Anche l’allevamento della pecora da latte inizia a destare interesse in considerazione dell’aumentata richiesta di prodotti lattiero caseari da parte del mercato nazionale ed internazionale. Al di fuori della Sardegna, area regina e maestra con la realtà della pecora Sarda, esistono allevamenti di medie e grandi dimensioni che trasformano il latte in prodotto o lo consegnano a caseifici industriali.
Ad eccezione dell’arco alpino, l’allevamento ovino è ormai diffuso su tutto il territorio nazionale.
La tipologia d’allevamento è principalmente estensiva o semi estensiva con sfruttamento costante del pascolo e integrazione di concentrati durante la mungitura, per conferire apporti nutrizionali tali da sostenere le produzioni lattifere.
In base alle superfici pascolabili viene messa in atto la rotazione dei pascoli in modo tale da rendere razionale lo sfruttamento del territorio.
La mungitura viene eseguita manualmente in campo o in apposita area predisposta o altrimenti con il supporto dell’impianto di mungitura, che spesso viene montato su carro, dotato di generatore, e quindi con possibilità di seguire il gregge durante i suoi spostamenti.
Le razze allevate variano a seconda della zona: esistono razze selezionate che sono tipiche del territorio e poco o nulla diffuse al di fuori di questo, mentre altre, come la pecora Sarda, hanno avuto espansione al di fuori della regione di provenienza, vuoi per la facile capacità d’adattamento al territorio e soprattutto per l’attitudine alla produzione di latte.
Il latte ovino presenta un tenore in grasso e proteina notevolmente superiore alle altre specie da latte allevate:
Composizione del latte ovino
I presupposti igienico-sanitari di base permettono di mungere un latte con basse cariche batteriche (inferiori a 500.000 ufc/ml) grazie ai sistemi di pulizia e disinfezione adottati sugli impianti di mungitura, con pulizia e disinfezione ad ogni munta e aggiunta di acido (ad azione disincrostante) ogni 10-15 giorni dopo avere compiuto il ciclo di disinfezione.
Per chi munge manualmente, sottolineando che un singolo operatore riesce a mungere anche più di 100 capi per ora di lavoro, deve prestare attenzione al luogo di mungitura che dovrebbe essere un’area adibita e sempre pulita come pure i secchi e le attrezzature di raccolta del latte, oltre alla cura della pulizia delle mammelle al momento delle operazioni di mungitura.
La mancanza di queste premesse porta ad ottenere un latte sporco ed inquinato da batteri, quindi meno propenso alla caseificazione e che può subire processi di alterazione, primo fra tutti i gonfiori e le fessurazioni nei formaggi dovuti ai Coliformi, batteri che si riproducono in maniera esponenziale in presenza di residui e incrostazioni negli impianti di mungitura, oltre a creare le premesse ideali per la proliferazioni di mastiti negli animali, per arrivare addirittura alla comparsa della mastite gangrenosa da Staphilococcus Aureus che può portare alla morte i capi interessati o comunque alla perdita della capacità produttiva.
L’adozione del pre e post-dipping con l’uso di prodotti opportuni, anche nella routine di mungitura degli ovini,diventerebbe una tecnica di prevenzione molto efficace, limitando così la riforma forzata di animali o l’uso di antibiotici e presidi vaccinali che pesano sul bilancio economico dell’azienda.
Sempre restando in ambito mastiti è da evitare la promiscuità dei greggi o l’introduzione di capi che non abbiano le garanzie sanitarie di base (controllo negativo per Brucellosi e Agalassia Contagiosa) in quanto, oltre alle comuni mastiti, può diffondere il Micoplasma Agalactie responsabile della cosiddetta “asciuttarella” scientificamente definita agalassia contagiosa, responsabile di perdita improvvisa del latte da parte dei soggetti colpiti, cheratocongiuntivite e fenomeni artritici invalidanti, al punto che i capi interessati restano in decubito permanente costringendo l’allevatore alla riforma forzata, situazione disastrosa per l’azienda con conseguenze devastanti per gli animali colpiti e per il futuro dell’allevamento stesso.
Quindi l’immediato allontanamento dei capi che presentano i primi segni di patologia e l’adozione di misure preventive come quelle sopra descritte, che sono di facile applicazione, ed infine il ricorso a terapie opportune eseguite tramite l’assistenza del veterinario permettono di ridurre le perdite di animali elevando la qualità del latte e soprattutto la buona quantità.
I greggi ovini usufruendo in maniera continuativa del pascolo, e ancor più per i vaganti, sono particolarmente esposti a contrarre l’aborto infettivo causato da batteri, parassiti o virus.
Tra i batteri va citato l’aborto da Clamydae diffuso tramite ospiti intermedi rappresentati dai volatili (in particolare cornacchie, corvi e piccioni) i quali attraverso il materiale fecale diffondono nell’ambiente i corpi elementari, forma quiescente della clamydia molto resistente nell’ambiente, la cui ingestione da parte delle pecore con il pascolamento porta alla trasformazione nella forma attiva che inevitabilmente provocherà l’aborto o la nascita di neonati immaturi o disvitali.
Lo stesso dicasi per la Toxoplasmosi o per la Neosporosi (patologie di tipo parassitario), che penetrano nell’organismo animale tramite alimenti contaminati dalle oocisti per poi dare aborto dopo una serie di trasformazioni all’interno dei capi contaminati con bersaglio finale la placenta.
Bastano questi due esempi per rendersi conto di quanto siano esposti a contaminazione i nostri greggi; tra le forme batteriche frequenti rientrano la Salmonella, la Febbre Q, la Listeriosi mentre tra le virali vanno citate lo Shmallenberg disease e la Border Disease.
Anche la Brucellosi va annoverata tra le possibili patologie causa aborto degli ovini, anche se con i controlli ufficiali non dovrebbe più essere presente sul territorio nazionale, colpisce anche gli arieti determinando epididimite con infiammazione dei testicoli che si presentano aumentati di volume e dolenti causa di diminuzione della fecondità.
Molto pericolosa per l’uomo (zoonosi) colpisce l’apparato respiratorio e l’apparato genitale con orchiepididimite e la classica febbre ondulante con picchi febbrili molto alti seguiti da periodi di remissione (febbre maltese).
L’immediata e doverosa segnalazione ai servizi veterinari competenti per iil territorio ha lo scopo di circoscrivere il focolaio, impedendo la diffusione ad altri greggi e tutelando la salute pubblica.
Il contatto con capi contaminati di altri greggi o di altre specie (vedi caprini o bovini), con possibilità di infezione crociata, o ancora il contatto anche transitorio con i selvatici, esempio caprioli o mufloni, può determinare l’inizio di fenomeni abortivi in serie nell’allevamento.
In queste situazioni è importante evitare “il fai da te”, al contrario bisogna non perdere tempo e ai primi segni di riassorbimenti o aborti chiamare il veterinario il quale eseguirà l’indagine epidemiologica con il supporto di laboratori specializzati, per arrivare ad individuare la causa e mettere in atto le terapie opportune nel momento dell’emergenza, quindi le possibili prevenzioni tramite l’uso della vaccinazione, quando possibile, allo scopo di proteggere il gregge negli anni futuri.
Nelle problematiche sanitarie delle pecore vanno citate le parassitosi, sempre attuali e da tenere continuamente sotto controllo onde evitare danni alla salute degli animali e all’economia dell’azienda.
Un cenno meritano la Criptosporidiosi e la Coccidiosi che colpiscono i giovani animali determinando diarrea con possibile mortalità e ritardi di crescita che compromettono la carriera produttiva dei soggetti colpiti.
Le misure di profilassi sono principalmente di tipo igieniche, basate sulla pulizia e disinfezione delle lettiere e degli ambienti che ospitano le giovani rimonte, con l’uso di prodotti opportuni ad azione parassiticida, battericida e virucida in grado di bonificare l’intera zona interessata.
In caso di necessità le terapie, messe in atto al momento opportuno, risultano risolutive e di valido sussidio alle operazioni sopra descritte.
Anche gli adulti sono bersaglio per strongili gastroenterici e broncopolmonari, per cestodi (vermi piatti) e anche trematodi, come pure per l’ectoparassitosi quali acari, zecche, pidocchi,…
In generale gli endoparassiti determinano indebolimento dei capi interessati con perdita di peso e dimagramento, riduzione della capacità produttiva, enteriti con diarree nel caso di strongilosi gastroenterica e scolo nasale associata a tosse stizzosa e forme bronchiali nel caso di parassiti dell’albero respiratorio.
Nel caso dei trematodi epatici si ha grave danno al fegato per localizzazione in questo organo da parte dei parassiti adulti i quali scavano gallerie e si incistano nell’ambito della parete epatica con ripercussioni sulla salute dei soggetti colpiti.
Sempre tra gli endoparassiti meritano citazione i cestodi (vermi piatti) i quali, attraverso le loro forme larvali, costituiscono grave pericolo per la salute umana oltre che per gli animali. Valgono da esempio il “Coenurus cerebralis (Cenurosi), forma larvale della Taenia multiceps multiceps, che in forma adulta vive nell’intestino del cane e in fase larvale negli ovini si localizza nel cervello e nel midollo allungato determinando sintomatologia nervosa, o il Cysticercus tenuicollis, forma larvale di Taenia hydatigena, che da adulto vive nell’intestino del cane e di altri canidi mentre nella fase larvale si localizza nel fegato e organi addominali degli ovini formando cisti anche di notevoli dimensioni.
In questi casi è ancora la profilassi il meglio da attuare, evitando di fornire visceri o carcasse di ovini ai cani ma provvedendo all’incenerimento di queste che rappresentano possibile fonte di contaminazione; nelle pratiche terapeutiche il veterinario consiglierà i principi attivi opportuni e i dosaggi adeguati a queste situazioni eseguendo in contemporanea la sverminazione di tutti i cani presenti in azienda e a contatto con il gregge attraverso l’uso di appropriati medicamenti destinati ad essere usati sul cane.
In generale la possibilità del pascolo turnato, l’evitare il pascolamento alle prime ore del giorno e al tramonto e la promiscuità degli stessi pascoli con altri greggi, le corrette pratiche terapeutiche adottando l’alternanza dei principi attivi per evitare d’incorrere nei fenomeni di resistenza parassitaria, i momenti opportuni in cui applicare tali pratiche vale a dire durante l’ultima fase della gravidanza e in primavera all’esordio della nuova stagione di pascolo permettono di tenere sotto controllo gli endoparassiti che normalmente aggrediscono i nostri ovini.
Queste semplici regole valgono anche per gli ectoparassiti i quali possono arrecare danni alle performance degli animali, basti pensare alle forme di rogna che danno intenso prurito con lesioni crostose e possibili contaminazioni secondarie di tipo batterico, oltre a situazione di malessere e fastidio continuo sui capi interessati i quali inevitabilmente riducono la produzione di latte o, nel caso di ovini da carne, l’incremento ponderale e creano danno al vello e alla cute.
Tra gli ectoparassiti merita citazione l’estrosi ovina da Oestrus ovis, le cui larve si localizzano nelle coane nasali e nei seni frontali provocando scolo nasale (generalmente monolaterale), problemi respiratori, fino a forme nervose oltre al deperimento dell’animale e alla riduzione della produzione di latte (fino al 10% in meno).
Sempre attuale e di non facile gestione risultano le patologie podali dove il Fusobacterium necrophorum e il Bacterioides nodosus sono i batteri protagonisti della classica pedana che trovano facile irruzione su piedi indeboliti e lesionati dal passaggio su terreni continuamente umidi e impantanati o dal passaggio in pascoli con sassi o pietre taglienti che determinano traumi podali, oltre alla scarsa cura da parte del pastore, dove applicando precocemente le opportune terapie riuscirebbe a contenere la malattia senza permetterne la diffusione nel gregge.
Bacteriodes nodosus è l’agente trasmissibile di questa malattia nella cui patogenesi però interviene, in modo sinergico, un altro agente costituito da Fusobacterium necrophorum (Sphaeroides neccrophorus) .
In condizioni favorevoli di umidità F. necrophorus penetra nella cute dello spazio interdigitale inducendo dermatite, in tal modo questo settore della cute diviene suscettibile all’intervento di B. nodosus.
La patologia può essere contratta dal passaggio su terreni contaminati (persistenza ambientale di B. nodosus per un massimo di 4 giorni) o dall’introduzione nel gregge di animali portatori che non è detto diventino sintomatici (esiste la possibilità che la pecora infetta non mostri sintomi clinici per un periodo di 2-3 anni).
La malattia si evidenzia in coincidenza di forti precipitazioni piovose, quando la temperatura ambientale è al di sopra dei 10° C.
Oltre alla precocità d’intervento mettendo in atto gli opportuni rimedi e terapie, attraverso l’intervento del veterinario di fiducia, sono le misure profilattiche i migliori ausili ad evitare questa malattia:
- evitare l’introduzione di animali portatori o in arrivo da greggi che hanno manifestato negli anni segni di patologia
- nel caso nel gregge siano presenti soggetti con pedania in stato cronico mettere in atto la riforma di tali capi
- cure podali attraverso medicazioni, pareggio delle unghie e applicazioni di medicamenti quando opportuno eseguiti con regolarità.
In situazioni valutate “a rischio” messa in atto del piano vaccinale da eseguire in maniera scrupolosa e nel rispetto delle tempistiche, attraverso l’intervento del veterinario che provvederà a rispettare le scadenze d’inoculo e verificherà il buon esisto dei presidi vaccinali messi in pratica.
Nel complesso dell’allevamento ovino esistono, purtroppo, molte altre malattie sempre in agguato e pronte ad aggredire i greggi: le forme respiratorie rappresentate in primis dalle Pastorellosi, le patologie virali (Blue tongue, ectima contagioso, …) e forme enteriche con le clostridiosi che colpiscono dai piccoli agnelli fino agli adulti con i batteri che penetrano nell’organismo attraverso i tessuti (ferite contaminate), producendo tossine che portano alla morte dell’animale, o attraverso le tossiemie provocate dall’assunzione di alimenti contaminati con assorbimento di tossine prodotte dal clostridio a livello digerente (gastro ed enterotossiemie) con esito spesso mortale per i soggetti colpiti.
In questi casi l’attenzione alla gestione pascolo e agli alimenti somministrati ed, eventualmente, un serio piano vaccinale messo in atto, rappresentano i sistemi più efficaci per evitare tali situazioni.
In generale l’applicazione delle regole di buona gestione sanitaria del gregge, vale a dire l’evitare d’introdurre soggetti di cui non si conosce lo stato sanitario, l’isolamento preventivo dei capi di nuova introduzione anche se con garanzie sanitarie, il pascolamento in aree cosiddette “sicure” dove non passino altri greggi o dove può esserci contatto con questi (anche a distanza), l’applicazione delle prevenzioni vaccinali e parassitarie e il corretto sostentamento alimentare, mantenendo gli animali sempre in buono stato corporeo, permetterà all’allevatore di preservare nel tempo la salute dei propri animali abbassando il rischio di contrarre infezioni o patologie dannose per il gregge e per l’economia aziendale.
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