Idee chiare su una pratica che invece di risolvere i problemi li aggrava – La gestione dell’inseminazione nella mandria bovina da latte

Premessa

La causa principale di ipofertilità/sterilità  della mandria bovina, a prescindere da quelle infettive, in passato più frequenti ed oggi generalmente sotto controllo, è , oggi come ieri, il mancato riconoscimento dei calori oppure la fecondazione al di fuori del periodo ottimale  del calore.  Oggi come ieri, sono peraltro molti che, erroneamente (!), imputano la riduzione (a volte drammatica) della fertilità alla elevata/elevatissima  produzione del latte, mentre in realtà le cause prevalenti di  ipofertilità/sterilità  sono oggi  di ordine manageriale. Il riconoscimento delle bovine in calore è, da sempre, un problema nelle stalle di bovine da latte. Anche in passato le aziende meglio condotte, da allevatori competenti ed appassionati, praticamente non conoscevano questo problema e la fecondità della mandria era di solito ottimale. In era “pretecnologica” il riconoscimento delle bovine in calore era affidato alla competenza ed alla diligenza dell’uomo di stalla, molto spesso lo stesso proprietario-allevatore. Con l’aumento delle dimensioni della mandria il rapporto numerico tra le bovine presenti e il personale addetto è progressivamente peggiorato, fino a quasi azzerarsi e sono fioriti numerosi  i tentativi di risolvere il problema (del riconoscimento delle bovine in calore). In un primo tempo si è cercato di  incaricare  dell’osservazione  un addetto specializzato e questa era e rimane ancora oggi  la misura più efficace, anche se impegnativa (difficoltà di reperimento di personale qualificato). A parte altre misure manageriali (toro spia nella mandria, heat detector sulle bovine di cui si attende il calore) sono poi fioriti, numerosissimi,  i tentativi “tecnologici” (podometro, attivometro, osservazione televisiva della mandria, ed infine misurazione in tempo reale del progesterone, per citare solo i principali),  tutti con i loro limiti ed i loro pregi. L’idea di sincronizzare  gli estri per avere più bovine in calore  (e da fecondare) contemporaneamente è successivamente maturata  per scopi assolutamente giustificati, come quello di  avere parti  (e lattazioni) pure sincronizzati ai fini produttivi, oppure per avere bovine riceventi per l’embryo transfer, quando era ancora indisponibile il congelamento embrionale.  E le bovine da sincronizzare, come prevede la buona teriogenologia, erano sane e con cicli estrali regolari. Ed anche la sincronizzazione,  per lo più mediante  prostaglandine o impianto di progesterone, dava dei risultati molto soddisfacenti in termini di calore e successiva fertilità. L’avvento di nuovi ormoni (ipotalamici) e la migliore conoscenza dei meccanismi intimi dell’ovulazione ha stimolato la ricerca di soluzioni farmacologiche più raffinate e articolate per ottenere un’ accettabile sincronizzazione dei calori e dell’ovulazione e quindi migliorare i risultati in termini di fertilità. Si è così arrivati a soluzioni estreme, con una serie di trattamenti ormonali e la conclusiva F.A. (spesso alla cieca!) ad un termine prefissato: se si riguardano le pubblicazioni scientifiche sull’argomento, (alcuni decenni  di pubblicazioni!) con l’attenzione critica della Medicina Veterinaria dell’Evidenza (EBVM), senza fatica se ne può evincere che non c’è nessun elemento scientifico che conforti la validità e l’efficacia in termini di calori e fertilità; la larga esperienza di campo degli allevamenti dove la  sincronizzazione è praticata, più o meno totalitariamente, ne conferma regolarmente il fallimento, come risulta anche dalle indagini sulla fertilità,  pubblicate dalla stessa AIA, nonché dall’esperienza di campo controllata sia di molti allevatori che degli autori del presente articolo. Allo stato attuale, nonostante la pubblicità subdola e martellante sul valore quasi “taumaturgico”  della sincronizzazione, in una delle sue innumerevoli  varianti, come metodo di elezione (sic!) per gestire la riproduzione della mandria, dal punto di vista oggettivo la pratica delle sincronizzazioni  si può considerare la punta estrema di un certo supponente sperimentalismo zootecnico, che si ammanta però  dei panni  della scientificità e della modernità, per portare infine solo danni alla buona zootecnìa, al benessere animale ed al relativo importante risvolto produttivo/economico. Chi gestisce la riproduzione della mandria  con il metodo esclusivo della sincronizzazione fa dei danni alle proprie bovine ed alla economicità della propria gestione. Non va infatti dimenticato che i segnali chimici (ormoni, neurotrasmettitori, farmaci) agiscono su recettori specifici a livello di cellule (membrana o citoplasma) esercitando la loro azione complessiva a livello di organo o apparato. Perché la risposta dell’agonista sia di tipo fisiologico e/o risolutiva di una condizione patologica, è fondamentale, peraltro, che i recettori siano in un determinato stato funzionale. Ciò corrisponde a particolari condizioni cliniche del soggetto, per cui è necessario che un trattamento ormonale non possa e non debba prescindere dalla valutazione dello stato fisiologico o clinico del soggetto, pena un mancato risultato o un ulteriore “débâcle” della condizione clinica. Ciò è, verosimilmente alla base dei risultati non incoraggianti ottenuti con i sistemi di sincronizzazione degli estri. D’altro canto, tali protocolli, ormai utilizzati ad ampio spettro e in maniera sconsiderata (alla cieca), potrebbero interferire con l’espressione recettoriale, determinando una down-regulation della loro espressione e una desensitizzazione degli stessi, e indurre una patologia recettoriale. Dato il breve spazio a disposizione, vogliamo concludere con alcune considerazioni riguardo la

La normale, corretta gestione della riproduzione nel moderno allevamento bovino da latte.

  • La bovina da latte moderna ad alta produzione (BLAP, HGM) non ha una nuova fisiologia, anche se sono meglio conosciuti nella loro intima essenza diversi  meccanismi (digestione ruminale, metabolismo intermedio, ondate di maturazione follicolare..) ed anche le patologie relative (patologie ruminali, acidosi nutrizionale, carenza energetica e chetosi) sono conosciute da tempo; ne è solo aumentata la frequenza, ma anche la nostra capacità di prevenirle mediante la buona gestione clinica della nutrizione da un lato e della riproduzione dall’altro.
  • Non esiste fortunatamente alcun antagonismo fra la produzione (elevata!) di latte e la buona fertilità, anzi si può tranquillamente (autorevolmente!) sostenere che, a fronte di una buona, corretta gestione alimentare ed ambientale, è possibile ottenere anche nelle bovine ad alta produzione di latte la nascita di un vitello all’anno (ogni 13-14 mesi).
  • Di conseguenza la produzione elevata si può normalmente accompagnare alla longevità delle vacche presenti, alla riduzione della quota di rimonta, alla riduzione delle spese di farmaci pro-capite, ed infine ad una concreta riduzione del costo di produzione del latte.

Infine, per la buona “normale” gestione della riproduzione, oltre all’ambiente, adeguato al benessere totale delle vacche (ivi incluso il rapporto non conflittuale ma “amichevole”, con il personale di stalla) e ad una nutrizione clinica coerente con la specificità del ruminante e l’alta produzione ( le vacche da latte sono veramente, secondo la felice definizione di Fantini, dei veri e propri  “atleti  metabolici”) sono da osservare le seguenti misure:

*potenziare l’osservazione  diretta delle bovine di cui si aspetta il calore, sia con personale addetto, che con i sussidi tecnologici disponibili, dai più semplici, ai più sofisticati ed avanzati ( la presenza altamente consigliabile di uno o più tori aziendali nella mandria, oltre a favorire le manifestazioni esterne del calore a volte è  indispensabile per il recupero, in buona percentuale, delle repeat breeders…)

*di fronte ad una bovina con segni riferibili al calore, confermare la diagnosi di calore con l’esame diretto e in particolare con l’impiego di routine dello speculum vaginale (misura senza costi che ci risulta adottata  con successo  anche in aziende grandissime)

* il momento adeguato per l’inseminazione artificiale si colloca nella seconda metà del calore e verso la fine dello stesso

*adeguata tecnica di inseminazione: igiene dell’animale, degli strumenti e dell’operatore, scongelamento corretto delle fiale di seme e immediato impiego subito dopo lo scongelamento, evitando di scongelare diverse paillettes contemporaneamente per guadagnare tempo in caso di numerose fecondazioni contemporanee.

Autori: 

  • Prof.Giovanni Sali – Centro Studi “Clinica veterinaria S.Francesco” di Piacenza
  • Prof. Fausto Cremonesi – Università di Milano
  • Prof.Giovanni Lacalandra – Università di Bari
  • Prof.Maurizio Monaci – Università di Perugia
  • Prof. Enrico Parmigiani – Università di Parma
  • Dr. Annalisa Rizzo – Università di Bari
  • Prof. Raffaele Sciorsci – Università di Bari
  • Prof. Giuseppe Stradaioli – Università di Udine
  • Prof. Carlo Tamanini – Università di Bologna

DOI: 10.17432/RMT.2015-2019