L’avvento della genomica ha rivoluzionato l’allevamento del bovino da latte ed i suoi effetti sono stati senza dubbio amplificati dall’utilizzo del seme sessato. Ciononostante, c’è ancora qualcuno che si domanda se, quanto e chi genotipizzare. La domanda è lecita ma i dati dimostrano che genotipizzare conviene, soprattutto se i tassi di rimonta sono bassi.

Introduzione

L’amletico dilemma dell’essere o non essere, o per meglio dire del genotipizzare o non genotipizzare, è quello che gli allevatori hanno cominciato a porsi quando, passata l’iniziale euforia legata alla disponibilità di valutazioni genomiche, si sono trovati appunto a decidere se valesse la pena eseguire test genomici sui propri animali oppure no.

Il dilemma nasceva anche dal fatto che all’inizio, come avviene anche per le ben note piattaforme di streaming di film, serie tv o sport, il costo è molto ridotto, o a volte nullo, ma dopo un iniziale periodo di prova bisogna cominciare a spendere, e quindi è lecito chiedersi se il gioco vale la candela.

Non solo, insieme alla genomica l’allevatore ha anche avuto a disposizione un altro formidabile strumento: il seme sessato. Sebbene fosse già presente sul mercato, negli ultimi anni la sua qualità ed i risultati ottenuti sono migliorati enormemente, senza contare che può essere usato sia per generare nuove femmine ma anche maschi, in un’ottica di produzione di carne.

Le variabili in gioco sono quindi molte, e molto dipende anche dalle caratteristiche aziendali. Come al solito non è facile trovare una risposta che valga per tutti. Ciononostante, si possono dare delle indicazioni di massima ed un recente lavoro pubblicato sul Journal of Dairy Science da alcuni ricercatori tedeschi (Wellmann et al, 2023) ha fornito interessanti ed utili suggerimenti. Vediamo quali.

A ciascuno il suo scenario

Il punto di partenza di Wellmann e colleghi è stata la definizione di 5 scenari diversi sulla base dell’uso, oppure no, della genotipizzazione, del seme sessato su vacche o manze per produrre rimonta o animali da carne, e del seme convenzionale. Per ciascuno di questi scenari sono stati poi calcolati i costi ed i ricavi, e sicuramente questa è stata la parte più complessa, perché ogni stalla può avere le sue dinamiche.

Alcune delle caratteristiche considerate sono state la dimensione aziendale, alcuni parametri riproduttivi, il tasso di rimonta, i costi di inseminazione (che dipendono dal tipo e dal numero), i costi di genotipizzazione e il livello genetico degli animali presenti in stalla.

Sebbene questo approccio possa essere personalizzato per ogni singola stalla, Wellmann et al hanno utilizzato alcune combinazioni specifiche e per ciascuna di queste hanno calcolato il ricavo per singola vacca, esprimendolo come differenza dal ricavo ottenuto in una stalla dove non era prevista alcuna genotipizzazione e si utilizzava solo seme convenzionale (scenario base).

I risultati sono sintetizzati nella Tabella 1, dove sono riportati il tipo di toro (latte/carne) e seme (convenzionale/sessato) utilizzati, e la % di femmine (manze o vacche) inseminate con il seme sessato o con quello convenzionale.

Tabella 1. Ricavo netto per vacca, espresso come differenza dallo scenario Base, considerando diversi scenari produttivi in funzione dell’uso oppure no della genotipizzazione, del seme sessato su vacche o manze per produrre rimonta o animali da carne e del seme convenzionale.

Ci sono molti risultati interessanti. Cominciamo dalla domanda forse più comune: vale la pena genotipizzare, sì o no? I risultati ottenuti parlano chiaro: non genotipizzare, usare soprattutto seme convenzionale ed un po’ di sessato (forse quello che fanno ancora molti – Scenario A3) generano ricavo, ma un ricavo inferiore di quasi la metà rispetto a chi genotipizza e gestisce nel modo corretto le inseminazioni (A1, A3 e A4).

Altra domanda: quindi genotipizzo tutto? Bisogna sì genotipizzare ma per ottenere i risultati migliori bisogna anche utilizzare nel modo corretto il tipo di seme. Genotipizzare ma usare solo seme convenzionale sia sulle manze che sulle vacche è come avere una Ferrari ed usarla in città. Si fa una bella figura ma rende poco.

Sessato sulle manze e convenzionale sulle vacche? Sì, gli scenari A1, A3 e A4 confermano che su manze e vacche genotipizzate conviene usare sessato e convenzionale in maniera diversa. Più sessato sulle prime e meno sulle seconde.

E i tori da carne? Sulla parte meno buona della stalla, che siano esse manze o vacche (soprattutto), usare un toro da carne è un’altra strategia che può far quadrare i conti.

Quest’ultimo punto in particolare dipende molto dalla percentuale di rimonta presente in stalla. Nella figura 1, sempre tratta dal lavoro di Wellmann et al, si può visualizzare il massimo ricavo raggiungibile all’aumentare dell’uso del seme sessato (asse x) in funzione di 4 diverse quote di rimonta.

Figura 1. Massimo ricavo raggiungibile per vacca all’aumentare dell’uso del seme sessato (asse x) in funzione di 4 diverse quote di rimonta (replacement). Tratto da Wellmann et al (2023).

Quando la quota di rimonta è inferiore al 20%, la percentuale delle migliori femmine disponibili in stalla che dovrebbero essere inseminate con seme sessato oscilla tra il 10% ed il 20%.

Considerazioni finali

Quando la genomica è stata introdotta sul mercato, questa entrava nelle stalle solo attraverso i tori. Piano piano si è passati a genotipizzare anche le vacche, inizialmente per scegliere le madri di toro o per cercare tra le manze ad indice pedigree più basso eventuali plus-varianti penalizzate dal metodo BLUP tradizionale.

I costi erano spesso a carico di progetti di ricerca, di associazioni di razza o centri di FA. Col passare del tempo le cose sono cambiate ed oggi la genomica è uno strumento che deve essere integrato con altre metodologie per poter fornire i risultati sperati.

Non tutti hanno colto questo aspetto, e fino ad alcuni anni fa non tutte le ricerche erano concordi nei vantaggi di una genotipizzazione a tappeto. I risultati presentati, frutto di un bel lavoro svolto in Germania, dimostrano che oggi genotipizzare conviene ma che come tutte le tecnologie innovative deve essere fatto nel modo giusto e non a caso.

La genotipizzazione deve essere accompagnata dall’uso del seme sessato, distribuito soprattutto sulle manze ed in minor misura sulle vacche. Usare anche tori da carne è un’altra opzione che va considerata, in funzione però del tasso di rimonta.

Non esiste però una regola valida per tutti ma servirebbero degli strumenti di campo che lavorano sui dati delle aziende specifiche, ed in particolare su quelli economici. Di sicuro il dilemma non è di facile soluzione ma, citando ancora Shakespeare, tutto è bene quel che finisce bene.

Bibliografia

Wellmann, R., Rolfes, A., Rensing, S., & Bennewitz, J. (2023). The economic benefit of herd genotyping and using sexed semen for pure and beef-on-dairy breeding in dairy herds. Journal of Dairy Science. DOI:https://doi.org/10.3168/jds.2023-23297