E’ nota a tutti la massiccia mobilitazione europea in difesa del prezzo del latte e ampiamente condivisibile. Gli appuntamenti di Parigi del 3 settembre e di Bruxelles del 7 sono solo la punta dell’iceberg, ossia i momenti più visibili. La ragione che ha fatto “saltare i nervi” è un prezzo del latte incompatibile con la sopravvivenza delle aziende. Ma, le vere ragioni di tutto ciò sono sì legate ad una contrazione dei consumi ma ad onor del vero soprattutto, se non esclusivamente, alla gigantesca speculazione dei grossi gruppi industriali del latte e della GDO. Il resto sono solo pretesti che non trovano alcuna giustificazioni nei numeri.

L’Italia e la sua produzione lattiero casearia sono molto legate alla tradizione casearia delle DOP e IGP e al valore del “Made in Italy”. Fa “tremare” la strada intrapresa dal nostro MIPAAF che ha di fatto assecondato le ragioni di ASSOLATTE, ben spiegate nel suo comunicato stampa di fine Luglio 2015, quando abbandonò il tavolo lombardo delle trattative contestando che il prezzo del latte non deve essere oggetto di trattativa ma che è legato ad alcuni indicatori economici elaborabili a partire dai costi di produzione e dall’andamento del prezzo del latte in Europa. ASSOLATTE ritiene addirittura che trattare il prezzo del latte in base a contrattazioni violi le regole della libera concorrenza! Il MIPAAF, nel suo comunicato stampa del 2 Settembre 2015, ha entusiasticamente informato  di aver ottenuto un accordo con ASSOLATTE e le organizzazioni agricole per costituire un tavolo insieme ad ISMEA dove stabilire i criteri da utilizzare per “indicizzare” il prezzo del latte, assecondando di fatto le ragioni di ASSOLATTE.

Il Ministro Maurizio Martina ha definito tutto ciò “un passo molto importante per la filiera”. Se Martina fosse stato il Ministro dell’agricoltura francese o tedesco saremmo pienamente d’accordo con lui ma essendo quello italiano la cosa ci sconcerta alquanto. Per le nostre oltre 480.000 ton di  DOP e IGP non si utilizza latte, ma latte italiano e la cosa è molto diversa. Anche se purtroppo, e ribadisco purtroppo, non si sa quanto delle 2.450.000 tonnellate di latte alimentare consumato in Italia (2013) rechi scritto nelle etichette che è stato munto in Italia. Basta girare i punti vendita della GDO per vedere gli scaffali pieni di latte fresco e UHT recante in etichetta una chiara dicitura di provenienza italiana. E’ ragionevole pensare che sia veramente tanto ma questa considerazione è inutilizzabile per cambiare radicalmente le regole per la trattativa del prezzo. In quelle confezioni mettere latte non italiano è un reato classificabile tra la “truffa in commercio”, la “pubblicità ingannevole” o la “violazione della libera concorrenza”. L’apposizione di queste diciture consente agli industriali e alla GDO di applicare prezzi di vendita enormemente superiori al prezzo del latte comunemente acquistato dai consumatori europei. Appoggiare la lotta europea nelle piazze è di fondamentale importanza ma in Italia va attivata la lotta dei numeri perché è illegale utilizzare latte non italiano in prodotti marchiati “Made in Italy”.

Il MIPAAF se avesse una maggiore conoscenza della unicità internazionale della produzione lattiero casearia italiana invece di “sposare” con enfasi le ragioni di ASSOLATTE dovrebbe attivare un’indagine conoscitiva su quanto latte alimentare viene “spacciato” come latte italiano mentre non lo è. Poco serve andare al Brennero a vedere entrare le botti di latte straniero perché è noto a tutti che l’Italia importa circa il 40% del latte non essendo in grado di soddisfare completamente i suoi fabbisogni interni grazie alla “folle” decisione presa dai politici di allora nel quantificare i fabbisogni italiani di latte e calmierarla a circa 10 milioni di tonnellate.

L’indicizzazione del prezzo del latte alla stalla in Italia è l’ennesima follia, seconda sola alla quantità allora assegnata all’alba del regime quote latte in Europa. Sia allora che ora si offende e si mina la grande capacità mostrata dagli imprenditori, dagli allevatori italiani  e dal nostro SSN che nei decenni sono riusciti a creare prodotti ad altissimo valore merceologico e ad’imporre sui mercati sia interni che esteri il sapore e la salubrità dell’agro-alimentare italiano. Con l’accordo sull’indicizzazione del prezzo il MIPAAF obbliga gli allevatori italiani a non iniziare per niente la lotta dei numeri, vincibile a tavolino, ma a sposare quella delle piazze unica possibilità a disposizione degli allevatori non italiani per far valere le proprie legittime ragioni.