Se non ci sono divieti di utilizzo, come ad esempio del disciplinare di produzione del formaggio Parmigiano Reggiano o nella STG “latte fieno”, la conservazione dei foraggi tramite insilamento dà indubbi vantaggi.

Il cantiere di produzione è rapido, soprattutto se non si fa il pre-appassimento, e la digeribilità dei foraggi trattati in questo modo è indubbiamente superiore perchè sono umidi e parzialmente fermentati. La conservazione per “fermentazione” è ampiamente utilizzata anche nell’alimentazione dell’uomo, vedi i latti fermentati, alcune verdure come i crauti, la birra, il vino e quant’altro. Rispetto alla conservazione per essiccamento, il rischio di avere alterazioni qualitative degli alimenti è piuttosto elevato ma c’è da dire che ormai le conoscenze sono consolidate e la capacità diagnostica dei laboratori specializzati ha raggiunto ottimi livelli di affidabilità.

In questo approfondimento ci concentreremo su due importanti acidi grassi volatili, ovvero il lattico e l’acetico, che sono due utili biomarker qualitativi.

Il segreto di un buon insilato, che sia stabile, appetibile e sicuro, è che produca il prima possibile (dalla chiusura) una sufficiente quantità di acido lattico ad opera dei lattobacilli (LAB), perché questo acido grasso volatile, anche detto VOC, ha la capacità di abbattere e stabilizzare il pH al di sotto del 4.0 in quanto ha un pKa di 3.86 (a differenza di quello acetico che ha 4.75 e il propionico 4.87).

I LAB che producono prevalentemente l’acido lattico sono gli omolattici o omofermentativi, che per farlo utilizzano zuccheri semplici come gli esosi (glucosio) presenti nelle piante da insilare. Il Lactobacillus plantarum è un LAB eterofermentante facoltativo che troviamo spesso in abbondante quantità sulle foraggere da insilare. Questo LAB è però anche in grado di produrre acido acetico in presenza di pentosi. La concentrazione ideale di acido lattico per mantenere il pH ben al di sotto del 3.80 è ritenuta essere dal 3 al 6% della sostanza secca. Questa condizione scoraggia la crescita di microrganismi potenzialmente produttori di sostanze indesiderate.

Il secondo acido grasso volatile presente, in ordine di grandezza, è l’acido acetico che viene prodotto sia dal Lactobacillus plantarum che dal Lactobacillus buchneri, cioè da batteri lattici eterofermentativi. Quest’ultimo viene classificato come LAB eterofermentativo obbligato. In alcune situazioni l’acido acetico può essere prodotto anche dagli enterobatteri, dai clostridi, dai bacillus spp, dall’acetobacter e dai LAB omofermentativi in presenza di ossigeno. Esistono fattori come l’alta umidità, l’elevata capacità tampone delle piante insilate, la bassa densità, la copertura ritardata e l’elevata temperatura ambientale che stimolano la naturale produzione di acido acetico. Viene consigliata la presenza di una concentrazione di questo acido grasso volatile con valori compresi tra i 10 e i 30 grammi per kg di sostanza secca (1-3%). Inoculando la massa insilata con L. buchneri si può arrivare a presenze si questo VOC del 3-4% in modo da prevenire quella che viene chiamata l’instabilità aerobia, ossia la ripresa di fermentazioni anomala sul fronte della trincea dovuta all’aria (ossigeno) con cui viene in contatto una volta aperto. Questo LAB degrada l’acido lattico in acido acetico e 1-2 propandiolo. L’acido acetico è in grado anche di ostacolare la proliferazione delle muffe. Viene considerato ideale un rapporto 2.5–3 a acido lattico/acido acetico.

Dai dati pubblicati nella versione 2.2 del Libro delle Analisi scritto dal Laboratorio Analisi Zootecniche dei fratelli Mancinelli in collaborazione con Ruminantia, si evince che il contenuto medio di acido lattico nelle 4.280 analisi considerate è stato del 6.19 (± 1.22)% e quello di acido acetico dell’1.05 (± 0.36)%, mentre nei pastoni integrali di mais queste concentrazioni sono state, rispettivamente, del 3.11 (±0.89) e 0.41 (± 0.21) %. Da queste informazioni preliminari si possono trarre le prime conclusioni. La prima è che un’elevata percentuale di acido lattico in tutti tipi di insilato è garanzia di una corretta acidificazione ( pH < 3.80). La presenza di una adeguata concentrazione di acido acetico dà garanzia di stabilità aerobica, e quindi di prevenzione del surriscaldamento del fronte della trincea e dello sviluppo di muffe e di conseguenza micotossine. Grandi concentrazioni di acido lattico sembrerebbero non compromettere l’ingestione. Ciò non vale però per l’acido acetico che di per sé non è ovviamente tossico (anzi dà beneficio agli animali, perché precursore del grasso del latte e di quello corporeo, ed energia), ma che per una sola questione di appetibilità può ridurre l’ingestione dell’insilato, e quindi della razione nella quale è incluso. 

In una evidenza scientifica di Katrine Gerlach, João Luiz Pratti Daniel e Clóves Cabreira Jobim, dal titolo “A data analysis on the effect of acetic acid on dry matter intake in dairy cattle” (Animal feed Science and Technology”272 (2012) 114782 (1)), gli autori riportano che per ogni 100 kg di peso corporeo un aumento di 1 g di acido acetico/kg di DM può causare una riduzione di 1,2 g di ingestione di sostanza secca  per concentrazioni di acido acetico < 17,3 g/kg di S.S. Da 17,3 a 60 g di acido acetico/kg di peso corporeo la riduzione di DMI può essere di 5,6 g per ogni g aggiuntivo di acido acetico in peso corporeo (per 100 kg di peso corporeo). Per queste ragioni i nutrizionisti che si occupano di bovine da latte dovrebbero considerare il contenuto di acido acetico negli ingredienti fermentati durante il bilanciamento della dieta, per evitare la depressione dell’ingestione.

Figura 1 Relazione tra contenuto di acido acetico della dieta (g/kg di sostanza secca) e ingestione di sostanza secca( kg/100 kg di peso corporeo)nei bovini adulti e in accrescimento.

Conclusioni

Si rafforza sempre più il concetto che l’aspetto più importante della nutrizione della bovina da latte è l’ingestione di sostanza secca e la sua correlazione negativa con il NEBAL e la produzione.

Insilati di cattiva qualità, o con concentrazioni molto elevate di acido acetico, possono interferire negativamente sull’assunzione della razione. E’ importante monitorare regolarmente la concentrazione di acido lattico, acido acetico e pH degli insilati per capire se ci possano essere rischi anche minimi sulla capacità ingestiva degli animali.