Talvolta, anche inaspettatamente, ci troviamo a che fare con la presenza di spore nel latte. Quando le condizioni ambientali non sono loro favorevoli alcuni microrganismi, quali quelli appartenenti al genere Clostridium, sono in grado di produrre spore. Queste spore sono particolarmente resistenti a condizioni avverse, come, per esempio, l’apparato digerente delle bovine o la pastorizzazione del latte. Una volta che le condizioni ritornano ad essere favorevoli esse germinano e i microrganismi iniziano a riprodursi in assenza di ossigeno. Cl. butyricum eCl. tyrobutyricum si nutrono di zuccheri mentre Cl. sporogenes di aminoacidi; ma tutti producono gas, dando luogo, nel formaggio, a gonfiore, che nel primo caso risulta essere precoce, mentre nell’ultimo caso è tardivo e si può presentare anche dopo 12 mesi di stagionatura. Ai difetti di tipo strutturale si accompagnano, inoltre, odori e sapori sgradevoli, che portano ad un deprezzamento del formaggio. Tra questi clostridi quello che si moltiplica più facilmente è Cl. tyrobutyricum.

I clostridi hanno il loro ambiente naturale nel terreno; le spore arrivano negli alimenti conservati tramite le produzioni vegetali sporche di terra, e il loro numero negli alimenti condiziona quello nelle feci, che contaminano, a loro volta, l’ambiente stallino, gli impianti di mungitura e quindi il latte. Le feci, in seguito, come concime organico, ritornano ai campi arricchendo di spore il terreno.

La eventuale presenza delle spore nel latte può essere solo ridotta, per quelle tecnologie che lo prevedono,  tramite un buon affioramento della crema, ma questa operazione, in presenza di un elevato numero di spore, non risulta essere sufficiente.  Le seguenti operazioni che si possono svolgere in caldaia possono solo in parte cercare di evitare lo sviluppo di spore: così, si dovrà prestare particolare attenzione all’utilizzo di un buon sieroinnesto, ed ad una corretta cottura ed asciugatura della cagliata; operazioni che portano ad una rapida ed ottimale acidificazione della cagliata. Oppure si deve ricorrere, laddove è consentito, all’utilizzo del lisozima, conservante che ha una azione specifica nei confronti dei clostridi.

La qualità casearia del latte, ovvero la sua capacità di dare luogo alla formazione di una cagliata forte, con una ottimale capacità di contrazione e quindi di spurgo, rappresenterà un ottimo modo di contrastare lo sviluppo dei clostridi; al contrario, un latte che non reagisce prontamente con il caglio, che presenta un coagulo debole, lascerà più facilmente spazio allo sviluppo delle spore.

Particolare attenzione, quindi, si deve porre per evitare che le spore possano arrivare al latte. E questo avviene tramite polvere, o peggio, feci che contaminano il latte. Infatti, in modo particolare, le spore vengono introdotte nella nostra stalla tramite gli alimenti. Un silomais che non è stato preparato in maniera corretta rappresenterà una ricca fonte di spore, che, tramite la razione, noi introduciamo in stalla. Dobbiamo tenere presente che gli alimenti conservati come insilati, determinano, nel tratto gastro-intestinale ad un aumento dei clostridi, che è circa 20 volte maggiore rispetto a quello indotto da razioni nelle quali il foraggio è rappresentato da fieno. Inoltre, alcune ricerche hanno evidenziato che un elevato apporto di concentrati influenzerebbe la corretta funzione digestiva e quindi porterebbe ad un aumento di spore nelle feci.

Anche il fieno non è esente da possibili contaminazioni di spore. Infatti, le spore, che finiscono nelle feci, vengono riportate nei campi tramite la concimazione. In particolare si è visto che un fieno proveniente da medicai di nuovo impianto talora fa registrare livelli di presenza di spore tutt’altro che trascurabili. Infatti, questi prati sono caratterizzati da una distribuzione del letame recente e da una sofficità del terreno che porta ad una presenza maggiore di terra nel fieno stesso. Questo ci evidenzia come vada posta particolare attenzione alle modalità di fienagione, onde evitare il più possibile la presenza di polveri e di terra nel fieno. Bisogna cercare di non effettuare, per esempio, lo sfalcio troppo ravvicinato al piano di campagna. Teniamo, comunque, presente che il contenuto di polvere, e quindi di spore, nei fieni, aumenta progressivamente passando dal maggengo agli sfalci autunnali.

Un altro punto a cui prestare particolare attenzione è quello della mungitura. Vi è una stretta relazione tra il numero di spore presenti sui capezzoli e quelle trovate poi nel latte. Quindi una ottimale igiene di mungitura può contenere la presenza di spore.

Una corretta gestione della problematica delle spore parte, comunque, dalla pulizia degli animali. Bisogna fare in modo che l’imbrattamento degli animali sia il minore possibile, quindi evitare il sovraffollamento, tenere pulite le cuccette o i tappetini-materassini, così come tenere pulite le corsie di smistamento. Fondamentali risultano le operazioni di mungitura e la corretta manutenzione dell’impianto stesso, onde evitare il più possibile l’inquinamento del latte con le spore.

Da quanto sopra esposto emerge come la questione delle spore nel latte sia da affrontarsi su diversi piani: una buona gestione delle pratiche di fienagione o di produzione degli insilati, animali puliti in stalla, corretta mungitura e produzione di un latte che abbia una buon contenuto di grasso, per ottimizzare l’eventuale affioramento, e, in particolare produrre un latte dotato di una ottima capacità di coagulazione.