Per attribuire un significato pratico al pregnante tema della biosicurezza potremmo immaginare un forziere al cui interno, in sostituzione alle pietre preziose, sono elencati in documenti scritti di altrettanto pregio, l’insieme delle misure, delle norme e dei comportamenti da assumere in allevamento, e che qualunque imprenditore, indipendentemente dalle dimensioni aziendali, è tenuto a custodire con assoluta attenzione per il proseguo nel suo percorso professionale.

Questi elenchi chiari di procedure e atteggiamenti, infatti, avendo un linguaggio comune e quindi trasversale, servono a garantire la tutela della salute degli animali allevati e delle loro carriere produttive.

Salvaguardia sanitaria

Ipotizziamo successivamente una mandria di bovini al pascolo. Le attenzioni dell’allevatore saranno destinate essenzialmente al benessere complessivo degli animali mentre per preservarne lo stato di salute si focalizzerà sulle potenziali minacce esterne, che possono essere metereologiche oppure potenziali predatori.

Ma se il predatore non fosse visibile? Qualsivoglia forma di conduzione di un allevamento risulta vulnerabile alle minacce invisibili e soprattutto imprevedibili. Ci si riferisce prevalentemente agli agenti di malattia.

Poiché non si conosce né il giorno, né l’ora in cui la minaccia biotica rappresentata da microrganismi quali batteri e virus su tutti si manifesterà, le norme di biosicurezza hanno come fine supremo il mantenimento di una popolazione animale indenne da malattie infettive. E qualora la salute di uno o più soggetti all’interno della mandria risulti già compromessa, un secondo obiettivo è limitare la diffusione dell’agente eziologico che ha provocato la malattia.

Questione di connessioni, spesso pericolose

Oggi le aziende zootecniche sono profondamente interconnesse e, pur viaggiando con livelli tecnologici di assoluta avanguardia, non possono non essere frequentate da figure professionali, quali veterinari, nutrizionisti, consulenti e fornitori di mezzi tecnici, i quali possono fungere da minaccia silente e involontaria per la salute animale poiché possono veicolare microrganismi non “scrollabili di dosso” con semplicità.

L’allevatore consapevole dei rischi all’interno della propria azienda, fornisce prova di saperli gestire in un contesto collettivo dando sfoggio alle proprie misure cautelative a garanzia dell’incolumità animale. È assai doveroso definirle “proprie” misure di tutela della salute animale, a testimonianza di come ogni realtà faccia effettivamente storia a sé.

La biosicurezza ha determinato e introdotto un nuovo lessico “comprensibile” da tutti gli attori coinvolti in zootecnia, e, come con ogni lessico, le combinazioni di lettere e parole possono essere praticamente infinite. Infatti, non tutti i libri hanno lo stesso numero di pagine!

Più la realtà aziendale è grande e complessa, maggiori e (possibilmente) più stringenti dovranno essere le misure di biosicurezza.

La domanda sorge spontanea: perché tutte queste improvvise attenzioni?

In passato, abbozzi di biosicurezza in ambito bovino passavano “in sordina” a causa del contributo decisamente più interessante svolto dalla somministrazione incondizionata di farmaci veterinari, essenzialmente antibiotici, allo scopo di profilassi.

Successivamente è stata la volta della metafilassi, ovvero la somministrazione dei medesimi farmaci dietro diagnosi clinica di malattia. Attualmente, consapevoli che i fattori condizionanti lo stato sanitario degli animali sono numerosi, e un ruolo non trascurabile viene assunto dall’ambiente e dalla sua gestione, il piano di biosicurezza serve a evitare l’approccio metafilattico e mira a fornire un contributo concreto contro il fenomeno dell’antibiotico-resistenza. Per gli approfondimenti si rimanda al Regolamento UE nr. 6 del 2019.

Dalle libere strategie a un modello (Animal Health Law)

Diversamente da quanto si verifica in altri settori zootecnici come l’industria avicola e suinicola, nei quali le stringenti misure adottate per preservare i soggetti allevati da flagelli come l’influenza aviaria oppure la peste suina africana – tutti temi di attualità purtroppo – spesso non sono ancora sufficienti, per i ruminati lo scenario è in costante evoluzione.

La somministrazione “a tappeto” di antibiotico all’ingresso di nuovi soggetti in allevamento o il trattamento di animali apparentemente ammalati lascia definitivamente spazio a una pianificazione scientifica degli interventi, per la quale qualunque ricorso a farmaci veterinari non ha più carattere preventivo (profilassi) bensì terapeutico e mai prodromo alla diagnosi di malattia clinica.

Tradotto? I farmaci veterinari vengono destinati ai soggetti ammalati dietro valutazione dei rischi e ricetta emessa dal veterinario, il quale è tenuto a considerare anche il trascorso aziendale e sfruttare ogni indagine di laboratorio ai fini diagnostici.

Se in un passato, nemmeno tanto remoto (ante 2020), il motto era “preveniamo curando”, l’attuale, in ottemperanza anche al Regolamento UE nr. 429 del 2016 (Legge sulla salute degli animali) è: “la cura è troppo preziosa per non prevenire”.

“L’uomo saggio previene”

La prevenzione è indispensabile per il successo della biosicurezza, anche se meno tangibile talvolta di un flacone di antibiotico. È la chiave che apre “il forziere” di cui sopra e ne valorizza il contenuto.

Possono sembrare anche concetti astratti, tuttavia, la prevenzione è un paradigma del tutto decrittato nero su bianco nel “manuale della biosicurezza” che ogni azienda deve custodire e aggiornare. Si vuole rafforzare il concetto che nel 2024 trattare una mastite oppure un problema articolare non è più così immediato e semplicistico come una decina di anni orsono (profilassi e metafilassi). Sono richieste analisi laboratoriali e misurazione della risposta in vitro delle molecole ad azione antibiotica contro un determinato microrganismo (MIC).

I recentissimi casi di lingua blu (Bluetongue) su bovini all’interno dei confini nazionali devono essere da monito per gli allevatori a mantenere elevato il livello di attenzione anche verso i vettori meccanici di malattia (roditori e insetti su tutti).

In siffatto caso, il morbo è diffuso da un minuscolo insetto ematofago, il quale veicola il virus e lo trasmette all’animale tramite punture di suzione. Questa e altre modalità di trasmissione di malattia avvallano la necessità di porre misure adeguate e persistenti, facenti sempre parte della biosicurezza, contro gli animali infestanti ritenuti vettori e che circolano in azienda.

Tali azioni sono argomentate nel manuale per la valutazione del benessere animale e la biosicurezza oggetto di verifica per il punteggio ClassyFarm e sono da adottare sulla base di distinti livelli di rischio e della vocazione della specie bovina (latte o carne).

Anche altre specie animali sono considerate all’interno del capitolo della biosicurezza. Basti pensare ai cani (neosporosi), ai roditori (leptospirosi), ai volatili (clamidiosi), alle mosche (oltre un centinaio malattie trasmissibili), fino agli animali selvatici in genere.

Quali misure necessarie

  • Complesso aziendale

I ruminanti “vivono” in strutture pressoché del tutto aperte e quindi completamente esposte a rischio biologico. Barriere fisiche, anche naturali, lungo il perimetro più esterno sono di sostegno alle misure di biosicurezza. Per proteggere l’interno del “feudo” dalle minacce di origine biotica è indispensabile prevedere una zona ben delimitata e riconoscibile da segnaletica, il più possibile a ridosso dei cancelli d’entrata, all’interno della quale collaboratori e fornitori parcheggiano i propri mezzi.

Nel dettaglio, particolare attenzione meritano le aree di stoccaggio dei mangimi e delle materie prime. Per gli autocarri che trasportano alimenti e che frequentano giocoforza molteplici aziende, benché dovrebbero essere soggetti a pratiche sistematiche di bonifica, i sistemi automatizzati di disinfezione ad arco in ingresso negli allevamenti bovini sono assai rari, pertanto, avere dislocati gli ambienti di stabulazione dall’area di manovra dei camion risulta un buon compromesso.

Nelle stalle vocate alla produzione di latte qualche riga ulteriore meritano i mezzi di raccolta del latte crudo, per i quali può realmente far la differenza la predisposizione di un’area cementata, lavabile e disinfettabile, a patto che la vasca di raccolta del latte risulti collocata in un luogo agevole e il più vicino possibile all’ingresso del complesso aziendale in modo da evitare lunghi tragitti.

Utile è aver cura di controllare, inoltre, che il personale autorizzato alla raccolta del latte non superi il locale cisterna ed eviti l’ingresso in allevamento.

  • Gestione del personale

È doveroso un netto distinguo tra visitatori e personale implicato nelle attività aziendali. Poiché l’accesso al complesso aziendale da parte di macchine e persone rappresenta verosimilmente la principale via d’introduzione di agenti biologici potenzialmente nocivi, i visitatori saltuari dovrebbero parcheggiare all’esterno del perimetro di proprietà.

Anche nutrizionisti e veterinari visitano diverse stalle al giorno. La professionalità di queste figure si misura anche dall’attenzione che ripongono alla biosicurezza. L’uso di indumenti monouso è assolutamente indispensabile. I calzari sono da preferire agli stivali poiché, per quanto profondo, il lavaggio degli stessi con semplice acqua e, al più, del detergente, non esclude il rischio di veicolare patogeni altrove.

L’azienda deve mettere a disposizione acqua di lavaggio e un recipiente, meglio se diversi, dove riporre tutto il materiale monouso impiegato.

  • Contatto con il bestiame

Il contatto con l’animale dev’essere ridotto al minimo, salvo casi in cui la visita o l’ispezione facciano parte delle attività di campo previste. In questo caso, indumenti monouso e guanti sono categorici. Qualora fosse previsto un tour aziendale, si consiglia di mantenersi il più possibile lontano dalla stabulazione e dalla corsia di foraggiamento e di muoversi muniti di calzari ai piedi e possibilmente con camici monouso nel caso di figure professionali.

  • Accesso ai locali operativi

Gli uffici dovrebbero presentare un’entrata propria, possibilmente dal lato opposto agli ambienti dove gli animali stabulano, in modo da non transitare verso di essi o nei loro pressi. Sebbene con l’accesso indipendente a questi locali non siano necessarie ulteriori misure (valutati opportunamente i rischi), è sempre preferibile garantire all’ospite quantomeno dei calzari.

Affinché l’intero piano di biosicurezza funzioni, gli interlocutori esterni al personale aziendale dovrebbero lasciare l’allevamento “scarichi” di agenti potenzialmente infettivi che potrebbero compromettere lo stato di salute di altri animali. Si ricorda che la trasmissione orizzontale di malattia spesso avviene per cause indirette, ovverosia l’agente eziologico provocante malattia nell’animale sano viene veicolato da qualcosa (mezzo di trasporto, materiale infetto) o da qualcuno (personale che frequenta l’azienda).

Ecco che qualunque strumento impiegato dal professionista in azienda, dovrebbe venire opportunamente pulito e disinfettato in loco prima di riporlo nei mezzi.

  • Flusso animale

Uno dei momenti in cui è possibile testare quanto efficiente ed efficace risulti il piano di biosicurezza è rappresentato dall’ingresso in allevamento di nuovi soggetti. Essi provengono da altre strutture e da ambienti differenti, e ciò è già sufficiente per cerchiare con pennarello rosso la data della movimentazione.

È auspicabile disporre di un box per la quarantena assolutamente distanziato dagli altri bovini in modo da collocare temporaneamente i neoarrivati e osservarne l’ambientamento. Utili, per non dire indispensabili, sono i prelievi di campioni biologici per la verifica dello stato sanitario al momento dello scarico.

Qualunque sintomo essi manifestino, va allertato il veterinario aziendale, il quale rilascerà una diagnosi e offrirà parere su quando potranno accedere agli ambienti della stalla a cui sono destinati (generalmente non prima di 3 settimane).

Per ragioni tecnico-strutturali, il box dove far svolgere il periodo di quarantena non sempre può essere allestito, anche solo per la mungitura nel caso di acquisto di una lattifera.

Sebbene non siano previste deroghe in materia di biosicurezza, è consigliabile ingegnarsi per evitare il contatto dei nuovi arrivati con il resto della mandria e confinarli possibilmente sottovento e in ambienti riparati nei quali eseguire tutte le operazioni necessarie, dalla mungitura alla somministrazione di alimenti, alla pulizia della lettiera, con strumentazione e utensili dedicati e in tempi successivi al resto della mandria presente.

Infine, le deiezioni devono essere raccolte e movimentate senza transitare attraverso gli altri locali di stabulazione.

  • Igiene e pulizia

Stalla da latte

Quando si affrontano i capitoli di pulizia e disinfezione in una stalla di lattifere si pensa subito alla sala di mungitura ed eventualmente alla sala parto. Sebbene una disinfezione generale dell’intera stalla non sia facilmente praticabile per l’eccessiva presenza di materiale organico che interferirebbe, la sala di mungitura non può essere solamente sottoposta a lavaggio con acqua in pressione.

L’impiego di opportuni presidi ad azione antimicrobica ambientale è utile per debellare quei patogeni che possono, soprattutto nel periodo estivo, divenire problematici per il decorso della lattazione. Ci si riferisce ai coliformi e agli altri agenti di mastite.

Il manifestarsi di mastiti dai cosiddetti “batteri ambientali”, è strettamente correlato con l’andamento climatico. Umidità e calore favoriscono la crescita dei microrganismi e fanno aumentare l’esposizione degli animali. L’igiene ambientale, quindi, specialmente in estate, è un requisito a cui dare evidenza tramite interventi e rilevanza.

Viceversa, per la sala parto, il solo rinnovo della lettiera, per quanto frequente, non può ritenersi sufficiente. Anche in questo caso, una pulizia profonda con trattamento di disinfezione annesso, specie quando sono coinvolte primipare, garantisce ottimi standard igienici per l’animale in un momento di stress nel quale le difese immunitarie risultano già di per sé sollecitate.

Quanto ai locali di stabulazione, le operazioni anche robotizzate di allontanamento delle deiezioni e l’impiego di calce o altri additivi per mantenere asciutte e igienizzate le cuccette sono operazioni da considerarsi al servizio della biosicurezza.

Stalle di bovini

La disinfezione ambientale profonda durante il periodo di vuoto dev’essere una pratica consolidata.

Altre misure e operazioni di biosicurezza trovano poi concretezza durante lo scarico dei ristalli. Essi dovranno essere sottoposti a congruo periodo di quarantena, monitorato anche dal veterinario aziendale.

Trova applicazione in qualunque tipologia di allevamento, ma soprattutto nei box multipli, la manutenzione e la pulizia dell’impianto di abbeveraggio. Gli abbeveratoi dovrebbero essere sottoposti a pulizia programmatica durante la quale il ricorso a spazzole meccaniche è molto utile per la rimozione di eventuali biofilm che offrono ospitalità a una miriade di microrganismi che sarebbe meglio controllare.

Non trovano spazio in questa disamina generale sui concetti relativi alla biosicurezza, ma non per minore importanza, i riferimenti alla corretta gestione egli spazi. Il sovraffollamento, o l’ammassamento immotivato degli animali in determinate porzioni della stalla per i motivi più disparati, sono tutti fattori che interferiscono negativamente con il mantenimento in salute della specie allevata.

Dalla “nostra” stalla alla stalla “One Health”

I prodotti delle aziende zootecniche rientrano in filiere e mercati sempre più globali. Il valore aggiunto conferito dalla territorialità eleva il prestigio e la considerazione dei prodotti, arricchendo le aree rurali e valorizzando il territorio. Nel tentativo di connettere il territorio all’uomo e agli animali, è stato introdotto il tema della “Salute unica” o “One Health”, un approccio complesso e multidisciplinare che non pone più l’attenzione solo sullo stato di salute dell’uomo in quanto tale, bensì eleva ed estende il concetto a esseri umani, animali ed ecosistemi, in un mondo interconnesso.

Questa sfida di portata internazionale non deve confondersi con i requisiti per il “benessere” degli animali. Soggetti che godono di uno stato di benessere elevato non possono, per i motivi sopra riportati, ritenersi completamente esclusi dal rischio di infezioni e potenziali malattie.

Benessere e biosicurezza non sono quindi facce della stessa medaglia. Sicuramente uno rafforza l’altra e viceversa. I farmaci veterinari sono in evidente contrattura per i rischi connessi al loro uso o abuso. Stime recenti ci invitano ad associare il fenomeno della resistenza dei microrganismi alle molecole antibiotiche con severi livelli di mortalità per l’uomo.

La centralità di questa materia è sufficiente per definire la biosicurezza in ambito zootecnico di estrema e attuale rilevanza e con sicure evoluzioni future.

Bibliografia

REGOLAMENTO (UE) 2021/522 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO
REGOLAMENTO (UE) 2019/6 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO
Linee guida ClassyFarm per la valutazione del Benessere Animale e della Biosicurezza
LA METAFILASSI NELLA MALATTIA RESPIRATORIA INDIFFERENZIATA DEL BOVINO