L’Italia è considerata una delle zone più rilevanti dal punto di vista della biodiversità vegetale e animale nel mondo. Questo è dovuto alla grande eterogeneità ambientale, prevalentemente collinare e montuosa, che ha creato nicchie ecologiche molto diversificate tra di loro anche se geograficamente vicine.

La Conferenza dell’ONU su ambiente e sviluppo tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992 (art. 2 della Convenzione sulla diversità biologica) definisce la biodiversità come “ogni tipo di variabilità tra gli organismi viventi, compresi, tra gli altri, gli ecosistemi terrestri, marini e altri acquatici e i complessi ecologici di cui essi sono parte; essa comprende la diversità entro specie, tra specie e tra ecosistemi”. La Convenzione riconosce quindi tre ordini gerarchici di diversità biologica ‒ genetica, specifica ed ecosistemica ‒ che rappresentano aspetti abbastanza differenti dei sistemi viventi.

In zootecnia, il concetto di biodiversità si riferisce prevalentemente alla “diversità genetica” all’interno delle specie domestiche allevate. Le specie allevate attualmente sono il frutto di un lungo percorso di evoluzione e domesticazione e la loro variabilità genetica incredibilmente vasta è il risultato della selezione che la natura e l’uomo, nel corso dei millenni, sono riusciti a sviluppare. Grazie ai reperti archeologici e alla genetica molecolare sono stati identificati circa 12 centri principali di domesticazione. Le capre ad esempio, sarebbero state domesticate per la prima volta circa 10.000 anni fa nelle montagne dello Zagros in Mesopotamia. Le migrazioni umane, il commercio, le conquiste militari e le colonizzazioni avvenute nel corso dei secoli hanno determinato la movimentazione degli animali dai loro habitat naturali verso nuovi scenari agro-ecologici. La selezione naturale, la selezione controllata dall’uomo e l’incrocio con le popolazioni d’origine hanno dato successivamente luogo alla grande variabilità genetica che conosciamo.

Gli studi sulla biodiversità animale approfondiscono aspetti relativi alla tutela, al censimento e alla ricerca di nuove strategie in modo da preservare le diverse specie viventi e tutti i corredi genetici espressi da ciascuna razza. Nel corso degli anni si è definito il grado di vulnerabilità delle singole razze che ha portato alla classificazione adottata dalla FAO del loro stato di rischio e la definizione del grado di minaccia più legato al trend demografico, ossia alla possibilità futura di crescita o di riduzione.

Perché in questo momento siamo così interessati alla conservazione della biodiversità? Perché, soprattutto per l’Italia, è bene salvaguardare le specie e le razze in via di estinzione? Tutti gli organismi viventi, con le loro specifiche diversità genetiche e biologiche, mantengono in equilibrio gli ecosistemi del nostro pianeta. Per quanto riguarda le razze di interesse zootecnico italiane, il concetto di biodiversità è principalmente legato alle razze autoctone a limitata diffusione, quelle cioè che popolano zone rurali svantaggiate, spesso legate a tradizioni storiche allevatoriali e a produzioni tipiche locali. La loro scomparsa comporterebbe dunque l’impoverimento del patrimonio naturalistico nazionale, lo spopolamento e il definitivo abbandono dei territori rurali, l’aumento del degrado ambientale dovuto alla mancanza del presidio antropico, la perdita delle produzioni tipiche locali e delle tradizioni culturali legate alle singole razze. L’impoverimento della variabilità genetica, ossia la presenza sul pianeta di un numero limitato di razze con un patrimonio genetico troppo omogeneo, comporta quindi rischi enormi per la nostra sopravvivenza. Ciascuna razza infatti ha peculiarità proprie in termini di resistenza alle malattie e facilità di adattamento alle avversità climatico-ambientali, che la rendono unica e indispensabile per contrastare i mutamenti che l’uomo sempre di più sta causando sul nostro pianeta.

Il registro Anagrafico

La conservazione della biodiversità è diventata da tempo una priorità della politica agricola europea e riveste un ruolo centrale nelle attività che tutti i Paesi stanno attuando per la programmazione dei piani di sviluppo rurale. Proprio perché la conservazione della biodiversità necessita della conoscenza dei trend demografici delle singole razze e della loro variabilità genetica, la gestione di queste razze si deve basare sulla registrazione accurata delle informazioni dei singoli animali e non su azioni locali ed estemporanee. Lo strumento principale per ottenere questo risultato è sicuramente il Registro Anagrafico nel quale sono conservate le informazioni genealogiche dei capi iscritti attraverso la registrazione delle fecondazioni, dei parti e delle eliminazioni. Le razze iscritte al Registro Anagrafico sono limitate sia nel numero che nella diffusione territoriale e vengono mantenute con l’obiettivo di preservare la biodiversità, mentre le razze iscritte al Libro Genealogico sono più numerose e sottoposte a piani di selezione nazionale, ossia vengono selezionati i riproduttori miglioratori della razza rispetto a obiettivi di selezione fissati dalla Associazione Nazionale di Razza. I Registri Anagrafici interessano tutte le specie animali allevate e vengono gestiti per specie (conigli, ovicaprini, equini, asini, bovini e avicoli). L’Associazione Italiana Allevatori gestisce i registri delle razze bovine, equine, asinine e avicole. L’iscrizione dei capi al registro avviene secondo le norme tecniche contenute in uno specifico Disciplinare approvato dal Ministero (D.M. n°770 del 13.01.2009 per i bovini, D.M. n°552 del 12.01.2009 per gli equidi e D.M. 19536 del 01.10.2014 per gli avicoli e loro successive modifiche). L’istituzione dei Registri anagrafici nazionali, avvenuta a partire dagli anni ’80, ha portato l’Italia ad intraprendere un processo di gestione delle razze autoctone che, nel rispetto delle realtà territoriali nelle quali le razze hanno acquisito le peculiarità geno-morfo-funzionali che le caratterizzano, consente la gestione delle genealogie dei soggetti iscritti. Tale funzione, oltre a permettere il monitoraggio della popolazione in termini di consistenza, è la base del calcolo della consanguineità dei capi. Dal punto di vista genetico, utilizzare seme di capi molto imparentati tra loro costituisce un pericolo: nelle piccole popolazioni l’accoppiamento tra parenti è comune, ma questa consanguineità porta ad un abbassamento della possibilità di sopravvivenza in quanto determina il fenomeno denominato Inbreeding Depression, ossia depressione da consanguineità. Questo fenomeno è connesso a meccanismi genetici di trasmissione di alleli alterati ai discendenti che determina un impoverimento nelle capacità produttive, riproduttive e sanitarie della progenie. Questa cosa quindi, in breve tempo, mette a rischio la sopravvivenza della razza. Le stesse considerazioni sono alla base della scelta dei riproduttori da cui effettuare i prelievi: si deve infatti evitare di prelevare il seme da maschi che siano figli di riproduttori molto utilizzati, ossia da maschi che abbiano già un elevato grado di parentela con la popolazione. La scelta dei riproduttori rientra nei compiti istituzionali del Registro Anagrafico e deve seguire valutazioni accurate che non possono essere fatte al di fuori della completezza dell’informazione genealogica fornita dalla banca dati centrale. E’ chiaro quindi che non è sufficiente scegliere i riproduttori in base alle caratteristiche morfologiche ma è fondamentale effettuare i prelievi di materiale seminale su capi poco imparentati con il resto della popolazione evitando di intraprendere iniziative al di fuori del registro anagrafico in quanto gli effetti minaccerebbero la sopravvivenza stessa della razza, danneggiando quindi gli allevatori. Ciascun allevatore, però, ha necessità di conoscere il dettaglio del proprio piano di accoppiamento, ossia quali siano i riproduttori meno imparentati con le proprie fattrici affinché le sue scelte non influenzino negativamente i parametri produttivi e riproduttivi aziendali. E’ evidente, ad esempio, che anche se un toro è molto imparentato con la popolazione, potrebbe avere una linea di sangue totalmente estranea alle vacche della stalla e quindi, nel caso specifico, l’utilizzo potrebbe non essere un problema. La cosa corretta da fare è quindi chiedere all’Ufficio Centrale il piano di accoppiamento aziendale in quanto è questo lo strumento che permette il controllo della consanguineità e, quindi, il principale strumento per preservare la biodiversità. Questa attività è garantita dalla rilevazione accurata e puntuale delle genealogie. La selezione di queste razze non è ammessa proprio perché tale processo porta con sé un aumento fisiologico della consanguineità. Per perseguire gli obiettivi del piano di accoppiamento è necessario che questi siano predisposti dall’ente centrale incaricato dal Ministero non solo perché detiene il dato ufficiale, ma anche perché ha la possibilità di avere una visione completa delle risorse genetiche di tutto il territorio nazionale permettendo di individuare con precisione le parentele degli animali e le differenti linee di sangue da utilizzare nei vari territori. Inoltre, l’attività del Registro Anagrafico prevede anche l’accertamento della parentela tramite DNA nei casi dubbi al fine di garantire la validazione del dato anagrafico ufficiale.

La sopravvivenza delle razze autoctone a limitata diffusione

La presenza sul territorio nazionale delle razze bovine, asinine e cavalline, legata a quell’economia prevalentemente agricola che da sempre ha caratterizzato l’Italia, ha subito nel corso dell’ultimo secolo una forte contrazione dovuta principalmente al processo di industrializzazione e a quello di meccanizzazione della stessa agricoltura. Tuttavia, negli ultimi due decenni, la riscoperta del territorio inteso sia come origini e costumi che come elemento naturalistico ha dato nuovo impulso al processo di recupero di alcune razze da sempre legate a luoghi e culture locali. Per i bovini, in particolare, la valorizzazione delle produzioni zootecniche attraverso il riconoscimenti di marchi Dop e Igp costituisce un vero punto di forza per la valorizzazione economica degli allevamenti. A tali fattori va naturalmente aggiunto lo stimolo di carattere economico dato sia dalle Regioni che tendono sempre più a valorizzare le origini agricole, la cultura e il territorio che dalla Comunità Europea attraverso premi e contributi.

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Il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (MIPAAF) ha ufficialmente riconosciuto 35 razze e popolazioni bovine Italiane. Di queste, 19 sono dotate di Libro Genealogico mentre le restanti 16 sono iscritte al registro anagrafico delle razze bovine autoctone a limitata diffusione (Decreto Ministeriale del 13.01.2009 n.770 e successive modifiche). Per quanto riguarda gli equini sono riconosciute 32 razze delle quali 7 sono dotate di Libro Genealogico e le restanti 25 iscritte al registro anagrafico.

Riferimenti: Registro Anagrafico Bovini e Avicoli cappelloni.m@aia.it; Registro Anagrafico Equidi carchedi.g@aia.it;

Autori: Manolo Cappelloni, Giancarlo Carchedi, Alessia Tondo