Per definizione, il leader è colui che ha la responsabilità di condurre un gruppo di persone verso un obiettivo. Il raggiungimento dell’obiettivo dipende in buona parte dalla capacità del leader, ammesso che le condizioni esterne non siano così precarie da impedirne, di fatto, la possibilità di successo. Anche in questo caso, tuttavia, il leader è pur sempre colui che prima di raggiungerli, definisce gli obiettivi realisticamente raggiungibili.
Giampiero Gasperini, recente vincitore della Coppa Uefa di calcio con l’Atalanta, ha affermato che altre squadre hanno raggiunto e superato i propri limiti, a prescindere che abbiano o meno vinto un titolo; accennava al Bologna, al Verona, al Lecce.
In ognuna delle nostre aziende esiste un leader che, quasi sempre, corrisponde ad una persona fisica. In presenza di famiglie, a volte è il familiare riconosciuto come perno, altre volte è quello che si impone, anche a prescindere dalla capacità di guida. A volte, raramente, è la somma delle caratteristiche di più persone. È questo il caso più complicato in quanto le decisioni, quando e se arrivano, sono frutto di un estenuante confronto; con tempi biblici, di solito.
Dunque, il leader è colui sulla cui personalità l’azienda si plasma. Nel corso degli anni, l’azienda assomiglia sempre di più al suo leader. Le sue intuizioni e le sue capacità diventano punti di forza dell’azienda; i suoi limiti diventano i limiti dell’azienda.
Guardando l’operatività, è il leader che sceglie dipendenti e collaboratori, che li stimola, li premia, li punge. È il leader che sceglie i fornitori ed i rapporti da tenere con essi. È sempre il leader a decidere se intrattenere con i fornitori rapporti amichevoli o rapporti di semplice correttezza di ruoli. Per inciso, da questa scelta derivano un sacco di conseguenze.
Dato che è il leader che sceglie ed organizza, se necessario raccogliendo il consenso per farlo, i risultati che un’azienda ottiene sono figli della sua idea di azienda e degli obiettivi che, consapevolmente o meno, intende raggiungere.
Di fondo, pur con tutti i distinguo del caso, la principale differenza tra le aziende sta nel leader.
Spesso tendiamo ad attribuire le differenze alla storia dell’azienda, e a quanto il leader si è trovato in mano dalla generazione precedente. Non si può certo dire che partire con 10 vacche equivalga a partire con 200. Sul lungo periodo, tuttavia, queste condizioni di partenza tendono a perdere di rilievo. Sul lungo periodo le scusanti si diluiscono: se l’azienda non si trova in una buona situazione, per parafrasare Marzullo, occorre che il leader si faccia una domanda e si dia una risposta: non c’è che da guardarsi allo specchio.
È facile oggi dire che chi ha un biogas ha un vantaggio; a suo tempo l’opportunità dei 28 centesimi era aperta per tutti, ma solo alcuni hanno pensato che valesse la pena rischiare e, al netto di eventuali errori costruttivi o gestionali (che dipendono comunque, ancora una volta, dalle scelte del leader), in questi anni hanno goduto di un vantaggio competitivo rispetto ad altri colleghi.
In questi anni viviamo una situazione analoga grazie alle formidabili opportunità legate ai vari Bandi quali biometano, Agrisolare, Filiere, PSR, Ismea, Inail, PNRR, ecc.
Alcuni leader, partendo dall’ottimizzazione dei propri conti economici, si fanno guidare dall’analisi economica delle diverse opportunità. E, utilizzando un approccio scientifico, si può stare certi che raggiungeranno gli obiettivi che hanno individuato. Altri leader andando a naso o seguendo una moda, faranno più fatica a raggiungere i risultati economici auspicati, ammesso che li raggiungano.
Dunque, l’azienda, così come la troviamo è lo specchio del suo leader. La condizione in cui si trova è la condizione in cui il leader l’ha condotta.
Chi si ritiene soddisfatto della situazione della propria azienda, può darsi una bella pacca sulla spalla e farsi i complimenti. Chi non lo è, è bene che cambi il proprio modo di guidare l’impresa. In fretta, se possibile.
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