Nella bovina da latte la placenta è di tipo cotiledonale sindesmocoriale e, tra le altre caratteristiche, non permette scambi di immunoglobuline tra il sangue materno e il sangue fetale.
Il vitello, quindi, alla nascita è fondamentalmente agammaglobulinemico e l’unico strumento per trasmettergli anticorpi è un allattamento precoce tramite il colostro. Questo fenomeno viene chiamato Trasferimento Immunitario Passivo, e si definisce tale in quanto il sistema immunitario del neonato non ha un’attività gammaglobulinopoietica. Circa il 10% dei vitelli è però soggetto ad un insufficiente trasferimento dell’immunità passiva tramite il colostro (FPT) per carenza quantitativa o qualitativa di quest’ultimo.
Le IgG destinate alla difesa immunitaria cellulo-mediata durante l’esposizione ad antigeni estranei e di cui l’organismo mantiene memoria in caso di una successiva infezione, rappresentano nel colostro dal 70 al 75% delle immunoglobuline totali e il contenuto che si considera sufficiente per garantire un’immunità passiva con la somministrazione di 4 litri di colostro nelle prime ore di vita è di 50 g di IgG per litro di colostro.
Questo valore corrisponde, coi sistemi di rilevamento ritrovabili nelle aziende agricole (rifrattometro), ad un valore di circa 22 gradi Brix. Con questi titoli il livello di IgG somministrate si traduce in un valore di 10 g/l nel sangue del neonato a 24 h dalla nascita, valore soglia al di sotto del quale si definisce la FPT. A questo proposito bisogna ricordare che la permeabilità intestinale alle IgG del vitello decresce rapidamente nelle prime 24 ore, come anche il contenuto i IgG del colostro della seconda e terza munta.
Per far fronte a carenze quali-quantitative di IgG colostrali, molte aziende hanno adottato il sistema della cosiddetta “banca del colostro”, utilizzando il colostro di bovine (normalmente pluripare) con titoli adeguati e refrigerandolo in appositi contenitori.
Questo sistema però implica un decongelamento lento e la disponibilità del colostro immediatamente dopo il parto dell’animale.
Negli ultimi anni la nutrizione delle bovine in preparto è stata circondata da un notevole interesse scientifico alla ricerca del Gold Standard che permetta ad una bovina di superare ipocalcemia, infiammazione e garantire un efficiente metabolismo energetico in modo di affrontare il parto senza soggiacere a patologie puerperali.
Le strategie utilizzate per questo scopo sono molteplici ma non sono oggetto di questo articolo. Infatti, frequentemente, bovine non ipocalcemiche, che non presentano sintomi di chetosi o di alterato metabolismo energetico, né soggette a endometriti o altre patologie post partum, producono colostro qualitativamente e/o quantitativamente insufficiente per raggiungere gli obiettivi di cui sopra.
Nell’ultima edizione del NASEM del 2021, il fabbisogno maggiormente rivisitato è stato quello per la gestazione negli ultimi 20 giorni prima del parto, sia dal punto di vista di concentrazione energetica sia per quanto concerne le proteine metabolizzabili. Ciò ha condotto a diete in close up molto più accurate, dovendo tener conto anche dell’ingestione, fatalmente minore nei giorni prima del parto. Queste strategie hanno portato ad un miglioramento della quantità di colostro prodotto ma non sempre della qualità in termini di contenuto di IgG. Infatti, se una bovina produce 8 litri di colostro a 18 gradi Brix e la capacità di ingestione del vitello nelle prime ore di vita è limitata a 4 litri, non raggiungeremo il nostro scopo.
Veniamo ora ai fattori nutrizionali che possono influenzare la qualità del colostro stesso. In un’interessante metanalisi condotta dall’università di Guelph (Ontario, Canada), sono stati esaminati i vari componenti nutrizionali in rapporto alla qualità del colostro. Nella figura sottostante si evince come i principi nutritivi influenzino positivamente (segno +) o non cambino la qualità del colostro (segno -).
Il colostro delle bovine da latte ad alta produzione, ad esempio, non è influenzato dal contenuto di amidi nella razione, al contrario delle bovine da carne, in quanto la capacità di produrre lattosio non è direttamente correlata all’amido, ma ha a che fare con l’abilità genetica delle bovine da latte a ripartire l’energia per la produzione di lattosio stesso. Comunque, la densità energetica della razione in preparto non ha effetti sulla produzione di igG, anche se tende a far aumentare l’insulina e diminuire il contenuto in vitamina b12 del colostro.
Ugualmente, il contenuto in proteine della razione non ha effetti sul contenuto unitario di igG, pur facendone aumentare la produzione totale per l’aumento quantitativo del colostro prodotto.
All’aumentare del titolo proteico, il contenuto in insulina del colostro aumenta, così come nel suo proteoma le proteine destinate allo sviluppo del tratto intestinale ed al sistema immunitario a spese di quelle associate con la regolazione della crescita
È invece interessante notare che, all’aumentare del tenore lipidico della dieta, e specificamente a quello dell’acido linoleico, aumenta la concentrazione di igG e di proteine totali del colostro, pur diminuendo il contenuto lipidico, probabilmente per uno shift nella produzione degli intermedi coniugati dell’acido linoleico.
Interessante, a questo proposito, la correlazione tra contenuto lipidico del colostro e tenore in vitamina E del colostro stesso.
Comunque, vista l’importanza delle patologie neonatali del vitello e la tendenza alla riduzione del farmaco, la prevenzione per via alimentare rappresenta una frontiera interessante per la ricerca nel prossimo futuro.
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