Il concetto di aplotipo è legato alla selezione genomica. Ma che cos’è un aplotipo e perché sarebbe meglio occuparsene se si tiene alla fertilità della propria azienda?

Un aplotipo è una porzione di DNA che si trasmette da una generazione alla successiva in un unico blocco. All’interno di questa porzione di DNA ci sono dei geni ed in alcuni casi alcuni di essi presentano una particolare mutazione che li rende mal funzionanti. Oggi, di molti di questi geni si conosce il dettaglio e si sa che entrano in gioco nei meccanismi che determinano il corretto sviluppo dell’embrione prima, e del feto poi, per arrivare sino alla nascita di un soggetto vivo e vitale in grado di sopravvivere fino all’età riproduttiva ed oltre.

All’inizio della selezione genomica, si è riusciti ad identificarli perché si è osservato che in tutti i soggetti genotipizzati di una popolazione (maschi e femmine) non erano presenti soggetti omozigoti per quella precisa porzione di DNA; in altre parole, non erano sopravvissuti tanto da essere genotipizzati quei soggetti che avevano ricevuto sia dal padre che dalla madre quell’aplotipo. Questo è il motivo che li ha da subito legati alla fertilità, da cui il nome aplotipi, con effetto negativo sulla fertilità. L’effetto che si può misurare sulla popolazione è che incrociando due soggetti portatori dello stesso aplotipo/gene difettoso si perdono il 12,5% delle gravidanze mascherate sotto forma di riassorbimenti, non attecchimenti, nati morti e malformati etc… 

Tutti i moderni piani di accoppiamento hanno come obiettivo quello di evitare di incrociare fra loro soggetti portatori. Di tutti i tori avviati alla FA si conosce lo status per tutti gli aplotipi, ma se un allevatore sceglie tutti tori portatori dello stesso difetto anche il migliore dei piani non potrà evitare di incrociare fra loro madre e padre entrambi portatori. Nel caso in cui l’allevatore non utilizzi un piano di accoppiamento, ovviamente tutto sarà lasciato al caso, perché conoscere tutti i portatori e le linee genetiche probabili portatrici per quanto riguarda manze e vacche non è proprio cosa semplice.

La tabella 1 riporta la situazione dell’attuale popolazione femminile attiva genotipizzata, cioè viva e presente in azienda. Questo dato, essendo aumentato molto il numero di aziende che testano tutte le femmine nate, può oggi essere considerato sufficientemente rappresentativo dell’attuale situazione della popolazione di razza Frisona.

Tabella 1 – Le descrizione e la frequenza nell’attuale popolazione femminile attiva genotipizzata in Italia (Fonte: servizio HERDUP ANAFIBJ).

Gli aplotipi HH1, HH3, HH5, e HCD sono quelli che oggi sembrano avere una frequenza superiore al 3%. L’HH5 ha superato abbondantemente il 7% e l’HCD il 5%, e cominciano ad essere un pò diffusi nella popolazione. A questi occorre quindi prestare particolare attenzione. Dall’anno scorso ANAFIBJ ha vietato l’autorizzazione alla FA di soggetti portatori dell’HCD (come già fatto per CVM e Brachyspina), ma non ci sono per ora veti sui portatori degli altri aplotipi perché si conta sull’azione di prevenzione dell’incrocio fra portatori dei piani di accoppiamento.

Per evitare effetti indesiderati sulla fertilità di vacche e manze si suggerisce di:

  1. fare attenzione nella scelta dei tori ai soggetti portatori dell’aplotipo HH5 e HCD;
  2. utilizzare sempre il piano di accoppiamento che garantisce di evitare di accoppiare gli eventuali portatori selezionati perché capaci di trasmettere superiorità genetica su caratteri importanti per il proprio allevamento;
  3. genotipizzare le femmine in maniera da avere un quadro più preciso della propria situazione aziendale.