La IASP (International Association for the Study of Pain – 1986) definisce il dolore, nella specie umana, come “un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a un danno tissutale, in atto o potenziale. È un’esperienza individuale e soggettiva, a cui convergono componenti puramente sensoriali (nocicezione) relative al trasferimento dello stimolo doloroso dalla periferia alle strutture centrali, e componenti esperenziali ed affettive che modulano in maniera importante quanto percepito“.
La difficoltà di definire il dolore in termini semplici rispecchia la notevole complessità di questo evento che prevede una profonda partecipazione di aspetti anatomici, fisiologici, emotivi, esperienziali ed affettivi. Questa definizione, pur con le dovute accortezze, può essere utilizzata anche negli animali domestici. Le strutture anatomiche di base e i percorsi neurologici sono praticamente gli stessi: lo stimolo dolorifico attiva dei recettori specifici chiamati nocicettori che sono collegati ai neuroni del midollo spinale dalle fibre nervose A-delta e le fibre C. Le prime (A-delta) sono a trasmissione molto rapida e sono coinvolte nella sensibilità del dolore “acuto”, le fibre C, a trasmissione lenta, sono coinvolte nel veicolare gli stimoli responsabili del dolore “cronico”. Tali fibre nervose conducono lo stimolo dolorifico ai neuroni spinali che provvedono ad inviarlo alle strutture encefaliche superiori. Da quanto detto appare evidente che gli stimoli dolorifici agirebbero in maniera sovrapponibile in tutte le specie animali dotate della stessa architettura neuronale. Ciò che cambia è la modalità di processazione ed interpretazione dell’evento “dolore” da parte delle strutture nervose superiori (corteccia cerebrale in primis) ed il significato che tali aree decideranno di dargli.
Per secoli si è pensato che gli animali non provassero dolore, o per lo meno che lo provassero in modo differente e non certo paragonabile a quello degli esseri umani. Tuttavia, anche in medicina umana, la classe medica ha sempre guardato al dolore come ad un “male necessario” e, come tale, come oggetto di una certa indifferenza.
Oggi vi è una maggiore consapevolezza della necessità di trattamento del dolore prima di tutto come obbligo etico e deontologico dal momento che la libertà dal dolore e dalle malattie è una delle 5 libertà da garantire agli animali, come sottolineato dal Farm Animal Welfare Council nel 2009. Particolarmente importante è poi la presa di coscienza che il controllo farmacologico del dolore può essere sfruttato per garantire un miglioramento della prognosi ed un ritorno più rapido all’efficienza produttiva.
In buiatria la terapia del dolore è spesso carente e le difficoltà sono quasi sempre riconducibili ad un’insufficiente capacità di diagnosticarlo correttamente; il buiatra deve imparare questa abilità con l’esperienza, dal momento che l’insegnamento universitario è generalmente latitante sotto questo aspetto. A complicare il problema si aggiunge il comportamento “stoico” dei bovini che, essendo in natura animali predati, dissimulano le condizioni di dolore in maniera particolarmente efficiente.
I metodi di riconoscimento del dolore si classificano in oggettivi e soggettivi (Weary et al., 2006). I metodi oggettivi sono quelli che misurano dei parametri fisiologici modificati per la presenza di uno stimolo dolorifico, mentre quelli soggettivi si basano su osservazioni di comportamenti o posture messi in atto dai bovini perché influenzati dall’evento “dolore”.
Metodi oggettivi
Quando il bovino prova una sensazione di dolore l’organismo reagisce mettendo in atto delle strategie neuroendocrine utili a fronteggiare la situazione avversa. In particolare si attiva l’asse corticotropo facendo aumentare la concentrazione ematica di cortisolo e ACTH. Questi sono considerati marker di dolore affidabili e sono largamente utilizzati in ambito di ricerca nonostante siano scarsamente interessanti per un utilizzo “in campo” e comunque poco specifici.
L’attivazione del sistema nervoso autonomo determina una modificazione di una serie di parametri che possono essere misurati in maniera oggettiva:
- Catecolamine (adrenalina e noradrenalina)
- Frequenza cardiaca
- Frequenza respiratoria
- Temperatura centrale e periferica
Anche in questo caso la specificità è piuttosto ridotta dal momento che pur essendo parametri modificati in presenza di dolore non lo sono in maniera esclusiva. Ad esempio, si osservano anche in condizioni di paura o stress di altro genere.
Tuttavia, è interessante porre l’attenzione su di un sistema di misurazione della temperatura oculare attraverso un termometro ad infrarossi. In vacche sottoposte ad intervento di decornazione senza l’utilizzo di anestetici locali è stata riscontrata una significativa riduzione della temperatura oculare nei minuti successivi alla procedura (G. Della Rocca et al., 2011). Questo è un metodo semplice e poco invasivo utile a fornire un supporto oggettivo alle valutazioni soggettive nel lavoro quotidiano.
La considerazione che il dolore ha delle profonde ripercussioni sulle performances produttive e riproduttive degli animali ha ventilato l’ipotesi che quest’ultime potessero essere usate come sistema oggettivo e misurabile della condizione di sofferenza dolorifica. Purtroppo è doveroso precisare che tali conseguenze sono osservabili solo se le condizioni che le hanno determinate si protraggono per periodi prolungati e comunque si tratta di parametri scarsamente specifici di una condizione algica (G. Della Rocca et al., 2011).
Metodi soggettivi
I criteri valutativi di natura clinica o comportamentale rappresentano un sistema immediato e sufficientemente sensibile per effettuare una corretta diagnosi di dolore. Come accennato in precedenza, il limite principale è l’abilità del medico veterinario ad usare il proprio senso clinico nell’emettere una diagnosi di condizione algica. Ciò non deve spaventare (soprattutto i giovani buiatri) dal momento che, al pari di qualsiasi altra malattia, anche il dolore ha i suoi segni clinici e il loro riconoscimento si impara con lo studio e l’esperienza.
La presenza di una lesione infiammatoria, neoplastica, traumatica o chirurgica è spesso sufficiente a considerare quella condizione come “dolorosa”. A tale criterio, che potremmo definire “lesivo”, si affianca una vasta gamma di comportamenti che il bovino mette in atto come conseguenza della condizione di sofferenza dolorifica:
- Alterazione dell’attività locomotoria. Il bovino può manifestare agitazione, calpestamento del terreno, alternanza di decubito e stazione (nel dolore colico-addominale) o al contrario forte riduzione dei movimenti, adozione di una postura rigida o immobilità.
- Le vocalizzazioni sono possibili in presenza di dolore particolarmente intenso, più spesso si apprezzano sotto forma di gemiti, sia spontanei che provocati dalle manovre cliniche. Anche il bruxismo è comune negli stati di malessere da dolore.
- La posizione della testa, delle orecchie, l’espressività degli occhi e lo sguardo nel suo insieme (facies) sono indicatori di dolore particolarmente precisi. I muscoli facciali si contraggono sopra gli occhi e ai lati della testa dando vita a delle pieghe evidenti. Le narici sono spesso dilatate (K. Bech Gleerup et al., 2015). Ad esempio, dopo la decornazione senza uso di anestetico locale la testa viene alternativamente scossa verso l’alto e successivamente estesa sul collo e mantenuta bassa.
- Blefarospasmo ed epifora nelle lesioni oculo-congiuntivali.
- Tremori muscolari a volte associati a piloerezione sono caratteristici di numerose condizioni dolorifiche (reticoloperitonite, pleuropolmonite, dolore addominale ecc.).
- Tenesmo e coda leggermente staccata dal corpo nelle infiammazioni o traumi rettali o genitali.
- Posture antalgiche, come la cifosi nelle zoppie o la lordosi nei casi di dolore addominale.
- Sottrazione al carico dell’arto interessato da zoppia.
- Andamento con gli arti posteriori divaricati in seguito a mastite acuta o intertrigo.
Questa rassegna, certamente non esaustiva, di segni clinici osservabili durante le manifestazioni dolorifiche ha l’intenzione di accendere un po’ di curiosità su di un aspetto a lungo trascurato dall’attività buiatrica ma che oggi, con l’interesse diffuso per il benessere animale, deve necessariamente essere preso in considerazione. Purtroppo, il materiale scientifico disponibile è piuttosto esiguo ma comunque sufficiente per chi voglia iniziare a prendere consapevolezza e a cimentarsi nello studio del management del dolore nella specie bovina. La mancanza di indicatori oggettivi facilmente utilizzabili in campo e a basso costo impone la responsabilità del riconoscimento del dolore al Medico Veterinario, unica figura professionale capace di possedere quelle abilità cliniche necessarie ad una diagnosi attendibile.
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