Premessa

Il problema dell’uso razionale delle risorse idriche è attualmente al centro del dibattito nazionale ed europeo. L’acqua è una risorsa rinnovabile, ma è limitata in funzione di tanti fattori ambientali, demografici ed economici. Sul concetto di consumo dell’acqua nelle produzioni animali non c’è molta chiarezza. Per tale ragione, con questo articolo mi auguro di poter fornire a riguardo qualche informazione utile.

Introduzione

La produzione di alimenti è l’attività umana che consuma il maggior quantitativo d’acqua. L’84% delle terre coltivate utilizza l’acqua delle precipitazioni mentre il restante 16% utilizza l’acqua d’irrigazione – prelevata da laghi d’acqua dolce, fiumi o falde – ed il 70% dell’acqua prelevata è destinata all’irrigazione, con una grande variabilità tra paese e paese (HLPE, 2015). I consumi d’acqua per la produzione di alimenti sono più che duplicati tra il 1961 ed il 2000 (Wada et al., 2010). All’aumento dei consumi si accompagna inoltre il fenomeno dei cambiamenti climatici, che comprende tra i vari aspetti quello riguardante le precipitazioni, sia in termini di quantità totali sia di andamento stagionale. Secondo il report dell’IPCC “Climate change 2013-The physical science basis”, l’area del Mediterraneo è una delle più interessate ai cambiamenti climatici. Uno studio abbastanza recente ha messo in evidenza che negli ultimi quarant’anni la temperatura media è significativamente aumentata, ma soprattutto è aumentata la frequenza dei periodi molto caldi ed è diminuita invece quella dei periodi prolungati di freddo (Amendola et al., 2019). Per ciò che riguarda le risorse idriche, in particolare, negli ultimi anni è aumentata la frequenza delle precipitazioni estreme e dei periodi di siccità.

Le previsioni riguardanti l’area del Mediterraneo sono:

  1. un aumento delle temperature,
  2. inverni più tiepidi,
  3. estati più calde,
  4. un aumento della frequenza, lunghezza e intensità delle ondate di calore,
  5. una riduzione delle precipitazioni estive.

L’agricoltura lombarda, specie quella che riguarda la produzione degli alimenti per gli animali, è basata sull’irrigazione ed il problema dell’approvvigionamento idrico è estremamente importante. In questa regione il sistema d’irrigazione più diffuso è quello a scorrimento; sistema poco efficiente rispetto a quelli a pioggia o a goccia, adatto però ad un ambiente con abbondanza d’acqua e che presenta il vantaggio di rallentare il deflusso dell’acqua al mare e di ricaricare le falde. Alcune colture, come ad esempio il mais, non potrebbero essere coltivate se non con il ricorso all’irrigazione. Le piogge sono distribuite prevalentemente in primavera e in autunno. Quelle invernali servono soprattutto a costituire una riserva di neve che viene poi utilizzata nel periodo estivo. Da alcuni anni si sta osservando un mutamento di questi andamenti: una maggiore variabilità di anno in anno, una minore piovosità caratterizzata peraltro da lunghi periodi siccitosi e piogge molto abbondanti che si verificano in periodi molto ristretti. Questo è poi accompagnato dall’aumento delle temperature.

Il risultato di questi fenomeni è che le piogge primaverili ed estive sono meno efficaci e che si è ridotta la riserva di neve alpina che alimenta il sistema d’irrigazione. Assieme al problema della riduzione delle precipitazioni, l’agricoltura lombarda deve affrontare anche quello della competizione con le altre attività umane (industria, turismo, produzione idroelettrica e usi civili) e del rispetto di una sufficiente portata dei corpi idrici per il mantenimento dell’ecosistema, il cosiddetto “deflusso minimo vitale”, di cui tanto si parla in questi anni. La produzione di alimenti di origine animale comporta il consumo di grandi quantità d’acqua (Figura 1), che appare molto evidente se si confrontano i dati con quelli riguardanti gli alimenti vegetali (Hoekstra, 2014), anche se, per la verità, al litro di latte è associato un quantitativo relativamente basso. La produzione di latte e carne richiede acqua anche per l’abbeverata e la pulizia, ma questo fabbisogno è quasi insignificante rispetto a quello derivante dalla produzione dei foraggi e concentrati (Mekonnen Hoekstra, 2010). I valori riportati nella figura, che in modo un po’ fuorviante vengono chiamati “impronta d’acqua”, hanno una grande forza comunicativa ma non dicono nulla né in merito allo sfruttamento delle risorse idriche, né sull’impatto che il consumo dell’acqua può avere sull’ambiente e sulla salute dell’uomo, perché non hanno alcuna relazione sulla disponibilità dell’acqua che è data dalle precipitazioni, dalle riserve idriche dei ghiacciai e del sottosuolo e dalla competizione con altre attività umane.

Figura 1. Acqua utilizzata L/kg

Un concetto ormai noto anche al grande pubblico è quello della classificazione dell’acqua in diversi colori: verde, blu e grigio. L’acqua verde è quella delle precipitazioni, siano esse pioggia, neve o grandine, che vanno ad inzuppare il suolo agricolo. L’acqua blu è quella dei fiumi, dei laghi, del sottosuolo, dei ghiacciai o delle raccolte artificiali dell’acqua di precipitazione. L’acqua grigia è invece quella che serve per riportare l’acqua utilizzata in un processo produttivo a ritornare ai livelli di purità precedenti. Per adattarsi ai mutamenti climatici ed all’aumento dei consumi idrici per le varie attività umane, l’agricoltura deve trovare strategie per utilizzare nel modo più efficiente le risorse idriche disponibili. Il settore zootecnico è quello maggiormente interessato all’individuazione di queste strategie, perché necessita della disponibilità diretta e indiretta d’acqua soprattutto per la produzione di foraggi e mangimi. L’individuazione di strategie idonee richiede strumenti in grado di stimare i consumi idrici e che vanno messi in relazione alle risorse disponibili, ai fabbisogni degli altri settori e dell’ecosistema. Il sistema deve essere inoltre in grado di stimare quali sono gli effetti sull’ambiente, in particolare per ciò che riguarda la salute umana ed il consumo delle risorse non rinnovabili. L’esempio che riporto di seguito serve ad illustrare un sistema di stima dell’impatto sull’ecosistema dei consumi d’acqua nell’allevamento della bovina da latte in Lombardia. Spero con questo articolo di fornire qualche utile indicazione su un argomento molto dibattuto ma pochissimo conosciuto alla stragrande maggioranza degli allevatori, tecnici ed amministratori, ed anche un po’ ostico dal punto di vista concettuale, soprattutto perché c’è stata una sovrapposizione di termini che facilmente confonde chi si approccia al tema.

Produttività dell’acqua

Innanzitutto, occorre precisare che l’analisi interessa solo l’acqua “consumata” e non quella “utilizzata”. L’acqua consumata è quella che raggiunge l’aria con l’evapotraspirazione o che deposita nei tessuti della pianta. Quella utilizzata è invece quella prelevata dai corpi idrici. La differenza tra le due ritorna, almeno in parte, nello stesso corpo idrico e può essere riutilizzata. Per l’analisi sono stati utilizzati i dati produttivi delle due aziende partecipanti al progetto LOMICO (PSR della Regione Lombardia), ricavati nelle prove effettuate nelle stagioni 2017 e 2018 (foto). La produttività dell’acqua è il rapporto tra acqua utilizzata e prodotto ottenuto.  Di  seguito,  la  formula:

Nel nostro caso, l’acqua d’irrigazione è stata stimata sottraendo dai fabbisogni idrici le precipitazioni utili, utilizzando il programma CROPWAT della FAO. I valori di Kc utilizzati per il mais sono stati 1,2 e 0,35.

Tabella 1. Valori di evapotraspirazione nelle campagne 2017 e 2018 (mm).

Anno20172018
QET totale782.4807
QET green241321
QET blu554.7492

Tabella 2. I valori di produttività dell’acqua (m3/T di granella) nelle due aziende e nelle due campagne sono stati calcolati sulla produzione media, indipendentemente dal trattamento.

AziendaAnno 2017Anno 2017
Produzione (T/Ha)TotaleVerdeBluProduzione (T/Ha)TotaleVerdeBlu
Azienda 114.753216436812.3654307399
Azienda 213.956217338914.7548258334

Impatto ambientale dell’uso dell’acqua per la produzione della granella di mais e del latte

Per mettere in relazione il consumo d’acqua con le risorse disponibili ed i fabbisogni umani e dell’ecosistema, è stata adottata la metodologia indicata da Pfister et al. (2009), che fornisce una stima degli impatti derivanti dall’utilizzazione dell’acqua. Viene considerata solo l’acqua blu, ossia l’acqua che viene prelevata da fiumi, laghi, sottosuolo e da raccolte di acqua piovana. L’attenzione si concentra solo sull’acqua blu perché è quella frazione che è oggetto di competizione tra le varie attività umane e perchè in essa è contenuto il flusso minimo vitale che garantisce il mantenimento dell’ecosistema dei corsi d’acqua. L’acqua verde, invece, non è oggetto di competizione e l’acqua grigia non viene considerata nei calcoli perché normalmente è già considerata quando si stima l’effetto sull’eutrofizzazione ed acidificazione delle acque. Il programma LEAP della FAO ha pubblicato le linee guida sulla stima dell’effetto ambientale dell’acqua per la produzione di alimenti zootecnici e per gli alimenti di origine animale. In esse vi sono diverse metodologie di stima dell’impatto ambientale dell’utilizzazione dell’acqua in ambito LCA. Ho ritenuto di presentare in questo articolo i risultati ottenuti con il metodo di Pfister et al. (2009), perché concettualmente più immediato e perché è già stato sperimentato nella filiera del latte (de Boer et al., 2013).

Le categorie d’impatto sono:

  • impatto generico di consumo: considera la quantità d’acqua consumata in rapporto alla quantità disponibile. L’impatto viene calcolato utilizzando un Water Stress Index (WSI) che rappresenta il consumo-disponibilità di ogni paese, normalizzato dividendolo per il WSI globale (0,602). Per l’Italia, il WSI è 0,273; faccio notare che questo valore è medio rispetto a quello degli altri paesi nel mondo; inoltre, questo è un valore nazionale e vi possono quindi essere differenze anche importanti tra una regione e l’altra;
  • salute umana: effetto dell’irrigazione sulla mancanza di acqua per l’igiene ed il consumo umano. Per l’Italia il valore è zero (DALY/(year x capita)). Ciò significa che nel nostro Paese non vi è il rischio che il consumo dell’acqua per la produzione zootecnica possa compromettere la disponibilità d’acqua per usi igienici;
  • qualità dell’ecosistema: esprime il danneggiamento per l’ecosistema (presenza di piante e pesci) in conseguenza della riduzione disponibilità d’acqua (simile al minimo deflusso vitale). Per l’Italia il valore è 0,134 (m2anno/m3), anche questo un valore medio;
  • esaurimento delle risorse naturali: riguarda l’eccessivo uso delle risorse idriche sotterranee o quello dei corsi d’acqua oltre determinati limiti. Per l’Italia il valore è 0,2 MJ/m3, valore medio rispetto agli altri paesi.

Per esemplificare il calcolo dell’impatto ambientale della produzione di latte sono stati presi i dati d due allevamenti della provincia di Cremona che presentano alcune differenze per dimensione e piano colturale. Il metodo di calcolo è di tipo semplificato e non tiene conto di alcuni input, quali l’energia elettrica e la plastica, ritenuti poco influenti. Per i mangimi acquistati si è assunto che fossero tutti prodotti nelle vicinanze. Inoltre, ai sottoprodotti non è stato attribuito alcun valore di consumo d’acqua perché il valore viene attribuito al prodotto principale. Infine, non è stata applicata nessuna allocazione tra latte e carne e, di conseguenza, tutto l’impatto è stato attribuito al latte.

Le principali caratteristiche ed i risultati dell’impatto ambientale del consumo d’acqua blu delle due aziende sono riportate nella tabella 3 sottostante.

CaratteristicheAzienda 1Azienda 2
Produzione (T FPCM)/anno1 760870
Vacche adulte in lattazione (n)10355
Mais granella coltivato (Ha)34.70
Mais insilato coltivato (Ha)31.720.09
Erbaio (Ha)3.5516.72
Sorgo (Ha)4.40
Frumento (Ha)29.160
Orzo (Ha)07.02
Acqua blu consumata (m3/anno)391 000161 295
Acqua blu consumata (L/kg FPCM)222185
Impatto di consumo GI (L H2O eq/kg FPCM)60.650.6
Salute umana HH (10-9 n. disabilità/anno/kg FPCM)00
Qualità dell’ecosistema EQ (10-3 m2/anno/kg FPCM)3024.8
Risorse naturali RD (kJ/kg FPCM)44.430.1

FPCM: latte corretto per grasso e proteine.

I valori riportati nelle ultime quattro righe rappresentano l’impatto ambientale del consumo dell’acqua per la produzione di latte, che non può essere semplicemente espresso come la somma di d’acqua verde (precipitazioni) e blu (irrigazione) che entra nel processo di produzione, perché non tiene conto né dei veri consumi (l’acqua che ritorna in falda non è consumata ad esempio) né della reale disponibilità d’acqua blu in un determinato territorio. L’impatto ambientale derivante dall’uso dell’acqua blu, necessaria per l’irrigazione, l’abbeveraggio, la pulizia e il rinfrescamento, è abbastanza simile tra le due aziende. L’azienda 2 si caratterizza per una maggiore presenza, in proporzione, di colture autunno-vernine, quai l’erbaio e l’orzo, che non richiedono irrigazione. Ciò spiega il valore più basso d’acqua d’irrigazione consumata per chilogrammo di latte corretto. Faccio notare, inoltre, come il valore medio di acqua consumata per chilogrammo di latte è un quinto rispetto a quello riportato nella figura, perché l’analisi non considera l’acqua delle precipitazioni. A ciò si aggiunge che nella seconda azienda c’è un maggior ricorso a mangimi interi acquistati sul mercato, che hanno normalmente un maggior contenuto di sottoprodotti. La differenza in termini di consumo d’acqua si ripercuote automaticamente sugli altri indicatori, che risultano migliori per la seconda azienda: una minore competizione per l’uso dell’acqua rispetto alle altre attività (GI) ed un minor effetto sull’ecosistema (EQ). I numeri ricavati non possono dirci se le due aziende sono virtuose in assoluto, perché in questo sistema di analisi di non esiste un valore medio nazionale o regionale cui fare riferimento. Sono pochissimi i calcoli di questo genere che sono stati pubblicati (anche a livello mondiale). Anche per l’Italia, in particolare per le aree a forte vocazione zootecnica basata su una foraggicoltura irrigua, occorrerà effettuare analisi molto più puntuali di questa per valutare se il sistema è sostenibile e per individuare gli accorgimenti per migliorare le sue prestazioni ambientali.

Conclusioni

Il sistema di calcolo risulta abbastanza affidabile e sensibile alle tipologie aziendali riscontrabili nel nostro ambiente ma, come detto in precedenza, non è molto specifico per regione o bacino. Seguendo le indicazioni fornite, chiunque, con un po’ di pazienza, può stimare l’effetto ambientale dell’uso dell’acqua per la produzione del latte della propria azienda, senza necessità di strumenti di calcolo complessi e costosi. Per progetti più complessi, in cui si vuole tener conto della disponibilità delle risorse idriche di un territorio ristretto e per periodi stagionali critici, occorre però utilizzare modelli un po’ più complessi, che in questo articolo non ho inteso adottare, soprattutto per la complessa terminologia. A questo proposito, per chi volesse approfondire l’argomento, consiglio di leggere le linee guida del programma LEAP della FAO “Water use in livestock systems and supply chains – Guide for assessment”.

Bibliografia

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