Le enteriti neonatali del vitello sono patologie complesse e polifattoriali, e spesso sono il risultato di un’interazione problematica tra l’organismo animale e l’ambiente. Ridurre il fenomeno “enterite” ad una manifestazione patologica monofattoriale (enterite virale, batterica ecc.) è un’operazione miope e rischiosa, ma spesso necessaria per potersi dare un ordine mentale che possa guidare le nostre decisioni. L’importante è mantenere una visione ampia ed aperta su questo tipo di problematiche, ed avere una consapevolezza piena e continua che il problema che ci si pone davanti, per la maggior parte delle volte, è il frutto di un intero sistema che va analizzato e corretto.

Nell’allevamento bovino, soprattutto nelle realtà commerciali da latte, il vitello viene alla luce in un ambiente molto differente da quello che la Natura gli avrebbe riservato; di conseguenza, già dalle primissime ore di vita, interagisce con una serie di fattori governati dall’essere umano. La qualità del lavoro e la dedizione del personale di stalla hanno un impatto notevole sulla probabilità che il vitello possa venire a contatto con vari agenti patogeni e sulla sua capacità di resistere agli stessi qualora il contatto avvenisse.

I batteri responsabili di enterite neonatale rappresentano uno dei principali rischi da conoscere e gestire in vitellaia. I microrganismi potenzialmente patogeni sono piuttosto numerosi; tuttavia, quelli a maggiore diffusione sono i seguenti: Escherichia coli e Salmonella spp., seguiti (ma con una frequenza decisamente minore) da Clostridium spp.

Escherichia coli 

Escherichia coli (E. coli) è un batterio Gram negativo appartenente alla grande famiglia delle Enterobacteriaceae (a cui appartiene anche Salmonella). È un microrganismo ubiquitario, normale commensale dell’intestino dei mammiferi e largamente diffuso nell’ambiente. La popolazione di E. coli è particolarmente eterogenea e conta moltissimi sierotipi, che vengono classificati in base alle caratteristiche antigeniche delle componenti morfologiche. Sulla superficie della cellula batterica è presente una capsula (antigene K), un flagello usato per la mobilità (antigene H) e delle strutture chiamate fimbrie o pili (antigene F), le cui funzioni sono l’adesione alla superficie delle cellule e lo scambio di materiale genetico (coniugazione). Sotto la capsula abbiamo la parete cellulare che è composta da tre strati: lo strato più superficiale dove sono presenti gli antigeni somatici (antigene O), lo strato intermedio (lipide A), ed infine lo strato più interno a contatto con la membrana cellulare. I lipopolisaccaridi sono costituiti da tre regioni principali: il lipide A che rappresenta l’endotossina batterica che svolge l’azione tossica sull’organismo, un core olisaccaridico e l’antigene O, cioè l’antigene somatico indicato precedentemente con cui gli E. coli interagiscono con il sistema immunitario dell’organismo. I vari antigeni (K, H, F ed O) sono ampiamente utilizzati per indicare e classificare i vari sierotipi, ad esempio E.coli K99, E.coli O157:H7, ecc…

Dal punto di vista clinico, gli E. coli intestinali patogeni sono stati classificati da Kaper nel 2004 in sei categorie tra le quali ritroviamo i più importanti responsabili di enterite neonatale del vitello che sono gli E. coli enterotossigeni (ETEC). I vitelli neonati sono particolarmente suscettibili all’infezione di ETEC nei primi quattro giorni di vita e sviluppano un’enterite gravissima che può portare alla morte in breve tempo. La porzione distale dell’intestino tenue è il segmento maggiormente interessato, a causa dell’ambiente favorevole determinato da un pH più basso. I principali fattori di virulenza, oltre al lipide A dei lipopolisaccaridi, sono le adesine (antigene K99 o F5) con cui gli E. coli aderiscono saldamente agli enterociti ed una serie di enterotossine che hanno la capacità di incrementare enormemente la secrezione di fluidi da parte degli enterociti attraverso l’aumento indotto di AMP ciclico e GMP ciclico intracellulare. Ne consegue una diarrea secretoria, ed il quadro clinico è spesso aggravato dallo shock provocato dal passaggio in circolo del lipide A dei lipolisaccaridi (LPS). Circa il 30% dei sierotipi di E. coli possiede la capacità di raggiungere i vasi sanguigni ed essere responsabile di sepsi colonizzando e danneggiando organi e tessuti differenti dall’intestino.

La terapia, che verrà approfondita in uno dei prossimi articoli, prevede uno schema classico orientato a ristabilire l’idratazione e l’equilibrio acido-base, e necessita spesso di una copertura antibiotica. L’utilizzo di antibiotici in sede di enterite neonatale è una metodica controversa, ma si rende a volte necessaria a causa del comportamento di alcuni tipi di E. coli che dimostrano una spiccata capacità di invadere l’organismo provocando sepsi oppure per frenarne la proliferazione intestinale. Purtroppo, E. coli è uno dei microrganismi che più facilmente sviluppa antibioticoresistenza, spesso a più classi di antimicrobici, ed è in grado trasmettere questa caratteristica con estrema facilità attraverso il fenomeno della coniugazione per mezzo di peculiarità morfologiche (pili o fimbrie). Ciò rende necessaria l’adozione di un sistema di conferma della diagnosi per mezzo di esami batteriologici o test antigenici rapidi, seguiti da frequenti test della sensibilità alle molecole antimicrobiche utilizzate nella pratica clinica.

Salmonellosi

Salmonella è un batterio Gram negativo appartenente, come E. coli, alla famiglia delle Enterobacteriaceae. La salmonellosi è una malattia importante per la gravità dei sintomi che la contraddistingue ed il potenziale zoonosico. Si tratta di un microrganismo ubiquitario che può essere trasmesso da numerose specie animali; di conseguenza, il suo ingresso nell’allevamento prevede innumerevoli vie possibili, rappresentando un pericolo insidioso ed una sfida importante per i piani di biosicurezza. La popolazione di salmonelle è molto variegata e conta oltre 2000 sierotipi. I ceppi di interesse buiatrico appartengono però tutti alla specie Salmonella enterica subspecie enterica. In particolare, nel vitello le infezioni sono sostenute il più delle volte da ceppi di S. dublin, che infetta i vitelli soprattutto tra le 6 e 12 settimane di vita, e di S.typhimurium, che colpisce i soggetti di età compresa tra 1 e 12 settimane. Il contagio avviene per via oro-fecale ed il principale serbatoio di infezione è rappresentato dagli ambienti di stabulazione contaminati. La via oculo-congiuntivale, sebbene meno frequente di quella orale, è comunque da tenere in debita considerazione in quanto possibile soprattutto durante le operazioni di pulizia delle strutture (ad es. per la formazione di aerosol o schizzi durante l’utilizzo dell’idropulitrice). L’eliminazione di Salmonella avviene principalmente con le feci ed i soggetti infetti possono essere eliminatori cronici per un tempo molto lungo, fino a 18 mesi. La forte resistenza delle salmonelle ne determina la sopravvivenza fino a 41 mesi nel letame essiccato ed almeno 10 mesi nei liquami, negli specchi d’acqua e nei pascoli. Dal punto di vista patogenetico le salmonelle invadono l’intestino provocando un’intensa enterocolite fibrinoso-emorragica, con diarrea e rialzo termico elevato. L’infezione localizzata a livello intestinale è un evento raro poiché Salmonella ha una spiccata tendenza a diffondere nell’organismo. I granulociti ed i macrofagi fagocitano i microrganismi e li trasportano fino ai linfonodi regionali da cui raggiungono il fegato e quindi, per mezzo del circolo ematico, determinano una sepsi durante la quale possono liberare l’endotossina e provocare uno shock endotossico molto grave (forma a decorso iperacuto). Oltre alla produzione di endotossina, comune a tutte le Enterobacteriaceae, le salmonelle liberano un’enterotossina che determina la secrezione di cloruri da parte degli enterociti, con un conseguente quadro di disidratazione ed iponatriemia che aggrava la perdita di sangue e proteine dovuta alla enterocolite fibrinoso-emorragica. Da questo meccanismo patogenetico possiamo riconoscere due forme cliniche di infezione da salmonella:

  • Enterocolite acuta senza ripercussioni sulle condizioni generali, simile ad altre forme di enterite del vitello e la cui guarigione è spesso spontanea.
  • Enterocolite acuta con compromissione notevole delle condizioni generali e in cui all’enterite fibrinoso-emorragica si associa temperatura febbrile, abbattimento e tenesmo. Questo quadro è spesso aggravato dalla sepsi con o senza endotossiemia.

I soggetti sopravvissuti, frequentemente dimostreranno delle complicazioni tardive (polmonite, meningite, poliartrite ecc.) ed è probabile che possano rimanere eliminatori di salmonella per un lungo periodo. La terapia è quella classica di supporto, ma prevede anche un’adeguata copertura antibiotica. Come per E. coli, anche Salmonella ha una spiccata capacità di sviluppare ed esprimere antibioticoresistenza, per cui il ricorso all’esame batteriologico e antibiogramma è fortemente raccomandato per poter instaurare una terapia valida ed efficace. Ad oggi la salmonellosi è una malattia denunciabile come riportato al punto 17 del capo 1, titolo 1 del Regolamento di Polizia Veterinaria.

Clostridium spp. 

Sebbene isolati meno di frequente rispetto ai precedenti microrganismi, i clostridi sono particolarmente temibili come causa di enterite neonatale, in quanto determinano quasi sempre un quadro clinico grave con un decorso particolarmente rapido. La specie maggiormente isolata è Clostridium perfringens (in misura minore C. sordelli e C. difficile). I clostridi fanno parte della normale flora microbica intestinale ma, in seguito a stress alimentari, cambi di alimentazione, malattie o infestioni parassitarie, sono in grado di produrre esotossine molto potenti. L’effetto patogeno delle tossine si manifesta inizialmente sugli enterociti dei villi intestinali, provocandone la necrosi e la distruzione; ciò permette ai clostridi di aderire alla parete intestinale e moltiplicarsi inducendo un processo necrotico ed emorragico che tende ad autoalimentarsi. Attraverso la mucosa intestinale danneggiata, la tossina guadagna il circolo ematico e diffonde in quantità considerevole nell’intero organismo; questo processo conduce rapidamente il soggetto alla morte. Sebbene i clostridi siano sensibili alla maggior parte degli antibiotici utilizzati in buiatria (penicilline, cefalosporine, tetracicline, macrolidi ecc.), il decorso iperacuto della malattia non ci permette quasi mai di intervenire tempestivamente. La vaccinazione è protettiva sia nei soggetti adulti come nei vitelli, a patto che ci sia stato un soddisfacente trasferimento di immunità colostrale alla nascita. È fortemente raccomandato eliminare tutti le possibili fonti di stress ed implementare le condizioni di salute, in modo da ridurre i fattori predisponenti.

Come sottolineato nell’incipit, è raro che le enteriti neonatali siano esclusivamente il frutto di un’infezione da parte di un batterio, un virus o un parassita. I microrganismi patogeni rappresentano l’ultimo intervento di una serie di eventi che, se non adeguatamente gestiti, offriranno sempre una strada libera per l’espressione clinica della malattia. È necessaria quindi una visione ampia e completa riguardo all’approccio alla vitellaia, tenendo a mente che difficilmente le enteriti sono condizioni patologiche sostenute da un unico agente eziologico e soprattutto avendo la consapevolezza che senza la correzione dei fattori predisponenti ogni tipo di approccio risulterà poco efficace.