ha rivolto il Prof. Giovanni Bittante nel corso della cerimonia di commiato dal suo impegno universitario per sopraggiunti limiti d’età sul fatto che lo stipendio di un dipendente pubblico è pagato dai cittadini e pertanto l’obbligo di gratitudine per questo è senza dubbio importante.