Allo stato attuale delle conoscenze, di vere e proprie alternative efficaci agli antibiotici ce ne sono molto poche. Tra quelle di “comprovate efficacia” troviamo sicuramente i probiotici, utili a migliorare sia la salute dei ruminanti da latte e da carne che le loro prestazioni.
I probiotici, sia nei giovani animali che in quelli adulti, sono in grado di contrastare le infezioni enteriche, di agire a vario titolo sul sistema immunitario, di aumentare la digeribilità della dieta e l’assimilazione dei nutrienti, e di contribuire alla riduzione delle emissioni di gas climalteranti.
Il padre del termine “probiotico” fu Kollant in un articolo pubblicato su Munch Medzinsche Wochenschr nel 1953 (95:1260-1262), anche se il suo significato era diverso da quello oggi condiviso.
Con il passare degli anni il significato del termine probiotico è cambiato molto. Oggi con questa parola ci si riferisce ad “integratori alimentari microbici vivi che hanno una funzione benefica sull’animale migliorando il suo equilibrio microbico intestinale”. La FDA utilizza come sinonimo di probiotici i Direct Feed Microbial (DFM), ossia “microrganismi vivi, presenti in natura, che vengono utilizzati per migliorare la funzione digestiva del bestiame”. La più moderna e condivisa definizione è però quella della Joint Food and Agriculture Organizzation e della World Health Organizzation che li descrive come “ceppi microbici vivi che, se somministrati in quantità adeguate, conferiscono un beneficio per la salute dell’ospite”.
Le differenze in termini di efficacia e meccanismo d’azione dei probiotici tra ruminanti e monogastrici sono profonde, almeno negli animali adulti.
Le specie utilizzabili nei ruminanti sono:
- Bacillus spp;
- Bifidobacterium spp;
- Enterococcus spp;
- Lactobacillus spp;
- Propionibacterium spp;
- Megasphaera elsdenii;
- Prevoltella bryantii;
- e alcuni ceppi di Aspergillus e Saccharomyces.
Molti ceppi microbici utilizzati esistono naturalmente nel tratto gastro-intestinale degli animali sani. I lieviti sono invece alieni nel tratto gastro intestinale (GIT) dei ruminanti e spesso sono abbinati a Bifidobacterium e Lactobacillus. In generale, i probiotici batterici hanno effetto principalmente sui giovani ruminanti mentre i funghi (Aspergillus e Saccharomyces) sugli adulti.
I probiotici si somministrano agli animali per via orale e, ad oggi, il loro meccanismo d’azione non è stato ancora completamente chiarito, pur essendo diverso tra quelli batterici e fungini.
I principali probiotici batterici sono ceppi di Bifidobacterium e di Lactobacillus (LAB). Nel rumine i LAB producono acidi organici come quello lattico, che mitiga l’acidosi ruminale “coltivando” i batteri che lo utilizzano (LUB) come la Megasphera elsedenii e il Selenomonas ruminantium. In questo modo il rumine è “batteriologicamente” pronto a metabolizzare gli eccessi di acido lattico, e quindi a contrastare rapidamente l’acidosi ruminale. Alcuni ceppi di Propionibatteri migliorano le fermentazioni del rumine con un aumento della produzione dei propionati a partire dai lattati. I probiotici batterici riducono la produzione di metano ruminale e stimolano la presenza di protozoi del genere Entodinium.
Nel tratto gastro-intestinale post-ruminale, esercitano un’esclusione competitiva con i patogeni per l’adesione alla mucosa intestinale. Questa “concorrenza” avviene anche per i nutrienti. I LAB aderiscono alla mucosa intestinale proteggendola dalla Salmonella spp, dall’E. coli enteropatogeno e della Klebsiella pneumonia enteropatogena. Molto efficace è il Lactobacillus rhamnosus. I probiotici batterici possono produrre molecole antimicrobiche (battericine, perossido d’idrogeno e acidi grassi a corta catena). Particolarmente abili in questa funzione sono i Bacillus spp e i bifidobatteri, che producono battericine termostabili. Importante è anche l’effetto dei probiotici microbici nell’attività immunomodulativa, che è particolarmente spiccata nel Lactobacillus casei shirota e il L. rhamnosus Lr23 che stimolano i macrofagi a produrre TNF-α.
Quando nascono i piccoli ruminanti, i microrganismi che colonizzano il loro intestino provengono dagli adulti e ciò li aiuta anche nelle prime fasi di vita a proteggersi dai patogeni intestinali. Spesso, nei moderni allevamenti, dove l’igiene è molto elevata, il flusso di microrganismi dagli adulti ai piccoli è fortemente ridotto. In questi casi il Bifidobabacterium e il Lactobacillus, attraverso le proteine idrofobiche di cui sono dotati, aderiscono agli enterociti ostacolando l’adesione dei patogeni. I probiotici batterici sono in grado anche di alterare l’espressione genica di patogenicità e virulenza dei batteri agendo sul quorum sensing, che è un noto meccanismo attraverso il quale i batteri comunicano tra di loro e con l’ospite. Ad esempio, è stato osservato che il Lactobacillus salivarius diminuisce l’espressione del gene di virulenza della Listeria monocytogenes.
Esiste poi un’altra classe di probiotici: i probiotici fungini. Al regno dei funghi, di nostro interesse per i ruminanti, appartengono il genere Aspergillus e Saccharomyces.
Di quest’ultimo, è noto e ampiamente utilizzato il tipo Cerevisiae. I probiotici fungini hanno effetti di stabilizzazione del pH ruminale, di riduzione della presenza di ammoniaca e di aumento della produzione degli acidi grassi volatili. I lieviti, in particolare, stimolano l’attività enzimatica e la crescita dei microrganismi ruminali cellulosolitici. Inoltre, la riduzione del potenziale redox del rumine crea l’ambiente ideale per i microrganismi ruminali anaerobi. Pur tuttavia, allo stato attuale delle conoscenze, non è completamente chiaro il meccanismo d’azione, essenzialmente ruminale, dei probiotici sia batterici che fungini.
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