Il problema della gestione del territorio in funzione sia dello “sfruttamento” a fini agro-silvo-pastorali che a quelli conservazionistici coinvolge a pieno quegli ambiti territoriali dove è ancora fiorente l’attività zootecnica e pastorale. In particolare, oggi più di ieri, la gestione delle attività antropiche pastorali “attente” alla conservazione delle risorse naturali e del paesaggio è indispensabile vista la complessa rete delle aree protette che nel tempo e nello spazio si è andata sempre più definendo ai sensi delle singole Leggi Regionali, della Legge Quadro 394/91 e delle Direttive Internazionali come la Direttiva Habitat 43/92 e la Direttiva Uccelli 79/409 le quali, in compartecipazione con gli altri stati membri dell’Unione Europea, hanno definito il sistema di aree protette, denominato Rete Natura 2000, con la designazione di Sic (Siti di Importanza Comunitaria) e Zps (Zone di Protezione Speciale). Questi ultimi si sono aggiunti alle Riserve Statali, ai Parchi Regionali e ai Parchi Nazionali. Pertanto, sono gli Enti di gestione delle aree naturali protette a porsi il problema dei pascoli, del pascolamento dei domestici, il più delle volte considerato dannoso alla conservazione della biodiversità, e delle interazioni con le componenti faunistiche.

Il problema dei rapporti tra fauna selvatica e produzioni zootecniche-pastorali, seppur quasi sempre esaminato da un punto di vista sanitario, deve essere indagato con attenzione anche dal punto di vista ecologico, sinora poco considerato. Quindi, l’aspetto interessante e propedeutico alla conservazione è proprio l’analisi delle interazioni competitive tra specie ecologicamente affini come gli erbivori domestici e selvatici. In effetti, è necessario misurare il ruolo dei domestici in termini di benefici sulla componentepascolo e gli effetti delle suddette interazioni sui selvatici, con particolare attenzione agli eventuali impatti a scapito di specie pregiate e vulnerabili come per esempio il Camoscio appenninico Rupicapra rupicapra ornata e il Capriolo italico Capreolus capreolus italicus, popolazioni relitte e confinate geograficamente.

Le interazioni di tipo competitivo si generano tra specie che occupano la stessa nicchia trofica ed hanno le stesse esigenze alimentari allor quando la risorsa alimentare diventa limitata o poco disponibile, determinando così una diminuzione del tasso di sopravvivenza, dell’accrescimento o del successo riproduttivo.

Le interazioni tra attività pastorale ed erbivori selvatici possono essere di varia natura ed essere riassunte in:

  1. Interazioni dirette (spazio-temporali, sanitarie e genetiche): occupazione dello spazio che porta ad una esclusione per competizione di una delle due specie; diffusione di patologie; inquinamento genetico ad opera di specie congeneriche come per esempio Capra Capra hircus x Stambecco Capra ibex.
  2. Interazioni indirette (trofiche): sottrazione di alimento di alta qualità con conseguente diminuzione della sua disponibilità.

La letteratura scientifica che ha preso in esame il problema dell’interazione tra attività pastorali e conservazione della fauna selvatica mette in evidenza che la simpatria induce effetti negativi e positivi.

Effetti negativi dell’interazione

Il pascolo domestico può determinare una sottrazione di foraggio per gli animali selvatici laddove la pressione di pascolamento da parte dei domestici sia superiore alla capacità di carico del cotico erboso. Resche-Rigon (1987) sottolinea come l’utilizzazione elevata degli alpeggi d’altitudine da parte degli ovini determini tale effetto e in particolare induca una riduzione delle risorse trofiche invernali del camoscio Rupicapra rupicapra rupicapra. A conclusioni simili giungono Jensens et al. (1971) in ricerche effettuate nello Utah su fauna selvatica e ovini. Considerando ancora alcuni studi condotti sugli Ungulati di montagna nel Parco Nazionale del Gran Paradiso, Bassano (1994) descrive una sovrapposizione spaziale tra i bovini e lo Stambecco, tanto che lo Stambecco modifica la composizione della sua dieta privilegiando essenze foraggere prima evitate.

Questa massima interferenza spaziale con i domestici e un cambiamento della dieta può essere interpretata come una modificazione di nicchia in risposta ad un fenomeno di competizione. Anche per il Camoscio si assiste, così come per lo Stambecco, ad una preferenza alimentare diversa quando è massima la sovrapposizione spaziale. In presenza dei domestici (bovini e ovini) il Camoscio viene “relegato” al margine del bosco tanto che nella dieta prevalgono le Dicotiledoni.

Pertanto, si assiste ad un cambiamento della dieta quando diventa massimo l’uso contemporaneo degli stessi pascoli; infatti, specie diverse di ruminanti che usano settori differenti del pascolo (minore sovrapposizione spaziale), tendono invece ad utilizzare le stesse categorie vegetali. D’altra parte, spesso le associazioni di allevatori in aree montane lamentano una sensibile riduzione di foraggio legata allo sfruttamento dei pascoli da parte di specie di erbivori selvatici, del Muflone Ovis musimon in particolare (Chauviere, 1978).

La presenza del domestico al pascolo, se mal gestita, oltre a indurre un cambiamento nella dieta, può innescare modificazioni nella composizione floristica tali da rendere meno produttive le aree a pascolo, che diventano così meno attrattive per i selvatici. I cervi tendono infatti ad evitare le aree oggetto di super pascolamento da parte del bovino, soprattutto a causa della scomparsa delle specie vegetali da loro preferite (Bowyer & Bleich, cit da Marchandeau, 1992). A seguito di questi eventi, le densità relative dei cervidi si riducono nelle aree sfruttate dal pascolamento bovino, ovino e caprino (Mac Maham, 1964). Inoltre, il pascolo bovino avrebbe un’azione selettiva anche nei confronti della qualità del foraggio disponibile per l’alimentazione invernale del Cervo Cervus elaphus e del Bighorn Ovis canadensis, nel senso che vengono sottratte specie vegetali utili per la sopravvivenza invernale di queste specie di erbivori selvatici (Kasworm et al., 1984).

La presenza dell’animale domestico al pascolo, in particolare di bovini e cavalli allo stato brado o semi-brado, induce lo spostamento del selvatico, che evita di sfruttare quella porzione di risorse trofiche egemonizzate dall’erbivoro domestico (Austin et al.,1983; Skovlin et al., 1983; Sorino, 2005). Anche sui pascoli alpini è stata rilevata l’assenza di co-presenza tra ovini e selvatici; tale elemento ha indotto a supporre l’esistenza di un’interazione diretta negativa tra le due componenti (esclusione), spesso legata anche alla presenza dell’uomo e del cane pastore (Resche-Rigon, 1979; Berducou, 1984; Garcia-Gonzales & Monserrat, 1990).

Per esempio, in caso di simpatria con le pecore, i camosci sono spinti ad utilizzare aree prevalentemente rocciose, evitate dai domestici (Rebollo et al., 1993). Nelle praterie americane le femmine di Cervo mulo Odocoileus hemionus riducono sensibilmente il tempo dedicato all’alimentazione in presenza del bovino e modificano la composizione della loro dieta con una diminuzione del numero di specie in essa presenti e una riduzione delle frequenze di brucatura (Kie et al., 1991). Nel Cervo si assiste ad una modificazione delle dimensioni degli home-range in presenza del bovino al pascolo, in particolare si registra un aumento dello spazio utilizzato in risposta all’aumentare del carico bovino (Loft, 1988; Loomis et al., 1991). Poiché nei nuovi home-range vengono comprese porzioni di habitat solitamente non utilizzate (zone di steppa a forte inclinazione, porzioni con piante poco appetibili, etc.), l’interazione comporta un maggior dispendio energetico da parte del Cervo (Parker et al., 1984). La selezione dell’habitat viene parimenti influenzata dalla simpatria: se le zone di praterie vengono sfruttate dal bovino, il cervo tende a utilizzare in modo quasi esclusivo gli ambienti forestali, evitando i pascoli usati dal domestico (Loft et al., 1991). Il pascolo bovino può avere inoltre effetti sulla sopravvivenza dei piccoli di talune specie di cervidi, che sono particolarmente sensibili alle modificazioni della copertura vegetale.

Tale evento induce la riduzione dei ricetti e dei nascondigli, con un aumento significativo della predazione ai danni dei piccoli, come dimostrato per il Cervo mulo (Loft et al., 1987). Sulle Alpi, per esempio, la presenza dei bovini al pascolo, influenza l’aggregazione nel Capriolo: si osservano con una maggiore frequenza individui singoli, che fanno supporre un allontanamento del giovane dell’anno e della femmina di un anno dalla femmina adulta, aumentando così il rischio di predazione soprattutto per la classe giovanile (Sorino, 2005). Inoltre, in condizioni di simpatria con l’animale domestico sono influenzati anche i tempi e i ritmi di attività. Ad esempio i cervi in presenza del bovino tendono a spostare la maggior parte delle loro attività, comprese quella di pascolo, durante le ore notturne, inducendo inoltre un sensibile aumento dei rischi di predazione (Kie et al., 1991). 

Effetti positivi dell’interazione

Tra gli aspetti positivi il più importante ricade sul miglioramento della qualità del foraggio assicurata da una conduzione oculata del domestico pascolatore. Un foraggio di elevata qualità garantisce un alimento pregiato anche all’ungulato selvatico, soprattutto nei periodi della stagione vegetativa in cui gli erbivori domestici sono assenti. Chauvière (1978), ad esempio, riporta come nel massiccio di Chaudun (Hautes-Alpes) i mufloni si nutrano sui pascoli utilizzati dalle manze all’inizio della stagione vegetativa, prima della monticazione.

Alcune ricerche descrivono impatti benefici degli ovini sulla vegetazione, in particolare grazie al contenimento della componente arbustiva a uno stadio non pregiudizievole per l’utilizzazione da parte del Cervo. Alcuni autori inoltre, sottolineano che la sopravvivenza della fauna selvatica in inverno è limitata più dalla qualità del foraggio disponibile che non dalla quantità. Per esempio, Rhodes & Sharrow (1990) individuano un effetto benefico del pascolamento ovino sulla qualità dell’alimento disponibile per il Cervo. Il Cervo mulo, sulle parcelle già pascolate dai domestici, seleziona in quantità maggiore specie erbacee rispetto alle legnose, con conseguente aumento del valore nutritivo nella sua razione alimentare.

Molti autori sottolineano come la presenza dell’animale domestico, riducendo la frequenza di specie di graminacee perenni e mantenendo le specie legnose ad uno stadio vegetativo precoce e apprezzato dai selvatici, migliori la risorsa trofica disponibile, sia in termini di digeribilità sia di quantità di protidi grezzi (Austin & Urnes, 1986; Gordon, 1989; Rhodes & Sharrow, 1990; Wikeem & Pitt, 1991; Yeo et al., 1993; Alpe et al., 1999; Ortega et al., 1997; Olson et al., 1999; Clark et al., 2000).

In uno studio condotto in Scozia, il riutilizzo da parte di mandrie di bovini di aree abbandonate 14 anni prima ha permesso di arrestare il processo di riduzione della ricchezza floristica delle formazioni vegetali. I cervi presenti nell’area hanno frequentato preferenzialmente le parcelle pascolate dai bovini nel corso dell’inverno precedente, caratterizzate, nel confronto con le aree non pascolate, dall’aumento del foraggio verde in rapporto alla quantità di lettiera (erba vecchia e fibrosa) (Gordon, 1989). In Idaho, grazie ad un elaborato programma di pascolamento dei bovini, in 10 anni si è avuto un incremento del 275% dell’effettivo dei cervi; gli autori di tale studio attribuiscono questo risultato principalmente al miglioramento della qualità nutritiva del foraggio autunnale e invernale (Anderson & Scherzinger, 1975).

La presenza dell’animale domestico se correttamente gestito ha un ruolo fondamentale nel preservare i pascoli secondari mantenendo inoltre alta la qualità foraggera. Una gestione oculata può avere delle ripercussioni positive sulla conservazione degli ungulati selvatici che vivono in condizioni di simpatria. Questa condizione di equilibrio è raggiungibile solo attraverso programmi gestionali che considerino i dati scientifici ottenuti da studi che descrivono il grado di competizione tra domestici e selvatici. La presenza di comunità di ungulati ben strutturate nei sistemi pastorali ha un ruolo importante nelle dinamiche preda-predatore, con ricadute positive su quello che è il conflitto tra la presenza del lupo e mondo pastorale. Diversi sono ormai i lavori scientifici (p.e. Mattioli et al., 1995 e Meriggi et al., 1996, in Marsili, 2007) che hanno descritto come una maggiore disponibilità di ungulati selvatici abbassa le “attenzioni” da parte del lupo nei confronti della componente domestica.  

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