Dopo aver visto il dato delle affluenze alle elezioni europee dell’8 e 9 giugno 2024, conoscere la quota raggiunta dai singoli partiti sia italiani che delle altre nazioni europee ha perso molto del suo interesse.

A questa tornata elettorale si infatti è recato alle urne solo il 49.69 % degli italiani. Gli aventi diritto al voto sono 49.552.399 milioni e a votare sono andati circa la metà, per cui gli astensionisti sono il “primo” partito d’Italia composto da 24.929.881 persone.

Tanto meglio non è andata l’affluenza media degli altri Stati dell’UE, che per le elezioni 2024 si è attestata al 51,7% (dati ancora provvisori).

Ma chi sono questi nostri concittadini? E’ difficile ricondurre tutti gli italiani che non hanno voluto o potuto votare ad un unico profilo, perché le motivazioni per non averlo fatto possono essere tante.

Sicuramente per metà degli italiani ha vinto la sfiducia per come la politica viene gestita anche in Europa e la disapprovazione per come vengono prese decisioni che incidono sulla quotidianità sia delle imprese che delle singole persone.

È innegabile che si percepisce la gestione dell’UE come la risultanza di interessi delle innumerevoli lobby che condizionano le decisioni degli europarlamentari.

In Italia, e forse in molti dei Paesi europei, è stata condotta una campagna elettorale poverissima di contenuti e programmi, soprattutto di medio e lungo periodo, che sarebbe stata un potente antidoto alla percezione negativa del futuro, soprattutto per le nuove generazioni.

Una campagna elettorale fatta di slogan, promesse vane e scaramucce tipiche delle tifoserie calcistiche, può aver convinto solo la metà degli italiani. A prevalere su chi ha votato può essere stata la mentalità del meno peggio, del voto utile o l’irresistibile dovere di farlo in onore di chi ha sacrificato la propria vita per donare ai posteri la libertà tipica degli ordinamenti democratici.

Prevale in occidente una visione negativa del futuro per cui ricorrere all’individualismo è ritenuto da molti la scelta più “saggia” da fare.

Poche nazioni europee hanno espresso palesemente la volontà di compattarsi sempre di più per studiare il modo di combattere l’ormai gigantesca diseguaglianza sociale e di rendere l’Europa un luogo sicuro e giusto dove il benessere sociale, la salute, il lavoro e la libertà sono la vera prospettiva condivisa dagli Europarlamentari.

Chi non crede al presente e al futuro, e che le cose possano cambiare, non va sicuramente a votare.

L’Italia invierà in Europa 76 neo deputati provenienti da FDI, PD, M5S, FI, Lega e AVS. Alla data della pubblicazione di questo editoriale non si conoscono esattamente i nomi di tutti gli Europarlamentari neo-eletti.

Noi di Ruminantia, che viviamo di agricoltura e allevamento, abbiamo fatto veramente fatica a capire di molti politici, non di tutti, per quali soluzioni si sarebbero battuti in Europa se eletti, per dare forza e prospettiva all’agricoltura italiana.

Di slogan e demagogia ne abbiamo sentita tanta, utile forse per “acchiappare voti” ma inutile per risolvere le contraddizioni soprattutto della produzione primaria di cibo.

Ci auguriamo che prevalga nei neoparlamentari eletti la dignità personale e il rispetto per chi li ha votati e li remunera, e che quindi essi sentano il dovere di frequentare con assiduità le istituzioni europee alla stregua di chi frequenta un qualsiasi ambiente di lavoro.

Ci auguriamo che, oltre all’integrazione del reddito della produzione primaria, la nuova governance europea si adoperi affinché sia tutelata anche la dignità degli agricoltori e della zootecnia perché dell’ormai quotidiana diffamazione della produzione primaria da parte dei giganti del cibo ultra-processato e dei loro adepti ne abbiamo abbastanza.

Una volta che sapremo esattamente le generalità dei 76 eurodeputati che rappresenteranno l’Italia nel periodo 2024-2029, cercheremo di capire chi ha comprovata competenza ed esperienza in agricoltura e zootecnia e che tipo di istruzione possiede. E’ vero che per i politici non c’è alcun ordine professionale a cui iscriversi e non è richiesto alcun titolo di studio specifico, neppure quando si viene nominati Ministri, ma un minimo di “curriculum” ormai si chiede a chiunque si voglia incaricare di qualsiasi compito o lavoro.