In oltre vent’anni di analisi e programmazione, il principale problema da me riscontrato in ogni settore, dall’automazione industriale, passando per il commercio fino alla zootecnia, è stato ed è tutt’ora l’identificazione degli oggetti gestiti, non tanto all’interno di un Archivio, quanto in relazione al mondo “esterno”.

Consideriamo la mungitura in una stalla di bovine da latte: occorre individuare con certezza la vacca per assegnarle la produzione giornaliera. In teoria basta una marca auricolare, chiamata anche matricola, che identifica la bovina, un orologio per determinare giorno ed ora della mungitura ed una pesa per valorizzare i Kg di latte.

In pratica, ci sono voluti anni affinché la marca auricolare si imponesse su identificazioni quali nome e numero aziendale, e su dispositivi elettronici quali i trasponder nei boli o i pedometri o gli attivometri, tutti sistemi oggi utilizzati all’interno dell’allevamento.

Chi come me ha vissuto i primi anni dell’Anagrafe Bovina ricorderà che esistevano vari tipi di matricola, dalla LG (Libro Genealogico) legata ai Controlli Funzionali, a quella usata per interfacciarsi col mondo ASL (oggi diremmo ATS), poi evolutasi nella così detta DPR317.

Alla fine, l’Unione Europea ha definito quella che per semplicità viene chiamata CEE820. Questo sistema prevede 14 caratteri alfanumerici: inizia con 2 caratteri alfabetici indicanti la codifica della nazione dove la bovina è nata (esempio IT), seguiti da 12 caratteri costituenti il Codice Identificativo del Bovino.

Su questi 12 caratteri le nazioni si sono sbizzarrite.

In Italia i primi 3 corrispondono al Codice Istat della Provincia (esempio 019), poi però si pensò di codificare anche qualche carattere seguente per “distinguere” le matricole delle bovine iscritte ai CC.FF. (Controlli Funzionali). Quest’ultima “sotto codifica” durò pochi anni.

Le altre Nazioni hanno semplicemente deciso di non usare tutti questi 12 caratteri, così le loro matricole sono più corte, a volte anche di molto.

A mio avviso sarebbe stato meglio se tutte le matricole avessero utilizzato tutti i 14 caratteri, utilizzando tanti “0” per riempire i posti vuoti tra i primi 2 caratteri ed i restanti.

La marca auricolare viene pinzata all’orecchio del vitello alla nascita e viene riportata su un supporto (libro di stalla, cedola, computer) associata alla data di nascita ed alla madre, anch’essa identificata dalla propria marca auricolare.

In pratica è in questo momento che possono verificarsi i primi errori, umani, di identificazione: per scambio di marche auricolari con altri vitelli nati nello stesso periodo, trascrizione errata dei caratteri, perdita e recupero fortuito di una marca.

Da qualche anno nella marca auricolare è stato inserito un microchip su cui sono memorizzati praticamente gli stessi caratteri alfanumerici della marca. In questo modo, con un apposito lettore, è possibile individuare la bovina anche se la marca non è visibile. Mentre diventa visibile per gli “occhi elettronici”.

Non che il mondo elettronico sia esente da errori, anche quando la sala di mungitura è dotata di un orologio, per sapere “quando” è avvenuta la mungitura, e di una pesa perfettamente tarata, per sapere “quanto” latte è stato prodotto, interfacciati con un sistema informatico in modo da registrare automaticamente queste informazioni, associato ad un meccanismo di identificazione e posizionamento delle vacche.

Torniamo, ad esempio, alla nostra bovina che fa capolino in sala di mungitura: un’antenna posta all’ingresso la individua e la “posiziona”, potrebbe però capitare che si ritragga scavalcata da un’altra bovina più spavalda. Così potrebbero essere scambiate le pesate ed i boccettini di latte da analizzare.

Il boccettino, poi, è individuato da un codice a barre che non riproduce la marca auricolare. Occorre quindi un’ulteriore associazione su un supporto (carta, computer), associazione anche qui potenzialmente soggetta ad errori.

Almeno il codice a barre, così come la marca auricolare, non è duplicabile…?