È iniziato in quest’ultimo tempo un, seppur tiepido per ora, dibattito in seno alla categoria del Veterinario Buiatra sull’impiego in allevamento di taluni sistemi più o meno sofisticati volti a semplificare e ancorché ad ottimizzare, alcune procedure e/o osservazioni fino ad ora di competenza del personale a vario titolo presente in allevamento. Alcuni di questi sistemi sono accreditati di fornire una “diagnosi” andandosi così potenzialmente a sostituire in parte o in toto all’operato del Veterinario.

Scopo di questo mio semplice e breve intervento non è quello di andare a verificare dal punto di vista tecnologico i vari sensori che il mercato propone e che in questa sede verranno solo, e parzialmente, citati, ma cercare di stimolare una riflessione e una discussione fra noi operatori relativamente al loro impatto economico-sanitario nella gestione della mandria e, perché no, i “riflessi occupazionali” sulla nostra operatività in seno all’azienda.

Ad onor del vero già da diversi anni alcuni di questi sensori sono di frequente utilizzo: si pensi ai vari podometri e/o attivometri (anche nelle loro ultime “versioni” come il RUMINACT) per il rilevamento dei calori e delle patologie podali, o ai solo un po’ più recenti sensori per il rilevamento delle variazioni della conducibilità elettrica del latte. Di più recente introduzione si possono annoverare sistemi più sofisticati come l’AFI Lab o l’HERD Navigator che propongono misurazioni di vari parametri più o meno indicativi di alterazioni patologiche (malattie metaboliche, mastiti, ecc.) o di particolari stati fisiologici (gravidanza).

Il sempre maggior utilizzo di tali sistemi riconosce come cause principali l’incremento del numero di animali/allevamento avutosi negli ultimi decenni contemporaneamente alla sempre più ridotta presenza “fisica”e quindi dell’osservazione diretta del proprietario. Questi due fattori ,uniti dalla necessità di avere “numeri” produttivi e riproduttivi sempre ai vertici pena l’anti-economicità dell’azienda, hanno spinto il mercato verso la direzione della “automazione” dell’allevamento: spinta che dobbiamo considerare sempre maggiore nel futuro anche prossimo.

Un discorso importante e soprattutto preliminare andrebbe fatto circa l’effettivo rapporto costo/beneficio che l’installazione di un qualsiasi sensore ha e la sua, anche solo potenziale, ripercussione sul bilancio aziendale. L’allevatore spesso corre il rischio di essere fuorviato nella scelta dal “miraggio” che, questi dispositivi, promettano un considerevole risparmio di tempo da dedicare ad alcune pratiche di allevamento e quindi, un risparmio economico ulteriormente incrementato anche dal minor impiego di personale specializzato (Veterinario!). Sappiamo che ciò non è propriamente corrispondente al vero visto che si tratta di strumenti di un certo costo iniziale, e per alcuni gravati anche da un certo costo di funzionamento, che la loro efficacia comunque non può prescindere dalla presenza costante di un addetto (con anche una certa dimestichezza informatica) e che infine una corretta interpretazione dei dati non può prescindere dalla presenza del Veterinario.

La mia, seppur limitata, esperienza professionale mi porta ad affermare che l’utilizzo dei sensori in allevamento (certo più taluni rispetto ad altri) sia da vedere più come una opportunità professionale che come un pericolo occupazionale. Da parte nostra ci deve essere un atteggiamento critico ma propositivo, possibilista nel senso dell’accettazione di una sfida culturale ma anche e soprattutto professionale e sicuramente non miope, dal momento che come categoria spesso ci troviamo ad avere di fronte nuovi scenari.

Queste valutazioni nascono e trovano corrispondenza dal fatto che difficilmente questi sensori sono in grado di emettere “diagnosi” con una sensibilità e specificità anche solo sufficienti; e anche quando il dato atteso potrebbe essere di più semplice lettura, l’interpretazione critica e la valutazione dello stesso si impone comunque. Prendiamo come esempio una assenza di “picchi” da parte di un podometro: la cause, che sappiamo essere molteplici, possono andare da un problema al sistema, alla presenza di svariate patologie ovariche, o ancora possono essere legate a problemi deambulatori e/o inadeguatezza strutturale (pavimentazione). Solo l’analisi professionale e contestualizzata del dato può dirimere la situazione portando all’attivazione dei percorsi “terapeutici” più consoni, in caso contrario vi è il non tanto remoto rischio di intraprendere strategie che nella migliore delle ipotesi non porteranno a miglioramenti degni dell’impiego di risorse economiche che comunque si hanno, qualunque sia la soluzione intrapresa.

L’aspetto maggiormente positivo, e di conseguenza l’impatto, che l’impiego di questi strumenti ha in una completa gestione sanitaria e/o produttiva ed in ultima analisi economica dell’allevamento, è la grande capacità di acquisizione nel tempo di dati sanitari e produttivi. La sfida che ci attende è appunto quella di acquisire le competenze sufficienti e necessarie al fine di poter usare al meglio queste tecnologie che sempre più nel futuro saranno presenti nei nostri allevamenti e, quella di saper valutare al meglio tutti i dati che da queste ne derivano. Queste nostre nuove competenze permetteranno alle nostre aziende di continuare ad essere competitive con bilanci per quanto possibile positivi e, di conseguenza, anche il nostro “bilancio” professionale ed economico ne risentirà positivamente.