Ogni azienda affronta, per fortuna poche volte nella propria storia, alcuni tipi di operazioni straordinarie che hanno lo scopo di ridefinire l’assetto proprietario e le responsabilità gestionali. 

È una situazione che si verifica quando una parte della proprietà, tipicamente uno dei fratelli, per i più svariati motivi, desideri uscire dall’attività (o venga invitato a farlo…).   

Le situazioni sono le più varie e pure le condizioni a contorno possono presentare caratteristiche di forte differenza.

L’elemento di fondo è di riuscire a trovare una sintesi tra esigenze che possono essere contrapposte.

Chi esce, ha la legittima aspirazione di attribuire il massimo valore al contributo che ha dato durante una vita di lavoro. Chi prosegue, ha l’esigenza di trovare le risorse finanziarie per liquidare la quota di proprietà di chi esce e di non appesantire per gli anni a venire la gestione aziendale con le eventuali rate di mutuo necessarie all’operazione. 

È noto a tutti che si tratti di operazioni estremamente delicate, sia per i risvolti di relazioni umane, sia per gli aspetti economico-finanziari che da esse derivano.

Ho incontrato più di un’azienda reduce da operazioni di questo tipo che non esito a definire sciagurate. Chi esce attribuisce un valore elevatissimo alla propria quota e da quello non si schioda. Chi prosegue e rileva la quota, parte dal presupposto che “Dio me l’ha data e guai a chi me la tocca”, quasi fosse l’unica azienda al mondo dove si possa fare un buon lavoro. In questo modo il piano è già inclinato e c’è una discreta probabilità che la parte che prosegue possa inguaiarsi per i decenni a seguire. 

Pur comprendendo il legame affettivo che si crea con luoghi e spazi cari e familiari, mi parrebbe più saggio pensare che, in quei luoghi ed in quegli spazi, per quanto carichi di significati, si svolge un’attività. 

Il punto di partenza, se abbiamo la possibilità di essere lucidi, è esattamente questo: può l’attività agricola che proseguirà e si svilupperà sopportare l’operazione straordinaria che mi accingo a fare?

Purtroppo, in non poche occasioni, prevalgono motivazioni emotive quali l’orgoglio, il desiderio di portare avanti una sorta di lascito familiare, fino a giungere ad un vero e proprio delirio di onnipotenza. 

L’attività agricola, è bene ribadirlo, oltre che di passione, vive di regole tipiche di ogni attività economica: la passione non sostituisce le valutazioni di sostenibilità.

Aggiungo che, viste a posteriori, se richiesto, avrei decisamente sconsigliato alcune operazioni di riassetto proprietario. 

Proviamo a considerare quanto possa essere difficile, per un’attività che prosegue, farsi carico di importanti quote finanziarie senza modificare la struttura del reddito dell’azienda. Né le vacche né i campi si accorgono che sia cambiato l’assetto proprietario: non vengono dal notaio con noi. Ciò che erano ieri, saranno anche domani. 

In pratica è successo che abbiamo barattato una maggior quota di proprietà (che di suo non produce reddito) con un mutuo (che di suo riduce il reddito e la liquidità aziendale). 

Dunque più proprietà e meno reddito.