Sebbene nella classificazione dei principi nutritivi alcuni autori la includano tra le vitamine idrosolubili con il nome di vitamina J, la colina (Cho) è una molecola biologica diversa dalle vitamine perché non è un cofattore dei sistemi enzimatici, ma è una componente strutturale dei tessuti e viene integrata nelle diete in quantità decisamente superiori rispetto alle vitamine idrosolubili. Inoltre, nei mammiferi non dà luogo a stati carenziali specifici.

Il ruolo biologico

La colina è una molecola contenuta nella fosfatidilcolina (PtdCho) e nella fosfocolina. La fosfatidilcolina è un fosfolipide che fa parte dei glicerofosfolipidi, categoria di lipidi nei quali la testa polare è legata alla molecola di glicerolo tramite un legame fosfodiestere.

La fosfocolina costituisce, invece, la testa polare nella struttura chimica di una sotto-categoria di un altro gruppo di fosfolipidi, cioè le sfingomieline, che sono sfingolipidi con una struttura tridimensionale e una funzione simili alla fosfatidilcolina; oltre ad essere un componente essenziale delle membrane cellulari, i fosfolipidi sono necessari per la sintesi di alcuni neurotrasmettitori e delle lipoproteine.

La fosfatidilcolina non è solo un precursore diretto della betaina, ma è anche un costituente dell’acetilcolina (ACh), ossia un estere acetico sintetizzato a partire dalla colina e dall’acetil-CoA: la reazione avviene nella porzione pre-sinaptica dei neuroni ed è catalizzata dall’enzima colina-acetiltransferasi (ChAT).

La colina, impiegata nella sintesi dell’acetilcolina, è veicolata direttamente all’interno del neurone attraverso un sistema di trasportatori ad alta e bassa densità oppure è ottenuta dal catabolismo dei fosfolipidi. Non solo, ma sembra che la colina destinata alla produzione dell’acetilcolina provenga anche dalla reazione catabolica operata dall’enzima aceticolinesterasi (AChE) che, essendo presente soprattutto nel sistema nervoso centrale e periferico come pure nei muscoli scheletrici, idrolizza l’aceticolina in acido acetico e colina.

Questa azione pone fine agli effetti del neurotrasmettitore sui recettori colinergici pre e post-sinaptici; l’acetilcolina presiede, infatti, al controllo degli apparati, che compongono l’organismo animale, e della contrazione muscolare cardiaca nonché della peristalsi intestinale. Tuttavia, dal punto di vista della nutrizione animale, la funzione biologica più importante della fosfatidilcolina, e quindi della colina, è il suo ruolo nel metabolismo epatico: questa molecola è un elemento essenziale per la sintesi delle lipoproteine a bassissima densità (VLDL-Very-Low-Density-Lipoprotein) che, sintetizzate proprio a livello del fegato, sono deputate al trasporto ematico dei lipidi da questo organo verso il tessuto adiposo, i muscoli e la ghiandola mammaria.

La sintesi endogena della fosfatidilcolina

Nell’organismo dei mammiferi la biosintesi della fosfatidilcolina avviene in due siti e attraverso due differenti vie metaboliche:
1) nei tessuti: attraverso una reazione di condensazione del diacilglicerolo con la CDP-colina (CDP: citosina difosfato);
2) nel fegato: mediante una reazione di metilazione (aggiunta di tre gruppi metilici) della fosfatidiletanolammina.
Inoltre, esiste una via endogena detta “di salvataggio” mediante la quale la colina è “riusata”: la molecola subisce una fosforilazione e una conversione a CDP-colina. Successivamente, una molecola di diacilglicerolo staccherà il CMP (citosina monofosfato) dalla CDP-colina formando, grazie all’azione di una transferasi, la fosfatidilcolina.

L’importanza in prima fase di lattazione

È ormai noto che la transizione rappresenti una fase delicata del ciclo asciutta-lattazione perché l’instaurarsi della secrezione lattea post-partum, associata ad un rapido e progressivo incremento della produzione, comporta una serie di adattamenti ormonali e metabolici da parte dell’organismo della bovina, necessari a soddisfare l’elevata richiesta di nutrienti innescata dal parto.

L’intensa lattogenesi, operata dal tessuto ghiandolare mammario, aumenta il fabbisogno di amminoacidi, di glucosio e di acidi grassi: questa modificazione metabolica implica, inevitabilmente, un adattamento fisiologico dell’organismo. Già nelle ultime 3 settimane di asciutta si verifica, infatti, un notevole incremento dell’afflusso ematico verso il fegato: l’apporto di sangue si innalza da 1.100 a 2.220 l/h.

In concomitanza con questo fenomeno, raddoppia il consumo di ossigeno da parte degli organi splancnici. Non solo, ma in risposta ai mutamenti ormonali e metabolici, la bovina tende ad aumentare sia l’assunzione di sostanza secca sia l’assorbimento dei nutrienti lungo tutto il tratto gastroenterico.

Quando la bovina è prossima al parto l’ingestione alimentare cala per aumentare, poi, gradatamente, nel successivo post-partum. Questa repentina variazione nell’assunzione di sostanza secca può alterare l’integrità dell’epitelio intestinale nonché la parete dell’intero tratto gastroenterico, provocando un’alterazione nell’assorbimento dei nutrienti. Non solo, ma le modificazioni ormonali e metaboliche, tipiche di questa prima fase della lattazione, generano un’intensa mobilizzazione delle riserve adipose dell’animale, situazione che è favorita dal bilancio energetico negativo (NEB).

Il ruolo nella genesi della steatosi epatica

Questa sindrome metabolica non interessa soltanto le bovine che giungono al parto con un eccessivo stato di ingrassamento, ma riguarda, più in generale, le bovine ad alta produzione (BLAP). Nella particolare condizione del NEB, il fabbisogno di glucosio del tessuto ghiandolare mammario aumenta a causa dell’incremento nella sintesi di lattosio: la mammella, drenando il glucosio dal circolo ematico, stimola il rilascio del glucagone (ormone iperglicemizzante) che, a sua volta, agisce sulle riserve adipose dell’organismo scatenando un’intensa lipolisi.

Purtroppo, i lipidi immessi nel circolo ematico a seguito della lipomobilizzazione non sono trigliceridi, bensì acidi grassi non esterificati (NEFA) che raggiungono una concentrazione plasmatica 5-10 volte superiore, se paragonata ai livelli fisiologici. Seppure in misura minore rispetto alle bovine grasse, tuttavia, anche negli animali con un BCS ottimale la concentrazione ematica dei NEFA rimane alta a causa del NEB. Infatti i NEFA vengono assorbiti, in quantità fino a 13 superiore, dal fegato che li sottrae al circolo ematico; li ossida per procurare energia agli epatociti e li riesterifica a trigliceridi che devono essere allontanati mediante le VLDL.

Nonostante all’inizio della lattazione la funzionalità epatica sia migliore, tuttavia il fegato non riesce a ossidare completamente i NEFA che si trasformano in corpi chetonici predisponendo, così, l’animale alla comparsa della chetosi.

Uno degli effetti negativi di questa dismetabolia è la depressione dell’assunzione di sostanza secca che aggrava il NEB incrementando, perciò, la mobilizzazione dei NEFA. Purtroppo, durante la fase di NEB, le bovine manifestano una bassa concentrazione ematica dei metaboliti della colina, condizione che induce una ridotta sintesi endogena di fosfatidilcolina la quale è direttamente correlata al tasso di allontanamento dei lipidi dal fegato, sotto forma di VLDL.

Questo fenomeno causa una riduzione nel drenaggio epatico dei lipidi che, come è ovvio, tendono ad accumularsi all’interno degli epatociti sotto forma di triacilgliceroli (TAG) i quali alterano la funzionalità dell’organo, dando origine al fenomeno degenerativo della steatosi epatica (Fatty Liver Disease).

Nella bovina in prima fase di lattazione è normale che la concentrazione epatica dei triacilgliceroli sia pari al 4-7%: oltre tale soglia aumenta il rischio di dismetabolie e diminuiscono le performances produttive. A ciò si aggiunge l’elevata produzione di latte che, nei primi 40-80 giorni post-partum, genera un significativo aumento del fabbisogno di colina perché il contenuto di questa molecola nel latte intero varia, mediamente, da 70 a 90 mg/l con un range compreso tra 43 e 285 mg/l; di questi circa 25 mg/l sono secreti in forma di fosfolipidi. Durante la prima fase di lattazione, il tasso medio di secrezione della colina nel latte raggiunge i 2-3g/die.

I microrganismi ruminali degradano la colina

A differenza dei monogastrici, i ruminanti non riescono ad assorbire, a livello intestinale, adeguate quantità di colina di origine alimentare perché il quantitativo che raggiunge l’intestino è estremamente ridotto a causa dell’elevata degradazione microbica ruminale. La popolazione microbica degrada la colina producendo acetaldeide e trimetilammina: il carbonio del gruppo metilico, presente nella trimetilammina, viene successivamente convertito in metano che è espulso nella miscela di gas eliminati attraverso l’eruttazione.

Una minima quota (< 10%) di trimetilammina è inglobata nelle membrane cellulari dei protozoi ruminali. La particolarità fisiologica dei poligastrici rende essenziale integrare l’apporto della molecola con una colina rumino-protetta (RCP) che, by-passando l’azione microbica operata nel rumine, aumenta la quantità di colina direttamente disponibile per la bovina, a livello intestinale.

Gli effetti positivi della somministrazione di colina rumino-protetta (almeno 10-15 g/die ovvero circa 60 g/die di prodotto), durante la prima fase di lattazione, sono ampiamente discussi in numerose pubblicazioni scientifiche alle quali si rimanda. Vale la pena ricordare che, oltre agli effetti positivi sulla fisiologia epatica, l’integrazione di colina nei primi 100 giorni post-partum genera un incremento produttivo pari a 2-2,1 kg/die di latte (Hutjens, 2023) con un effetto positivo che persiste per tutto il resto della lattazione.

Il rapporto con la metionina

La metionina è un amminoacido essenziale che ha un rapporto di interdipendenza con la colina perché, in qualità di donatore di gruppi metile (questa capacità consente all’organismo di impiegare una maggiore quantità di metionina per le sintesi proteiche), contribuisce alla sintesi della fosfatidilcolina e, per lo medesima reazione chimica, la colina è utile alla sintesi endogena di metionina.

Inoltre, la capacità della colina di cedere gruppi metile consente all’organismo di sottrarre a questa funzione una quantità superiore di metionina impiegandola, invece, per le sintesi proteiche. Sebbene l’organismo possa utilizzare la metionina per sintetizzare la colina, tuttavia tale funzione non è assolutamente sufficiente né a sopperire alle carenze di colina né ai suoi superiori fabbisogni, in particolare a quelli relativi alla prima fase di lattazione.

Autore: Mattia Olivari