Per transizione si intende il periodo di tre settimane precedenti il parto e tre successive allo stesso. Questa fase biologica è determinante per il futuro produttivo e riproduttivo della bovina da latte primipara o pluripara che sia. Il controllo di questa fase è principalmente demandato al proprietario degli animali e al nutrizionista che lo assiste. Il buon esito complessivo di questo lavoro si può ben sintetizzare in questi punti che tutti possono condividere:

  • Body Condition Score (BCS) al parto 3.25 ÷ 3.50
  • Buona preparazione dell’apparato mammario (senza eccesso di edema)
  • Consistente produzione di colostro quantitativa e qualitativa (ɣ globuline  50 gr/L)
  • Espletamento di parto eutocico in oltre 95% dei casi
  • Nascita di vitelli vivi e vitali  95% dei casi
  • Secondamento entro le sei ore dal parto nel   90% dei casi
  • Attivazione dei normali meccanismi di difesa dell’utero. Recettori specifici TLRS sulle cellule endometriali che attivano il sistema immunitario rilevando molecole patogene (PAMPS e LPS)
  • Involuzione anatomica dell’utero entro le 3 ÷ 4 settimane
  • Ricostituzione istologica dell’epitelio pseudo stratificato uterino entro le sei settimane
  • Ripartenza dei cicli ovarici tra i 17 e i 27 giorni dopo il parto
  • Incidenza patologia uterina (metrite, endometrite, panmetrite, endometrite subclinica)  sotto il 10%
  • Chetosi subclinica < al 25 % (β-OHB mmol/L 1.2 ÷ 3)
  • Patologie abomasali  < 5%
  • Calo di peso corporeo contenuto entro le 2 libbre al dì in modo che il BCS non riduca oltre il punto entro i 60 giorni dal parto
  • Incidenza degenerazione cistica  < 10%
  • Possibilità di stabilire un periodo di riposo volontario adeguato ( 50 ÷ 60 giorni )
  • Conseguenti performances riproduttive di buon livello (PR – CR – parto primo servizio- parto concepimento- interparto)

Tuttavia queste giuste aspirazioni si scontrano con difficoltà rappresentate da ambienti non sempre adeguati (accessi alla mangiatoia ridotti, primipare e pluripare insieme etc.), qualità degli alimenti scadente, razioni inadatte in principi immediati. Questi fattori legati al management si vanno a sommare al fatto che la transizione rappresenta un momento critico a livello metabolico di entità tanto più importante quanto più elevato è il valore genetico dei nostri animali. Il 50% delle bovine da latte ha malattia metabolica (Le Blanc, 2010). Già nei giorni precedenti il parto hanno inizio dei fenomeni metabolici e immunologici contrastanti: al calo della ingestione fisiologica (circa 30%) si contrappone una maggiore richiesta di energia per il completamento fisico del vitello ( 500 gr al giorno) e la produzione di colostro. Contemporaneamente si innescano i normali processi immunitari che porteranno successivamente all’espulsione della placenta (intervento della IL-8). Al momento del parto la bovina da latte ha nella propria mammella sciolta nel colostro una quantità di Ca++ 4 ÷ 5 volte la quantità di Ca totale in circolo nel sangue. Subito dopo il parto a fronte di una capacità di ingestione ridotta, la crescente richiesta di energia per la produzione di latte impone un naturale attingimento alle proprie riserve corporee che vengono mobilitate sottoforma di NEFA. A tutto questo si aggiunge il fatto che la bovina vive tutte queste fasi in uno stato di infiammazione continua che, se non controllata, può determinare un forte incremento delle patologie puerperali mediate dalla degenerazione grassa del fegato.

Quando tutti questi fenomeni coinvolgenti a cascata:

  • Metabolismo energetico
  • Metabolismo minerale
  • Salute dei parenchimi epatico e renale
  • Funzionamento viscerale in genere, abomasale e uterino in particolare
  • Sistema immunitario

subiscono un inceppamento, ecco che compaiono i problemi che noi in qualità di veterinari ci limitiamo a rilevare e se possibile a curare. Mi riferisco in particolare a:

  • Ritenzione placenta
  • Chetosi subclinica > 25%
  • Chetosi clinica
  • Dislocazione abomaso sinistra e destra
  • Metrite
  • Mastite
  • Epatosi
  • Infertilità

Questa funzione di semplice riparatori di un danno già avvenuto non ci deve soddisfare. Ritengo invece che sia nostro dovere intervenire fornendo possibilmente con mezzi propri tutti gli elementi per individuare la causa del problema. Dobbiamo diventare collettori di informazioni per l’allevatore e il nutrizionista, indicando cioè quali siano i fattori di rischio responsabili. Per questo motivo sono convinto che sia determinante l’ausilio della biochimica clinica eseguita possibilmente con strumenti propri per ottenere valori biochimici significativi, a patto che questi siano contestualizzati rispetto all’evento parto ed eventualmente anche ripetuti nel tempo. Non solo è necessario operare questa raccolta dati a livello aziendale nei modi e nei tempi più adatti, ma serve anche conoscere le dinamiche fisiologiche dei valori, la loro origine, le relazioni esistenti tra gli stessi, nonché i valori di riferimento che sono oggetto di continua rivalutazione. Abbiamo detto che un modo per essere parte attiva nella gestione della transizione è di segnalare i fattori di rischio. Vediamo quali possono annoverarsi tra questi:

  • Valutazione del BCS alla messa in asciutta e al parto (deve rimanere costante)
  • Livello dei NEFA nel close-up principalmente ed anche dopo il parto in alcune circostanze.
  • β-OHB prima e dopo il parto
  • Glicemia prima e dopo il parto (quando il BCS può suggerire fenomeni di resistenza periferica all’insulina)
  • Elettroliti elevati, K+ in particolare prima del parto
  • pH ematico e urinario elevati
  • Fosforemia elevata
  • Ipomagnesemia rilevata mediante esame delle urine e conseguente valutazione del rapporto MG/creatinina
  • AST e CK elevate prima del parto, come spia di sofferenza muscolare non traumatica ma conseguente a perossidazione dei grassi e successiva formazione di malondialdeide (fenomeno questo che per la mia esperienza è frequente soprattutto nelle primipare)
  • Ca++ totale espresso in mg/dl o mmol/L basso dopo il parto per oltre tre giorni (ipocalcemia sublinica)
  • Proteine dell’infiammazione elevate ( aptoglobina e proteina C reattiva )

Praticamente tutti questi valori si possono ricavare con strumenti trasportabili e quindi utilizzabili anche in azienda:

  • Emogas analizzatore (EMGA)
  • Strumenti a funzionamento enzimatico fotometrico
  • EXCEED  per  β-OHB
  • Nefa-C Kit
  • etc.

Tra i fattori di rischio elencati  uno in particolare è a mio avviso di grande interesse e da quanto leggo e vedo con i miei strumenti non è mai sufficientemente indagato; si tratta della calcemia. L’ipocalcemia clinica si è andata negli anni riducendo progressivamente per merito forse dell’adozione della tecnica di acidificazione della razione nel close-up ( DCAD negativo). Rimane però un grave problema di ipocalcemia subclinica a mio avviso largamente sottovalutato. L’ipocalcemia subclinica è condizione comune nell’immediato post-parto (REINHARDT et al, 2011) dovuta alla forte perdita di Ca++ secreto con il colostro, associato ad un’inadeguata capacità di mobilizzare le proprie riserve al fine di ristabilire una normale concentrazione ematica (GOFF, 2008). Secondo una studio di Reinhardt et al. effettuato nel 2011, il 25% delle primipare è affetto da ipocalcemia subclinica, mentre il 47% delle pluripare è colpito dalla stessa patologia. Lo stesso Reinhardt, infatti, ha individuato che la percentuale di casi di ipocalcemia subclinica (SCH) aumenta con l’aumentare del numero delle lattazioni. E’ evidente che il valore soglia da noi abitualmente ritenuto significativo di 7.5 mg/dl di Ca++ totale non sia adeguato. Questo valore andrebbe rivalutato a 8.59 mg/dl (N.MARTINEZ, 2012). L’ipocalcemia subclinica determina a cascata altre patologie:

  • Dislocazione abomaso (CHAPINAL et al, 2011)
  • Chetosi- distocie (CURTIS et al, 1983)
  • Prolasso uterino (RISCO et al, 1984)
  • Diminuzione Ca2+ riduce contrazione muscolare (HARSEN et al, 2003)
  • Aumento cortisolemia (HORST e JORGENSEN, 1982)
  • Diminuzione neutrofili e aumento incidenza metriti (DUCUSIN et al, 2003)
  • Il cortisolo elevato riduce chemiotassi e attività battericida dei neutrofili (ROTH et al, 1982 – SALAK- JOHNSON – McGLONE, 2007)
  • Diminuzione concentrazione di Ca2+ nelle cellule (KIMURA et al, 2006)
  • Riduzione numero di cellule dell’immunità collegata a ritenzione di placenta (MELENDEZ et al, 2004)
  • Aumento delle mastiti (KURTIS et al, 1983)
  • Aumento chetosi subclinica (RIBEIRO et al, 2011)

Condizione energetica negativa e metabolismo del Ca++ aumentano il rischio di patologia all’inizio della lattazione, presumibilmente per la riduzione del rifornimento di glucosio e Ca2+ per un’adeguata funzione immunitaria. Le vacche che sviluppano metrite e successiva endometrite subclinica hanno elevate concentrazioni di NEFA e β-OHB nell’immediato post-parto e neutrofili con basso glicogene intracellulare (GALVAO et al, 2010). Il rischio di sviluppare metrite decresce del 22% all’aumentare di 1mg/dl Ca++ serico (MARTINEZ, 2012). Indicatore importante del corretto equilibrio tra quanto ingerito e quanto speso per i propri processi metabolici,  il NEFA  è un altro parametro metabolico che merita particolare attenzione.  Il valore di riferimento che abbiamo sempre considerato attendibile prime del parto è di 0.5 meq/L. Lavori recentemente pubblicati da vari autori quali Roberts, Chapinal, Duffield, Duduc, Le Blanc etc. sembrano invitare tutti a riconsiderare questo valore. Sembra infatti che già valori ≥ 0.3 meq/L siano predittivi di 2.2 volte il pericolo che la bovina sviluppi patologie dopo il parto (CAMERON et al, 1998 – LE BLANC et al, 2005 – CHAPINAL et al, 2011). Valori ≥ 0.7 meq/L 4.4 volte il pericolo che la bovina sviluppi una qualsiasi patologia nel periodo post- parto (HAMMON et al, 2006). Valori di NEFA ≥ 0.8 meq/L dopo il parto secondo LE Blanc, 2005 è predittivo di dislocazione abomasale. Stessa conclusione con ≥ 1 meq/L  di Chapinal et al nel 2011. Sempre secondo T.Roberts e colleghi, elevate concentrazioni seriche di NEFA (≥ 0.4 meq/L prima del parto e ≥ 0.8 dopo il parto) e β-OHB (≥0.7 mmol/L prima del parto e ≥1.2 dopo il parto) unitamente a bassi livelli di Ca++ (≤2.3 mmol/L prima del parto e ≤2.2 mmol/L dopo il parto) sono associate ad un elevato rischio di riforma nei primi 60 giorni dopo il parto. Voglio riservare un’ultima considerazione ad una patologia sicuramente frequente nelle nostre bovine, ovvero la steatosi epatica. La steatosi è causa diretta di riforma quando di gravità elevata e responsabile di altre disfunzioni quali chetosi, dislocazione abomasale, mastiti, metriti e problemi riproduttivi (J.FARNEY-B.BRADFORD). La causa di questa malattia degenerativa è rappresentata dall’esterificazione dei NEFA mobilitati in eccesso rispetto alle capacità di utilizzo del fegato stesso. La diagnosi può essere fatta con le seguenti modalità:

  • Clinicamente
  • Ecograficamente
  • Mediante biopsia
  • Biochimicamente

Quest’ultima modalità consiste nel determinare con i nostri strumenti  la quantità di bilirubina totale (somma della bilirubina diretta e indiretta) unitamente alla ALT che in passato si chiamava GPT. Questi due valori in corso di epatosi degenerativa aumentano contemporaneamente o separatamente. Con più difficoltà, perchè si dovrebbe ricorrere a laboratori specializzati, altri enzimi pare siano indicatori di steatosi: OCT, SDH, GDH (P.KALAIZAKIS, World Buiatrics Congress of Budapest 2008).

Concludendo, possiamo affermare che il dominio su questa importante fase biologica rappresentata dalla transizione richiede l’impegno di tutte le figure professionali in campo, veterinario compreso. Al veterinario compete non solo la capacità di intervenire zooiatricamente sull’animale con farmaci e/o interventi chirurgici, ma anche di essere partecipe con i suoi strumenti del successo economico della gestione aziendale, dal momento che la transizione è una fase talmente cruciale da determinare il futuro produttivo e riproduttivo dell’intera mandria.