La risposta è sicuramente si, anche se qualche eccezione può essere condivisibile. C’è da precisare che la suddivisione delle bovine in lattazione, ma con la stessa razione alimentare, può avere un senso in soli due casi. Il primo è relativo al gruppo delle primipare che notoriamente hanno un picco di lattazione basso, una lattazione persistente e, se hanno una normale fertilità e la razione è ben formulata, hanno minori rischi d’ingrassare a fine lattazione rispetto alle pluripare. Gli eventuali eccessi energetici vengono dirottati per la crescita. La seconda eccezione è per gli allevamenti di bovine dove la fertilità è gestita molto bene, ossia che non scendono mai durante l’anno al di sotto del 55% di bovine gravide, con un intervallo medio tra il parto e il concepimento stabilmente al di sotto dei 120 giorni. Sono gli allevamenti che hanno i giorni medi di lattazione costantemente nell’anno al di sotto dei 170. In questo caso le bovine nella seconda fase di lattazione riusciranno a coniugare discretamente persistenza di lattazione, capacità d’ingestione e ingrassamento. Quello che ha poco senso è la divisione in gruppi delle pluripare con la medesima razione alimentare. Le ragioni sono di ordine economico e sanitario.
Una razione destinata alle bovine pluripare in lattazione, cosiddette “fresche”, ha come primo obiettivo quello di stimolare un picco di lattazione il più elevato possibile, ossia di avere oltre il 25% di bovine che supera i kg 40 di latte, e contrastare i danni che il bilancio energetico e proteico negativo fa sulla fertilità e sulla piena efficienza del sistema immunitario. E’ la razione più costosa in quanto si utilizzano in genere maggiori concentrazioni proteiche ed energetiche e spesso additivi molto efficaci ma al contempo molto costosi. La razione delle pluripare ormai gravide e/o con minore produzione è di per sè la più complessa, in quanto deve coniugare la necessità di una adeguata persistenza di lattazione ed evitare pericolosi ingrassamenti, in bovine dove già il solo spostamento di gruppo ha intrinseco il rischio di far perdere produzione. Il principio che ispira il nutrizionista nel fare le diete delle pluripare fresche è quello di fare sì razioni ad alta concentrazione proteica e di carboidrati non strutturali ma di garantire un’ingestione la più elevata possibile senza incorrere quindi nella “trappola” dell’acidosi ruminale o degli eccessi azotati pericolosi per la salute delle bovine e per l’economia dell’allevatore. In ogni caso questa condizione è alquanto improbabile che si realizzi. Il principio invece che guida il nutrizionista nel fare le razioni per le pluripare “stanche” è quello di mantenere elevata l’ingestione, la persistenza di lattazione ed evitare additivi come i grassi saturi rumino-protetti che potrebbero aggravare la purtroppo para-fisiologica lipidosi epatica delle bovine. Di fondamentale importanza per “tarare” questa ultima razione è conoscere esattamente la media produttiva del gruppo, la percentuale di bovine gravide, i giorni medi di lattazione, il numero medio di lattazione e la concentrazione di grasso e proteina del latte. Tutto questo unito ad un attento monitoraggio, almeno mensile, del BCS.
Di grande importanza è il verificare e quantificare quanto latte perdono le singole vacche dopo lo spostamento nel gruppo delle “stanche”. In molte nazioni del mondo, compreso il nostro paese, mancano informazioni su quale sia l’effettiva realtà gestionale delle bovine da latte. Molto interessante è l’analisi che fa l’USDA-APHIS che periodicamente, nel programma National Animal Health Monitoring System ( NAHMS), monitora cosa realmente succede negli allevamenti statunitensi utilizzando come campione il 79.5% degli allevamenti e l’82.5% delle bovine allevate. Negli ultimi dati pubblicati (2007) viene riportato che il 62.3% degli allevamenti alimenta le bovine in lattazione con la stessa razione, il 35.6% le divide in gruppi alimentari e fisici per produzione e stadio di lattazione e l’1.6% per numero di lattazioni. Quest’ultima pratica è molto diffusa in Israele anche se non conosciamo esattamente i dati statistici di questa interessante scelta gestionale. Cosa è pertanto consigliabile? Lo spostamento delle bovine da un gruppo all’altro è sempre uno stress in considerazione della rigida gerarchia sociale di questi animali. Tuttavia ci sono fasi del suo ciclo produttivo in cui questo è inevitabile, come i passaggi nelle due o tre fasi dell’asciutta e il puerperio. Se non s’intende somministrare diete differenti, lo spostamento delle bovine in lattazione in gruppi organizzati con diversi criteri genera solo fatti negativi. Una razione per bovine “fresche” è poco adatta alle bovine “stanche” perché gli obiettivi nutrizionali sono completamente differenti. Nelle bovine gravide in lattazione è la mammella, e quindi la produzione di latte, ad avere l’assoluta priorità metabolica. In quelle gravide, in lattazione e non, è l’utero, e quindi il feto, e le riserve corporee ad avere la priorità metabolica. Inoltre le ragioni di ordine economico rendono la razione unica in lattazione di fatto impraticabile. A giustificare l’uso della razione unica in lattazione era ed è il fatto che la bovina dopo il picco di lattazione riduce l’ingestione e riesce quindi a gestire il bilancio energetico e proteico positivo dell’ultima metà della lattazione.
Con l’evolversi della genetica, e quindi degli assetti ormonali e metabolici, questo concetto sembra valere sempre meno in considerazione del fatto che il numero di bovine grasse che arrivano all’asciutta sembra essere in costante aumento. Negli allevamenti piccoli è spesso difficile sia dividere le bovine in lattazione in gruppi che, soprattutto, fare razioni differenti. In questi casi di grande utilità è valutare l’adozione di auto-alimentatori attraverso i quali somministrare un supplemento di concentrati alle bovine “fresche” e alle primipare utilizzando una sola razione di base e senza avere la necessità di spostare gli animali nei gruppi.
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