Nella seconda metà del ventesimo secolo la paglia nella zootecnia da latte era il costituente fondamentale della lettiera permanente; in effetti, anche in questi ultimi anni in cui si è diffuso il compost barn, la lettiera a base di paglia viene utilizzata in tutti i box parto in quanto assicura un bedding eccezionale per gli animali.
In nutrizione, la paglia veniva utilizzata in tutte in quelle razioni in cui era necessario limitare i nutrienti, e soprattutto nelle razioni per le manze in crescita.
Molto spesso la paglia di cereali veniva imballata senza attenzioni per le condizioni atmosferiche, in quanto veniva considerata sia dal cerealicultore sia dall’allevatore quasi un “fastidio”, uno scarto.
Ricordiamo che la paglia di riso spesso veniva interrata dal momento in cui la sua capacità adsorbente era molto inferiore a quella di frumento.
Poi le cose sono cambiate: le bovine sono diventate forti produttrici, alle razioni eccessivamente concentrate si sono sostituite razioni contenenti foraggi di altissima qualità con una velocità di transito ruminale assai elevata, non sempre capaci di costituire una matrice ruminale sufficientemente densa, utile a trattenere le particelle più pesanti e molto importante per garantire la motilità dei pilastri ruminali.
In queste occasioni ci troviamo di fronte a razioni il cui tasso di passaggio (Kp) della frazione fibrosa è talmente elevato da limitarne il coefficiente di digeribilità (Kd). Raggiungere i fabbisogni di fibra fisicamente effettiva (peNDF), fortemente correlata alla lunghezza di taglio dei foraggi, e di uNDF, ossia la frazione indigeribile dei foraggi stessi le cui frazioni più pesanti (lignina) vanno ad occupare il sacco ventrale del rumine garantendone la distensione, diventa estremamente complicato.
PeNDF e uNDF, se moltiplicate tra di loro, originano il valore di peuNDF che dà un’idea molto chiara dell’efficienza del riempimento ruminale; in pratica, foraggi alti di uNDF possono avere una lunghezza di taglio più corta, mentre foraggi poveri di uNFD necessitano di un taglio più lungo. Lo strumento più facile da usare per sistemare le cose è l’utilizzo di quantitativi ridotti, ma significativi, di paglia.
Innanzitutto bisogna ricordare che la peNDF della paglia, per alcuni ricercatori (Formigoni et al), può essere considerata addirittura il 120% del suo valore, mentre l’attività masticatoria stimolata dalla paglia è circa il 150% di quella del fieno.
Quindi, in razioni ad alta energia e con un rapporto foraggi/concentrati molto sbilanciato in favore dei secondi, la paglia rappresenta una scialuppa di salvataggio per l’alimentarista costretto ad inseguire i fabbisogni energetici di gruppi di vacche con altissime produzioni, in quanto con quantitativi ridotti si può evitare di incorrere in fenomeni di acidosi subclinica o di svuotamento del rumine eccessivamente rapido.
Inoltre, la paglia può essere utilizzata convenientemente in razioni somministrate alle vacche post partum a cui normalmente viene somministrata la stessa razione delle vacche in piena produzione; per queste ultime, la cui capacità di ingestione post partum è ridotta, il pericolo è dietro l’angolo perché la stessa razione con ingestioni più basse può scontare una forte diminuzione della uNDF.
In questo caso aggiungere anche 1 kg di paglia permette di riattivare più velocemente la ruminazione in post partum inspessendo i villi ruminali e, in ultima analisi, rendendo molto più ripida la curva di ingestione.
Inoltre, l’utilizzo della paglia è interessante anche negli unifeed a secco per le manze dai 4 agli 8 mesi: infatti, la paglia, insieme all’erba medica, permette un effetto stretch che aiuta lo scollamento dei foglietti ruminali e l’aumento dei diametri ruminali sin dalla prima età.
Nelle vacche asciutte spesso gli americani teorizzano, almeno nel periodo di far off, di utilizzare la paglia in quanto parrebbe che gli animali alimentati con una restrizione energetica in questo periodo riprendano la curva di ingestione più velocemente nel post partum.
Naturalmente, in questo caso, la quota di concentrati deve sopperire ai fabbisogni in proteina metabolizzabile del feto in crescita negli ultimi 20 giorni prima del parto.
Quindi la paglia è una medicina?
Purtroppo non sempre è così.
Infatti, il primo problema è la possibilità di miscelare correttamente la paglia: un carro miscelatore normale fa fatica a ridurre la pezzatura della paglia lunga fino al volume che noi desideriamo; d’altro canto, anche la paglia trinciata deve avere una pezzatura di circa 2-3 cm e non essere miscelata per troppo tempo con gli altri alimenti, pena la riduzione dell’attività masticatoria dell’animale.
Inoltre, la paglia nasconde altri trabocchetti, i più comuni dei quali sono il contenuto in nitrati, specialmente in paglia acquistata da produttori di frumento che concimano con azoto nitrico anche in prossimità della raccolta; in questo caso, specialmente nella razione delle vacche asciutte con alti quantitativi di paglia, possiamo riscontrare un aumento della bilirubina indiretta, il valore che rileva l’affaticamento epatico causato dalla glucuronazione epatica dei nitrati. Altro problema rilevante nelle asciutte è in contenuto di potassio, anch’esso correlato ad eccessiva concimazione azotata del frumento.
Da ultimo ricordiamo la contaminazione durante la raccolta con la terra che, oltre ad aumentare le ceneri della paglia, aumenta il rischio di un aumento di unità formanti colonia di clostridi.
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