La ritenzione di placenta della vacca da latte rientra nel vasto gruppo delle malattie metaboliche ossia quelle patologie dovute ad una alterazione del metabolismo.
Normalmente la placenta viene espulsa 6 ore dopo il parto. Molti autori concordano nel definire “ritenzione di placenta” quando essa non viene espulsa dopo 12 ore, anche se esiste una variabilità fisiologica se ciò avviene tra le 12 e le 24 ore. L’incidenza in allevamento è tra il 3% e il 12% e probabilmente esiste un andamento stagionale. Generalmente colpisce gruppi di animali, a testimonianza del fatto che spesso i fattori eziologici e di rischio intervengono collettivamente. Il danno che essa provoca alle bovine è piuttosto grave. Ne risulterà un aumento del rischio di metriti puerperali, endometriti, chetosi e mastiti. Le bovine che hanno ritenuto la placenta avranno quindi un’alterata involuzione uterina, un allungamento dell’intervallo parto-primo servizio (+ 2-3 giorni), un maggior numero di fecondazioni per gravidanza ed un allungamento dell’intervallo tra il parto e il concepimento (+ 6-12 giorni). 5 studi su 13 dimostrano una riduzione della produzione di latte.
La placenta bovina è strutturata con cotiledoni fetali che sono attaccati alle caruncole materne a formare il placentoma. Questo legame è essenzialmente costituito da un collagene che tiene attaccate le due strutture. La rapida rottura di questo legame, dopo il parto, permette l’espulsione della placenta. Quando il feto, ormai prossimo al parto, aumenta la produzione di cortisolo sarà lui stesso a stimolare la produzione di estrogeni a scapito del progesterone. Questo shift sovra-regola i recettori dell’ossitocina presenti sulla muscolatura uterina (miometrio). Le prostaglandine, stimolate dagli estrogeni, contribuiranno alla riduzione del progesterone dando il via all’attività collagenasica. La lisi del corpo luteo inoltre contribuisce alla secrezione di rilaxina che stimolerà la lisi del collagene, il rilascio della cervice e dei legamenti pelvici. Studi più recenti hanno dimostrato che il parto “scatena” una vera e propria azione infiammatoria del placentoma. Il rilascio di citochine pro-infiammatorie da parte delle cellule epiteliali uterine durante il parto causa un richiamo di leucociti, come i neutrofili e i monociti, verso il placentoma i quali eseguiranno il distacco della placenta. Tra le citochine pro-infiammatorie (TNF-α, IL-1, IL-6 e IL-8) sembrerebbe che una diminuita produzione sia di TNF-α che di IL-8 sia la causa di una minore afflusso di leucociti verso il placentoma. Bovine che arrivano grasse al parto inoltre libereranno nel sangue dal tessuto adiposo molto progesterone che contrasterà gli effetti positivi sul distacco di placenta dovuto agli estrogeni. Si avrà pertanto ritenzione di placenta in concomitanza con una non completa riduzione di progesterone ematico, una non elevata produzione di estrogeni, una ridotta produzione di citochine pro-infiammatorie, un insufficiente afflusso di leucociti nel placentoma e una scarsa efficienza dei neutrofili.
Ma quali posso essere i fattori di rischio che causano tutto ciò? Primo tra tutti le vacche grasse che arrivano al parto. Sappiamo che esse dimagriranno sicuramente di più di quelle con una giusta condizione corporea fatto che porta ad una liberazione di progesterone dal tessuto adiposo e ad un aumento del rischio di chetosi già prima del parto. La chetosi, anche in forma sub-clinica, riduce l’efficienza del sistema immunitario (cellulo-mediato). L’imponente attività dei leucociti finalizzata al distacco della placenta comporta la produzione di molte molecole ossigeno-reattive ( ROS o ROM) che, se non contrastate da una adeguata presenza di sostanze antiossidanti, possono essere causa e concausa della ritenzione di placenta. Lo stress delle bovine inoltre nelle ultime settimane di gravidanza può, a vario titolo, alterare l’efficienza del sistema immunitario.
Quali sono pertanto gli aspetti nutrizionali e manageriali su cui focalizzare l’attenzione per prevenire la ritenzione di placenta? Il primo e di assoluta importanza è non far arrivare le vacche grasse in asciutta, e quindi al parto, modificando la dieta delle bovine in lattazione ormai gravide. Cosa di difficile realizzazione se si dispone di un gruppo unico di bovine in lattazione e se l’intervallo parto-concepimento medio si protrae per oltre 150 giorni. Il secondo è evitare sovraffollamento, e quindi lo stress, nella fase di preparazione al parto. Il terzo è quello di stare attenti all’ingestione in questo periodo, evitando additivi o alimenti poco appetibili, stress da caldo e garantendo un’adeguata disponibilità d’acqua da bere e posti in mangiatoia. L’inserimento di zuccheri nella razione può aiutare per questo obiettivo. Il quarto è quello di somministrare diete con un corretta concentrazione proteica ( > 13%) e adeguatamente integrate con principi attivi antiossidanti come la vitamina A ed E, il rame, lo zinco, il manganese e il selenio. Ideale è utilizzare oligoelementi in forma organica di sicuro maggiore assorbimento intestinale.
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