Quella che semplicisticamente viene definita crisi è più semplicemente una profonda e rapida ondata di cambiamento che sta coinvolgendo, soprattutto, il mondo occidentale. Lo strapotere delle multinazionali, la finanza e una politica incapace di programmazioni indipendenti dal consenso elettorale stanno cambiando radicalmente il mondo del lavoro portando ad un forte aumento, soprattutto tra i giovani, dei “senza lavoro” e delle occupazioni precarie. Molte delle produzioni primarie stanno infoltendo la già lunga lista delle commodity. I prezzi del petrolio, dei cereali, delle oleaginose, dell’acciaio e quant’altro non vengono più determinati dal rapporto tra domanda e offerta oppure dal costo di produzione ma dagli interessi speculativi della finanza.
Cambiamento parallelo ma convergente è il crescente fenomeno del private label, ossia dei prodotti agro-alimentari e non solo a marchio della GDO. Negli scaffali di questi colossi della distribuzione sta aumentando questa tipologia di prodotti sui quali la GDO fa una comunicazione rassicurante che punta su bontà, tipicità e sicurezza , annullando di fatto l’effetto pubblicitario delle etichette originali e “le facce” dei produttori. I prodotti a marchio stanno fagocitando ormai buona parte dei prodotti della terra. L’unico settore che sembra resistere è quello del vino per la sua bravura nell’aver tratto profondi insegnamenti dalla crisi del metanolo che si verificò in Italia nel 1986. La capacità evocativa dell’etichetta del vino e la qualità raggiunta lo rendono inespugnabile agli attacchi della GDO. Il vino è l’esempio classico del detto “di necessità si fa virtù”. Il nostro lattiero-caseario e la nostra carne però non ci stanno riuscendo.
In una società in continua evoluzione si stanno però presentando nuovi fattori di cui tenere conto. L’opinione e i bisogni della gente nell’era pre-internet erano ampiamente condizionati dall’autorità. Giornalisti, ecclesiastici, politici e pubblicità attraverso i media di allora, stampa e televisione, avevano la capacità di imporre punti di vista e necessità. Poche e potenti personalità e l’imponente disponibilità economica dell’industria per la comunicazione avevano la possibilità di condizionare l’opinione pubblica e il suo pensare. Oggi, buona parte dell’umanità è connessa alla Rete e i numeri dei Social Media sono impressionanti. Basti pensare che gli utenti di Facebook stanno sfiorando i 2 miliardi. Questa connessione orizzontale ha dato voce ai tanti esclusi. Riviste on-line, siti, blogger e gruppi di discussione hanno la capacità di creare opinioni collettive e rendere impermeabile la gente ai condizionamenti culturali e commerciali di massa.
Ma cosa centra questo ragionamento con la produzione primaria di latte e di carne? Il mondo chiuso e imperscrutabile di allevatori e professionisti ha ora la possibilità di parlare allo sterminato pubblico dei così detti consumatori. Direttamente e senza intermediari. Ha la possibilità di raccontare il “patto” che lega l’allevatore agli animali e l’agricoltore alla terra, patto che spesso travalica il profitto. Di coinvolgerli e mostrargli quanto lavoro e dedizione ci sono nel trasformare una creatura in cibo per l’uomo.
Il quarto potere, ossia quello dei giornalisti, solo ed esclusivamente per interessi personali, sta abilmente raffigurando un modo crudele di allevare i bovini e di violentare l’ambiente. Molta della politica trae vantaggio da questo disagio e frustrazione degli allevatori e dalla gente terrorizzata dal cibo di origine animale. Una nuova alleanza sulla rete tra allevatori e consumatori è l’unico modo per arginare lo strapotere delle multinazionali del cibo e della GDO e per ripescare per i capelli il latte e la carne dall’inferno delle commodity e del private label. Come fecero allora i produttori di vino, oggi tocca agli allevatori mettere “la faccia” sulle proprie produzioni e parlare direttamente alla gente. Così facendo questa “crisi” sarà per la nostra zootecnia una gigantesca opportunità. Anche il tempo della cosi detta economia di scala possiamo dirsi compiuto in questa era post-allevamento industriale.
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