Il giorno 28 Gennaio 2015 nell’atmosfera neutra e senza tempo del Dipartimento di Scienze Medico-Veterinarie dell’Università di Parma, la Società Italiana di Buiatria, con il patrocino della Società Italiana di Embryo Transfer, Ruminantia e dell’Università di Parma, ha organizzato una giornata di discussione sulla Biochimica clinica della vacca da latte, o meglio, sul ruolo che possono avere alcuni biomarkers, rilevabili nel latte e nel sangue, per migliorare la salute e la fertilità delle bovine e dare un contributo decisivo sia alla selezione genomica che genetica.
L’ottimo livello scientifico di Thomas Herdt ha introdotto le esperienze danesi di Tove Asmussen e italiane di Mauro Casalone. Molto apprezzata anche l’impietosa ed imparziale rappresentazione di Alessia Tondo delle performance produttive, riproduttive e sanitarie delle nostre vacche da latte. Nell’aula magna dell’Università eravamo circa in 180 tra buiatri e zootecnici, liberi professionisti, dell’industria, docenti universitari, colleghi del SSN e società scientifiche quando è arrivata la voce che la più grande cooperativa del latte italiana ha ridotto il prezzo del latte alla stalla ben al di sotto dei 40 centesimi, soglia considerata da molti quella del punto di pareggio economico. Una pesante doccia fredda per chi come noi condivide con gli allevatori la stessa sorte e gli stessi obiettivi. Questa arrogante violenza gratuita verso i nostri allevamenti e senza alcuna, dico alcuna, giustificazione per il peculiare assetto produttivo italiano, deve stimolare non solo più il cronico lamentarsi dell’agricoltura italiana ma azioni concrete senza se e senza ma. A questa ulteriore provocazione si deve reagire, ed ognuno per la sua parte, con freddezza e razionalità.
Questo nel ritenere ormai non più così efficaci le minacce di non consegnare il latte o di occupare le piazze urlando. Chi deve fare la sua parte e assumersi le sue responsabilità? In primis la politica o meglio quei politici che hanno permesso, forse in barba all’anti-trust e non solo, la cessione agli stranieri di un asset italiano come Parmalat consentendo quindi l’ingresso in Italia di un colosso di queste dimensioni che fa il bello e il cattivo tempo. I politici devono recuperare con azioni concrete allo scempio fatto dai loro prdecessori.
Il ruolo dei sindacati e delle associazioni è in questo momento strategico. Bisogna che si facciano spiegare perché deve calare il prezzo del latte alla stalla in un paese deficitario come il nostro, dove la gran parte della produzione viene utilizzata per DOP e IGP e visto che viene considerato commercialmente attraente se sulle confezioni del latte fresco c’è un tricolore. Questo sia per i consumi interni che per le piattaforme internazionali.
Non è convincente il solo calo dei consumi interni e l’embargo della Russia. Non lo è nei numeri. Bisognerà forse chiedere alla magistratura se è proprio tutto italiano il latte che va nelle DOP e IGP o nelle confezioni marchiate “made in Italy”. Intanto che la magistratura indaga su questo, magari ci farà anche sapere se in Italia c’è un “cartello” dell’industria lattiero casearia, perché se fosse così sarebbe molto grave. Anche il mondo delle prestazioni consulenziali e delle professionali deve fare la sua parte nell’applicare in allevamento quelle soluzioni fortemente referenziate e non ideologiche o modaiole per recuperare quelle prestazioni inespresse negli allevamenti e bene quantificate da AIA nella Giornata Buiatrica.
E’ inaccettabile che in “nessuna” delle regioni italiane si stia migliorando la produzione verso il potenziale genetico, la fertilità, la longevità funzionale, le cellule somatiche e quant’altro. Come non è accettabile che i dati che circolano in Italia, elaborati dalle informazioni raccolte nei CCFF, siano così contrastanti al punto da rendere “imbarazzanti” le richieste di fondi pubblici per piani di consulenza/assistenza agli allevatori. Le cellule somatiche sono un esempio per tutto. Basta con mode e mediane, perché è come nascondere la polvere sotto il tappeto. Anche la comunità scientifica italiana deve fare la sua parte perché molte delle risposte da dare agli allevatori la comunità dei tecnici, stanca e delusa dei copia incolla americani, non è in grado di dargliele. Anche l’industria, o meglio il “secondario”, deve moralizzare le sue marginalità e stigmatizzare chi dalla propria organizzazione tecnica e commerciale propone agli allevatori false e illusorie soluzioni e le troppe scorciatoie, alimentando il “mantra” del “non ci sto capendo più nulla” di molti allevatori. Ma anche gli allevatori devono fare la loro parte. Perché è l’allevatore che ha le tessere sindacali e politiche, paga i professionisti e acquista i beni strumentali. Anche da voi allevatori deve partire un segnale “ forte e chiaro”. La sola minaccia “ del tanto chiudo” appartiene al passato. Anche perchè chi lo fa significa che può permettersi di farlo.
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