“La produzione biologica è un sistema globale di gestione dell’azienda agricola e di produzione agroalimentare basato sull’interazione tra le migliori pratiche ambientali, un alto livello di biodiversità, la salvaguardia delle risorse naturali, l’applicazione di criteri rigorosi in materia di benessere degli animali e una produzione confacente alle preferenze di taluni consumatori per prodotti ottenuti con sostanze e procedimenti naturali. Il metodo di produzione biologico esplica pertanto una duplice funzione sociale, provvedendo da un lato a un mercato specifico che risponde alla domanda di prodotti biologici dei consumatori e, dall’altro, fornendo beni pubblici che contribuiscono alla tutela dell’ambiente, al benessere degli animali e allo sviluppo rurale.”
Così il primo dei “considerando” del REGOLAMENTO (CE) N. 834/2007 DEL CONSIGLIO del 28 giugno 2007 relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici e che abroga il regolamento (CEE) n. 2092/91.
In questo modo il legislatore definisce cosa è l’agricoltura biologica e quali sono gli intenti, gli effetti e le ripercussioni sui diversi e numerosi attori e comparti che per sua natura l’agricoltura comprende.
Solo con queste prime indicazioni, può non essere semplice dedurre quali siano le convenienze che un’azienda agricola può ottenere da un tipo di gestione agronomica, zootecnica e di vendita che prevede il rispetto di norme che possono risultare lontane da quella pratica definita convenzionale e nella quale l’agricoltore e l’allevatore ha ormai le proprie radici culturali.
Nel mondo (Tab. 1), l’agricoltura biologica ha raggiunto numeri elevati: la superficie interessata è pari a 37,2 milioni di ettari, di cui l’81 % è in Oceania, Europa ed America Latina. L’Italia è fra i primi dieci paesi del mondo per ettari coltivati con il metodo dell’agricoltura biologica, per numero di aziende agricole biologiche e per la più alta percentuale di superficie agricola biologica rispetto alla SAU totale, in Europa, ha il maggior numero di operatori certificati bio.
Tab. 1 – I primi dieci paesi al mondo per superficie coltivata con metodo biologico, 2010.
Il SINAB con “BIO in cifre 2014”, disegna il panorama del bio in Italia fornendo una serie di dati che, nel suo complesso, risultano positivi circa l’andamento del settore.
Leggendo questo rapporto, sappiamo che al 31 dicembre 2013 in Italia, rispetto al 2012, gli operatori del settore bio sono 52.383 con un aumento del 5,4%, gli ettari di superficie coltivata secondo il metodo biologico sono 1.317.177 con un aumento del 12,8% e le aziende agricole biologiche con produzione zootecnica sono 8.033 con un incremento del 4,1%. Circa i ruminanti, l’indagine rileva un aumento importante del numero di animali rispetto al dato 2012 (Tab. 2).
Tab. 2 – N. capi ruminanti bio.
Valutato in circa 50 miliardi di euro, il mercato mondiale del biologico continua a crescere.
Il valore più alto è stato conseguito in Nord America ed in Europa dove nel 2012 la Germania ha raggiunto un giro d’affari nazionale di poco superiore ai 7 miliardi di euro, seguita dalla Francia con 4 miliardi, dal Regno Unito con 1,95 miliardi, dall’Italia al quarto posto con 1,9 miliardi; se si considera anche l’export, l’Italia raggiunge i 3,1 miliardi di euro, cifra che, rappresentando l’8% del valore totale del mercato europeo del bio, a livello mondiale la pone ai primissimi posti.
In particolare, per quanto riguarda il latte di vacca, in Lombardia nel 2013 il prezzo alla stalla del latte biologico ha raggiunto un valore medio di 0,498 euro/litro IVA esclusa, il 5,6% in più rispetto al 2012. Con questi valori, mediamente la differenza di prezzo alla stalla tra latte bio e latte convenzionale è stato di quasi 0,10 euro/litro a favore del latte bio, l’8,2 % in più rispetto al 2012.
Anche i principali paesi produttori comunitari hanno confermato un andamento crescente del prezzo del latte crudo bio, ma fra tutti, il latte bio italiano ha raggiunto il livello più alto di remunerazione (Tab. 3).
Tab. 3 – Prezzi medi del latte bio alla stalla in Italia e nei principali paesi UE (€/100 lt).
In una crisi profonda dei consumi di latte alimentare convenzionale, nel 2013 il latte biologico fresco ha registrato una crescita degli acquisti al dettaglio in valore pari al 7%, con un prezzo medio sullo scaffale della GDO di 1,80 euro/litro. Nei primi cinque mesi del 2014 il latte biologico fresco è il terzo prodotto bio per acquisti in valore, il 7,3% sul totale bio, con un incremento del 16,3% rispetto allo stesso periodo del 2013; nello stesso raffronto temporale i prodotti lattiero-caseari hanno registrato un aumento degli acquisti al dettaglio del 3,2% (Ismea – Panel famiglie Gfk-Eurisko).
In Italia un dato è molto significativo: nei primi cinque mesi del 2014 la spesa agroalimentare registra una flessione del -1,4% rispetto allo stesso periodo del 2013, mentre gli acquisti di prodotti biologici nella GDO sono aumentati del 17,3% in valore (Ismea – Panel famiglie Gfk-Eurisko).
La vendita di prodotti biologici è in aumento ormai da anni; nell’ultimo decennio in Italia il valore di vendita del bio è cresciuto del 220%. In questo momento storico dove la crisi, non solo economica, è il principale argomento di discussione ed il problema da risolvere, il consumatore italiano sta cambiando il suo stile di consumo dirigendo la scelta verso prodotti alimentari in grado di salvaguardare il benessere fisico e l’ambiente.
Non ultima è la scelta di alimenti di origine italiana come fa un italiano su tre. In questo caso il prodotto biologico risponde pienamente alle richieste di chiarezza che il consumatore fa quando acquista il prodotto alimentare; infatti l’etichetta del prodotto biologico da un’informazione chiara rispetto all’origine dell’alimento poiché, fra le diciture previste dalla norma, è offerta la possibilità di apporre la dicitura “Agricoltura Italia” quando tutte le materie prime agricole di cui il prodotto è composto sono state coltivate in Italia.
Le analisi di mercato riportano numeri importanti (S. Zucconi – Nomisma): nel 2012 il consumo di prodotti biologici nell’Unione Europea ha raggiunto i 21,8 miliardi di euro; in Italia nel 2013 lo stesso consumo ha raggiunto 2,320 miliardi di euro, oltre il 2% della spesa alimentare degli italiani è dovuta all’acquisto di prodotti biologici. In Italia i principali canali di vendita sono i 1.277 negozi specializzati che effettuano il 46% di vendite in valore, e la GDO con il 27%; importante è anche la vendita diretta, effettuata in azienda o tramite i gruppi di acquisto.
Cresce anche il numero delle famiglie italiane che almeno una volta nel corso dell’anno hanno acquistato un prodotto biologico, si passa dal 53% del 2012 al 59% del 2013 con un incremento di 1,7 milioni di famiglie in più in soli due anni, arrivando a circa 15 milioni di famiglie delle quali 4 milioni mangiano tutti i giorni, o quasi, alimenti biologici sia in casa che fuori.
Studi di settore, come quelli riportati da Bioreport 2013, evidenziano che l’azienda agricola biologica mediamente è più efficiente e raggiunge risultati economici migliori rispetto all’azienda agricola convenzionale. Esistono importanti differenze strutturali e di gestione tra le due tipologie: le aziende biologiche sono normalmente a carattere estensivo, con ordinamenti colturali misti (obbligo delle rotazioni colturali, della fertilizzazione organica, presenza di colture miglioratrici, animali al pascolo), spesso hanno diverse attività connesse (vendita diretta, agriturismo, fattorie didattiche, ecc.) per una maggiore tendenza a diversificare la propria attività, le deiezioni zootecniche diventano necessaria materia prima per mantenere la buona fertilità dei terreni, i costi relativi all’acquisto di mezzi tecnici è sensibilmente inferiore grazie all’applicazione di processi produttivi meno intensivi ed ai vincoli normativi (divieto di utilizzo di concimi chimici, di diserbanti chimici), ma al contrario il costo del lavoro, delle sementi e dei mangimi (biologici) è superiore, ci sono poi i costi per la certificazione bio. Le tabelle seguenti (Tab. 4, 5, 6) riportano alcuni risultati economici del settore.
Tab. 4 – Risultati economici delle aziende biologiche e convenzionali RICA (euro), 2011
Tab. 6 – Risultati economici delle aziende biologiche zootecniche RICA, per ripartizione geografica, 2011.
Una differenza importante che distingue l’azienda agricola biologica da quella convenzionale nasce dall’Articolo 16 del REGOLAMENTO (CE) N. 889/2008 – recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 834/2007 – che impone il divieto relativo alla produzione animale «senza terra».
Questo punto della norma, consiglia ad un’azienda agricola che sceglie di intraprendere la via del biologico, di ponderare convenienze ed opportunità pesando i risultati di tutta l’attività aziendale, non della sola gestione zootecnica.
La maggior parte delle aziende agricole riceve il contributo PAC. Mediamente questo rappresenta il 40% del reddito netto delle aziende biologiche ed il 37% di quello delle aziende convenzionali. La differenza è dovuta alla maggiore predisposizione che ha l’azienda biologica alla multifunzionalità con la quale può accedere ad un maggior numero di misure dello Sviluppo Rurale, oltre che alle misure specifiche destinate al metodo di produzione biologica. Più in generale, le aziende biologiche riescono a ricevere maggiori vantaggi dagli aiuti comunitari, sia del primo che del secondo pilastro, rispetto a quanto fanno le aziende convenzionali.
La tabella 7 descrive sinteticamente quanto può ottenere un’azienda a conduzione biologica dall’azione 214.2 – Agricoltura Biologica (PSR 2007-2013 Regione Lazio).
Tab. 7 – AZIONE 214.2 AGRICOLTURA BIOLOGICA (Regione Lazio)
(*) Per i prati, prati-pascoli e pascoli non avvicendati solo se è presente la zootecnia e la stessa è tutta bio.
(**) Il 100% solo se destinate all’alimentazione del bestiame aziendale bio.
E’ evidente che, per ottenere il massimo offerto, la stessa azienda agricola biologica deve coltivare la terra ed allevare bestiame biologico.
La nuova PAC 2014-2020 si presenta con indicazioni precise circa l’attenzione all’ambiente.
Il Reg. 1307/2013 introduce nella PAC una novità con gli art. dal 43 al 47: il “Pagamento per le pratiche agricole benefiche per il clima e l’ambiente”, quello che ormai comunemente è definito “greening”. Questo pagamento è, in ordine di importanza, secondo dopo il pagamento di base con una percentuale fissa del 30% delle risorse finanziarie ed è uguale per tutti gli Stati membri. Questa novità è molto importante anche perché determina un vincolo fermo imposto dall’art. 43: gli agricoltori che hanno diritto al pagamento di base sono tenuti ad applicare, su tutti i loro ettari ammissibili, le pratiche agricole benefiche per il clima e l’ambiente, o le pratiche equivalenti, che devono essere adottate congiuntamente.
Le pratiche agricole benefiche sono tre:
- diversificare le colture,
- mantenere il prato permanente esistente,
- avere un’area di interesse ecologico sulla superficie agricola.
Le pratiche equivalenti sono quelle che comprendono pratiche analoghe che generano un beneficio per il clima e l’ambiente di livello equivalente o superiore rispetto a quello generato da una o più delle pratiche di cui sopra.
Lo stesso art. 43 esclude dall’obbligo del suddetto impegno le aziende agricole che adottano il metodo dell’agricoltura biologica, che quindi hanno diritto al pagamento verde senza dover applicare le suddette pratiche.
Gli studi di impatto della nuova PAC hanno messo in evidenza che, a seguito dell’introduzione del greening, negli allevamenti convenzionali di ruminanti si potrebbero generare risultati relativamente negativi. In particolare questo potrebbe accadere soprattutto negli allevamenti di bovini da latte, specialmente quelli di pianura, in quelle aziende che potrebbero essere costrette ad acquistare ulteriori alimenti zootecnici per sopperire a quelle quantità che, per effetto appunto del greening, non riescono più a produrre nella propria azienda.
Stessa situazione di sofferenza potrebbe verificarsi nelle aziende di bovini da carne.
Le aziende che allevano ovini e caprini, in media, non dovrebbero invece sopportare particolari problemi a seguito dell’applicazione delle tre pratiche agricole, poiché generalmente gli allevamenti ovicaprini sono sufficientemente compatibili con le misure obbligatorie del greening.
In Europa, le politiche agricole si pongono sempre più obiettivi rivolti alla protezione dell’ambiente e della salute pubblica, all’implementazione della ricerca, al miglioramento economico degli agricoltori ed alla sostenibilità delle pratiche utilizzate; anche i vari progetti come Horizon 2020, Strategia Europa 2020, il programma italiano “Scuola e Cibo” del MIUR si pongono gli stessi obiettivi. A livello globale gli Stati cercano soluzioni che possano mitigare i cambiamenti climatici proponendo strategie di produzione a basso impatto e sostenibili. L’agricoltura biologica ha i requisiti idonei per interpretare questi contenuti e raggiungere gli obiettivi fissati.
La convenienza di un’azienda agricola biologica sta nell’insieme di numerosi fattori come quelli che fin qui, in breve e sinteticamente, sono stati esposti; ogni azienda agricola potrà così ben ponderare le proprie convenienze solo se prenderà in considerazione tutto l’insieme dei fattori economici, ambientali e sociali che potranno generarsi a seguito dell’applicazione del metodo dell’agricoltura biologica.
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