Nell’affrontare il tema della vaccinazione occorre chiarire cosa ci si deve aspettare dall’utilizzo di un vaccino. Sembra una domanda superflua, ma la mia esperienza mi indica che è ancora opportuno rimarcare che il vaccino è uno strumento di profilassi immunizzante in grado di controllare solo ed esclusivamente l’infezione-malattia evocata dal microrganismo costituente il vaccino. Pertanto, si ribadisca il concetto che: non esiste un vaccino contro la malattia respiratoria ma verso uno o più patogeni causa di malattia respiratoria.
Al di là delle vaccinazioni obbligatorie – ricordiamo la vaccinazione anti-aftosa del passato e quella più recente verso la blue tongue che ha interessato l’Italia e numerosi Paesi europei – le vaccinazioni che oggi vengono praticate nei nostri allevamenti bovini assumono il carattere di volontarietà. Detto assunto ci impone di operare delle scelte: vaccinare o meno, ma soprattutto verso cosa vaccinare e secondo quale tempistica. In questo contesto è fondamentale che l’allevatore acquisisca la piena consapevolezza della scelta da operare. Ancora una volta l’esperienza mi ha insegnato che, in ambito di gestione dell’allevamento, solo le scelte consapevolmente assunte portano a quella continuità che, nel caso specifico della vaccinazione, è indispensabile per ottenere i risultati attesi. Troppe volte la vaccinazione viene intrapresa e poi abbandonata perché non supportata dalla convinzione consapevole circa il ruolo che compete alla vaccinazione. Convinzione maturata attraverso una corretta informazione.
Chi è istituzionalmente deputato a fornire all’allevatore questo servizio di formazione-informazione è il Medico Veterinario. Troppe volte – ed è triste prenderne atto – nella scelta vaccinale il Medico Veterinario non svolge il ruolo attivo che gli compete, ma si limita ad essere il “prescrittore” del prodotto vaccinale. Quando ci si riferisce al binomio “vaccinazione-allevamento” va detto che la vaccinazione deve essere inserita nel contesto della gestione sanitaria dell’allevamento, pertanto è opportuno evitare che assuma il carattere di un intervento spot, ma piuttosto sia formulata sotto forma di programma vaccinale o, meglio, inserita in un programma sanitario di allevamento. In tal senso emerge la necessità di allestire un programma di immunizzazione che deve tener conto della realtà epidemiologica dell’allevamento target, delle caratteristiche manageriali dello stesso, degli obiettivi complessivi che si intendono perseguire e, non da ultimo, della situazione epidemiologica territoriale nei riguardi dei patogeni possibili oggetto di vaccinazione. Tutto questo impone una stretta collaborazione tra allevatore e Medico Veterinario. Detta collaborazione sarà tanto più produttiva quanto più si è instaurato un rapporto fiduciale tra le due figure. Un elemento essenziale perché ciò si realizzi è la continuità del rapporto operativo tra un allevatore e un Medico Veterinario. Come è stato premesso la vaccinazione è una scelta. Una scelta che non è obbligata. Non deve essere dettata dall’emotività ma scaturire da elementi oggettivi di ordine epidemiologico che caratterizzano il singolo allevamento e il territorio di pertinenza.
Al fine di acquisire gli elementi di ordine epidemiologico propri dell’allevamento, è necessario scattare una fotografia che individui i patogeni presenti-circolanti nell’allevamento. In tal senso una indagine sierologica ad ampio spettro è in grado di fornire elementi oggettivi di ordine epidemiologico su cui poter ragionare al fine di operare una scelta corretta. A perseguire l’obiettivo è necessario procedere al prelievo di emosieri eseguito secondo un campionamento che tenga conto della stratificazione propria dell’allevamento: manzette, manze, vacche ed eventuali tori presenti. E’ inutile operare il prelievo dagli animali al di sotto dei sei mesi di età, in quanto latori del corredo immunitario materno, posto che sia stata eseguita una corretta colostratura. Una volta acquisiti i dati di laboratorio – i patogeni presenti ma anche quelli assenti – si hanno gli elementi oggettivi sulla cui scorta allestire il programma vaccinale. Questo dovrà necessariamente tener conto della gamma di prodotti vaccinali commercialmente disponibili e, nella formulazione della tempistica d’intervento vaccinale, delle caratteristiche dell’allevamento.
E’ giusto a questo punto chiedersi cosa fare nel caso in cui un allevamento risulti indenne da un determinato patogeno? Sulla scorta di quanto sopra indicato, verrebbe spontaneo rispondere: no vaccinazione. Ancora una volta si tratta di operare una scelta dettata dalla consapevolezza. Ci riferiamo in particolare alla situazione epidemiologica territoriale nei confronti di un determinato patogeno. Di fatto possiamo affermare che un allevamento si può definire “problema” non solo qualora connotato dalla presenza di un patogeno ma anche un allevamento indenne che insiste in un territorio ad elevata prevalenza d’infezione. Che si possa realizzare l’evento infettante non è automatico. Il rischio può essere a grandi linee quantificato valutando i fattori che potrebbero favorire il realizzarsi del rischio stesso ma anche, per pari opportunità, quelli che nel corso del tempo hanno garantito il mantenimento dello stato di indennità. Queste sintetiche indicazioni di base per stimolare il lettore ad approfondire la tematica vaccinale, acquisendo la convinzione che la vaccinazione eseguita con consapevolezza è stata e continua a rappresentare uno strumento essenziale di gestione sanitaria dell’allevamento e, più in generale, una grande conquista dell’essere umano, una efficace arma nella permanente lotta contro le malattie infettive, ma non solo.
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