La definizione e classificazione delle principali malattie uterine è stata organizzata da Sheldon et al. nel 2006. Con il termine di endometrite si identifica un infiammazione/infezione superficiale dell’endometrio dopo i 20 giorni post-partum. Si distinguono due forme principali:
- Endometrite clinica, caratterizzata da perdite vulvari purulente (> 50% di pus) o muco purulente (50% pus e 50% muco) evidenti.
- Endometrite subclinica, caratterizzata dall’assenza di perdite vaginali e altri segni clinici.
Come tutti gli organi cavitari comunicanti con l’esterno, anche l’utero ha una sua tipica popolazione batterica formata da più di 60 specie differenti in perfetto equilibrio tra di loro e con il sistema immunitario della bovina. Quest’equilibrio può essere rotto da una serie di fattori di rischio quali distocia, parto gemellare, prolasso dell’utero, ritenzione di placenta, parto prematuro o di un vitello morto, o malattie metaboliche (chetosi, ipocalcemia) che predispongono l’insorgenza di una metrite e quindi di endometrite.
I 5 patogeni più rappresentativi sono:
- Trueperella (Arcanobacterium) pyogenes.
- Escherichia coli.
- Fusobacterium necrophorum e nucleatum.
- Prevotella spp.
- Proteus spp.
I primi due sono generalmente prevalenti ma i danni maggiori sono imputabili ai ceppi uterini di Trueperella, in grado di esercitare la loro virulenza attraverso l’espressione del gene PLO che codifica la sintesi di una tossina chiamata piotossina in grado di portare rapidamente a morte le cellule. F. necroforum produce una leucotossina e Prevotella melaninogenicus una sostanza che inibisce la fagocitosi. I lochi costituiscono un terreno di sviluppo eccellente e i traumi dei tessuti in seguito al parto facilitano l’adesione e la diffusione dei batteri.
L’incidenza dell’endometrite clinica è del 15-20% dopo i 21 giorni post partum mentre l’endometrite subclinica ha un incidenza attorno al 30% alla fine del periodo volontario d’attesa (50-60 giorni).
La diagnosi di endometrite rappresenta uno dei capitoli più affascinanti e controversi della ginecologia buiatrica. Un dibattito particolarmente vivace coinvolge i maggiori esperti mondiali così come gran parte dei veterinari di campo. L’esplorazione rettale, sebbene sia un metodo d’indagine molto popolare, è senza dubbio il meno accurato soprattutto per la diagnosi di endometrite subclinica. La percentuale di errore diagnostico è cosi alta da non rendere questo esame economicamente vantaggioso. Lo speculum è di valido aiuto nella clinica individuale ma difficilmente gestibile durante le visite ginecologiche di routine negli allevamenti di grandi dimensioni. I sistemi che si basano sulla raccolta del materiale vaginale paracervicale (mano in vagina e metrichek) sono decisamente più attendibili, anche se è impossibile discriminare se l’essudato provenga effettivamente dall’utero o sia l’espressione di una vaginite o cervicite. Il metrichek ha l’inconveniente di dover essere disinfettato ad ogni utilizzo ed entrambi non ci sono d’aiuto per la diagnosi di endometrite subclinica. La biopsia uterina, il cytobrush e il flushing uterino prevedono la raccolta di cellule o frammenti di mucosa per l’osservazione al microscopio e permettono di fare una diagnosi molto accurata; sono metodi validissimi per la ricerca scientifica, per l’indagine individuale e per alcune realtà di eccellenza ma si adattano male al lavoro di campo dove l’imperativo è rapidità ed economicità dei metodi. L’indagine ultrasonografica permette di fare una diagnosi di endometrite clinica e subclinica estremamente accurata (Gnemmi e Maraboli, 2010). Il limite principale dell’ecografo non è il costo, bensì la disciplina e dedizione che servono per raggiungere un’elevata professionalità. La tecnica ecografica è spesso accusata di scarsa accuratezza semplicemente a causa dell’impreparazione dell’operatore. Un professionista esperto garantisce una diagnosi di endometrite in tempo reale molto accurata, con un elevata specificità ed altissima sensibilità.
La terapia dell’endometrite subclinica e clinica è praticamente la stessa e si basa principalmente sull’uso di antibiotici e prostaglandine. Il trattamento con prostaglandine è indicato in presenza di un corpo luteo e si basa sull’induzione del calore, con tutta una serie di effetti benefici indotti dagli estrogeni sull’attività immunitaria locale dell’endometrio. In assenza di un corpo luteo la terapia intrauterina con soluzioni antibiotiche o disinfettanti (iodio) è l’unica strategia scientificamente percorribile. Nell’attività in campo è necessario tenere presente che la maggior parte delle endometriti guarisce spontaneamente entro il periodo volontario d’attesa quindi è raccomandabile non effettuare alcuna terapia precoce e comunque non prima del 35° giorno post-partum (Le Blanc et al. 2002).
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