I consumatori stanno lentamente ed inesorabilmente riducendo i consumi dei prodotti del latte, soprattutto nelle fasce agiate della popolazione e nei giovani. Alcune industrie lattiero-casearie stanno introducendo tra i loro prodotti delle alternative a quelli a base di latte ma poco o nulla si fa per capire le ragioni di questo epocale cambiamento dei comportamenti alimentari. Per la filiera del latte si sta quindi tracciando una prospettiva fosca di medio-lungo periodo. Secondo le nostre analisi la percezione di sofferenza fisica e psicologica, specialmente delle bovine negli allevamenti intensivi e con elevato impatto ambientale stanno allontanando i consumatori da questi antichissimi prodotti. Una grande responsabilità in questa situazione va attribuita alle agenzie di comunicazione che continuano a rappresentare le bovine che pascolano su verdi idilliaci prati. Quando poi girando per l’Italia non se ne vedono molte, o quando le inchieste di abili giornalisti che fanno i bliz negli allevamenti così detti intensivi evidenziano una realtà molto diversa, nei consumatori nasce la sensazione di essere stati ingannati, come se ci fosse in realtà “un segreto inconfessabile da nascondere”.
C’è da dire però che in questa attonita paralisi dell’industria lattiero-casearia e della GDO gli allevatori si stanno muovendo, stimolati anche dalla frustrante ricorrente ed arcaica pantomima delle contrattazioni del prezzo del latte alla stalla. Sembrerebbe stia crescendo tra gli allevatori la voglia di riappropriarsi della dignità di questo antico mestiere e di cercare un dialogo diretto e non intermediato con la gente, soprattutto con quella che è stata frastornata e confusa dall’industria. Sembrerebbe che una quota sempre crescente di allevatori abbia reagito aprendo un caseificio aziendale a pensieri e frasi come: “Il tuo latte non mi serve perché ce n’è tanto in giro a prezzi molto bassi”, ”Negli allevamenti le bovine soffrono perché torturate e sfruttate dagli allevatori”, “Allevare i ruminanti da latte inquina di più del traffico automobilistico di una grande città o dell’industria” ed infine “Il latte fa male”; anche nella speranza di veder migliorato il loro reddito.
Ma cosa accomuna questi caseifici aziendali? Poche e semplice cose; come ad esempio essere ubicati vicino alla stalla ed avere un punto vendita che consente alla gente di interagire con il casaro e con l’allevamento visitandolo. Questo permette al consumatore di sentirsi rassicurato del fatto che le bovine, bufale, pecore o capre non soffrono, e di metabolizzare il trauma dell’inganno che per anni gli ha fatto credere che questi animali vivessero ogni mese dell’anno su pascoli paradisiaci dove splende sempre il sole e l’erba è molto verde e gustosa. Il rapporto allevatore-casaro con la persona-consumatore genera dignità agli allevatori e serenità a quei consumatori (molti) stufi degli asettici e perfetti (almeno così dicono) cibi artificiali.
Il caseificio aziendale permette agli allevatori di riappropriarsi delle risorse economiche assorbite da tutti quei passaggi che vanno dal tank della sala di mungitura agli scaffali dei supermercati. Quella dei caseifici aziendali dove si fa il formaggio agricolo, è una realtà di forse circa 5000 operatori che sfugge ad ogni classificazione, che opera una sorta di resistenza rurale e che abilmente gestisce quella parte di sentimento collettivo, spesso inconscio, di attrazione per la genuinità, i sapori, la terra, le tradizioni, la natura e il rapporto con gli animali.
Il caseificio aziendale fa spesso prodotti di elevatissimo valore merceologico che raccontano la storia di un luogo, di una tradizione e di una famiglia.
E’ bene ricordare che buona parte delle nostre DOP, IGP e STG viene prodotta da queste realtà, come anche i molti PAT del nostro paese. In Francia, un decreto legislativo ha definito in maniera univoca il caseificio aziendale che lavora solo il latte prodotto dall’annessa azienda agricola con la denominazione “fromageries fermières”, ossia “fabbrica di formaggio di fattoria” dove si produce il “fromage fermier” cioè il “formaggio di fattoria”.
Forse il progetto di Ruminantia di riqualificazione della produzione del latte in Italia, che abbiamo chiamato Latte Etico®, partirà proprio dai caseifici aziendali dove, con pochi investimenti strutturali e “aggiustamenti” sulla comunicazione, si possono dare quelle risposte che la gente cerca per non privarsi di alimenti preziosi, buoni ed evocativi come sono i prodotti del latte. Una gestione attenta del conto economico dei caseifici aziendali permette, agli allevatori che li gestiscono, di liberarsi dall’ansia del prezzo del latte alla stalla e quindi di dover avere medie produttive sempre più elevate, come avviene a chi è costretto a vendere il latte all’industria.
La GDO da tempo si è accorta che certi tipi di latte fresco e di formaggi a denominazione d’origine sono graditi ai consumatori, che sono anche propensi a spendere di più per acquistarli. Le proposte della GDO sono la linea BIO e Sapori & Dintorni di Conad, i Top di Esselunga, Terre d’Italia e i BIO di Carrefour e le molte linee Coop. Solo per citare i principali. Non possediamo dati esatti sulle vendite di questi prodotti ma è sensazione diffusa che siano molto lontani dalla capacità attrattiva di ciò che un caseificio aziendale può proporre, perché li c’è l’allevatore-casaro con la sua famiglia, la sua storia e il rapporto con la terra e con gli animali. C’è anche da dire che è difficile trovare le eccellenze dei caseifici aziendali sugli scaffali dei super mercati, sia per la loro scarsa disponibilità quantitativa perché si vendono facilmente, sia perché la logica degli uffici acquisti della GDO di pagare sempre il meno possibile mal si armonizza con certi prodotti agricoli.
A meno che non ci sia un profondo ripensamento nel rapporto tra allevatori, industria lattiero-casearia e GDO, prevediamo una forte crescita dei caseifici aziendali anche detti agricoli. Un potenziamento della capacità di comunicazione, soprattutto nella Rete, permetterà loro di raggiungere fasce sempre più grandi di consumatori, soprattutto di quelli che hanno piacere a spostarsi per cercare cibi buoni, rassicuranti ed evocativi e degli stranieri affascinati dello stile di vita italiano. Il settore lattiero-caseario italiano è un settore da 14.5 miliardi di fatturato. A meno di un rapido e deciso cambio d’impostazione non c’è bisogno di essere veggenti per prevedere una forte osmosi tra i formaggi industriali a quelli agricoli anche perché, come disse Darwin, a sopravvivere non è il più forte ma solo il più adatto.
Scrivi un commento
Devi accedere, per commentare.