Acidosi ruminale subacuta nella vacca da latte: risultati di un decennio di indagini (2004-2013)
INTRODUZIONE
L’acidosi ruminale subacuta (SARA) rappresenta una delle principali problematiche nell’allevamento della bovina da latte, in grado di provocare notevoli ripercussioni economiche, sia dirette che indirette. Sull’insorgenza di tale patologia influiscono numerosi fattori: tipologia di alimentazione, modalità di alimentazione, capacità del rumine di assorbire gli acidi grassi volatili (AGV), periodo dell’anno, frequenza d’ingestione, periodo di transizione asciutta-lattazione e tutta un’altra serie di condizioni che possono contribuire all’insorgenza di tale patologia. Quindi, una dieta troppo ricca di carboidrati facilmente fermentescibili o troppo povera di fibra, associata ai numerosi fattori predisponenti, porta ad uno squilibrio della popolazione microbica con un’alterazione delle fermentazioni ruminali, che esitano in una variazione delle percentuali di AGV con un conseguente loro accumulo e ripercussioni sul pH ruminale che si accompagnano spesso a manifestazioni patologiche a carattere generale. L’acidosi ruminale subacuta viene spesso sottovalutata perché non si evidenzia con sintomi eclatanti e gli unici segni che possono essere apprezzati sono quelli secondari che si manifestano a settimane o addirittura a mesi di distanza dall’inizio del problema; da recenti studi si è riscontrato un incremento di prodotti con azione proinfiammatoria (aptoglobina e sieroamiloide A) e vasomotoria (lipopolisaccaride). Gli interventi da instaurare negli allevamenti colpiti, quindi, non devono essere soltanto di natura alimentare ma devono riguardare il management della mandria nel suo complesso. Non si conoscono attualmente interventi terapeutici specifici per cui l’unico provvedimento per il suo controllo rimane un’efficace prevenzione ed un’attenta gestione aziendale. Di estrema importanza risulta quindi la possibilità di pervenire ad una diagnosi precoce di tale disturbo fermentativo.
Considerando tutto ciò, attualmente, non è possibile emettere diagnosi di SARA basandosi su di un solo segno o sintomo, ma l’unico modo per ottenere una diagnosi corretta, è quello di osservare e mettere in associazione vari aspetti:
- indagine anamnestica e clinica globale dell’allevamento;
- valutazione dell’alimentazione;
- esame del liquido ruminale.
Dalle ricerche effettuate in questi ultimi anni, si può affermare che la tecnica più idonea e sicura per il prelievo del liquido ruminale al fine di una diagnosi presuntiva di SARA è la ruminocentesi.
INDAGINE PERIODO 2004-2013
Nel corso degli ultimi 10 anni (2004-2013), in accordo con i veterinari liberi professionisti e gli alimentaristi che operano nel settore, sono state indagate 97 aziende intensive di bovine da latte distribuite in varie zone del Nord-Italia. In ciascuna azienda si è proceduto ad un’anamnesi globale dell’intera mandria, con particolare attenzione ai dati relativi al cow confort, ai dati produttivi e riproduttivi oltre agli aspetti manageriali e a tutta quella serie di segni e sintomi che potessero far sospettare la presenza di acidosi ruminale subacuta. Per quanto concerne la dieta, in ciascuna azienda è stato effettuato un prelievo della dieta impiegata nella settimana prima del parto ed un prelievo dell’unifeed apportato alle bovine nelle prime fasi di lattazione. Per ciascuno dei 2 prelievi un primo campione di alimento è stato immediatamente sottoposto ad esame fisico mediante setacciatura, mentre un secondo campione si è valso necessario per la determinazione in laboratorio della relativa composizione chimica, mediante la metodica NIRS. Per quanto riguarda le indagini sui singoli animali, per ogni azienda sono state scelte 12 bovine, in quanto, come indicato in bibliografia, si tratta di un numero statisticamente significativo all’interno della mandria. Gli animali oggetto di analisi sono stati scelti a caso nel gruppo delle fresche; si è posta l’attenzione sulle vacche nelle prime fasi di lattazione perché dalla bibliografia questa rappresenta la fase più a rischio per l’insorgenza dell’acidosi ruminale subacuta. Per ogni animale è stato effettuato: identificazione del numero di lattazione e dei corrispondenti giorni post-parto; rilevazione del BCS (body condition score), seguendo lo schema di Edmonson et al. (1989); e prelievo del liquido ruminale mediante ruminocentesi. I prelievi del liquido ruminale sono stati effettuati a partire dalla quarta ora dopo il passaggio del carro unifeed, protraendosi fino all’incirca alla settima ora dalla distribuzione dell’alimento, in quanto, come ampiamente riportato ed avvalorato in bibliografia, questo è l’intervallo di tempo nel quale si raggiunge il massimo di acidità del succo ruminale. Per la ruminocentesi è stata impiegata la tecnica indicata in bibliografia da Nordlund e Garrett (1994) e leggermente modificata da Gianesella et al. (2010B). Su una parte del liquido ruminale ottenuto è stato immediatamente misurato il pH con pHmetro portatile per la determinazione del pH, ed il rimanente succo ruminale è stato conservato per la successiva determinazione in laboratorio degli Acidi Grassi Volatili.
Sulla base dei risultati dei 12 pH ruminali rilevati, seguendo la classificazione proposta da Nordlund e Garrett (1994), ogni azienda è stata classificata in una delle seguenti 3 classi:
- azienda indenne da acidosi (normale) quando almeno 2/3 degli animali avevano un pH > di 5.8;
- azienda a rischio se almeno 1/3 degli animali avevano un pH compreso tra 5.5 e 5.8;
- azienda in acidosi se almeno 1/3 degli animali avevano un pH < di 5.5.
RISULTATI E DISCUSSIONE
Nel corso del decennio 2004-2013 state prese in considerazione 97 aziende per un totale di 1164 prelievi di liquido ruminale che ci hanno permesso di confermare l’estrema validità della ruminocentesi quale tecnica d’elezione per il prelievo del liquido ruminale. Infatti, con una manualità oramai consolidata dal gruppo di studio ed adottando le opportune tecniche di contenimento, non sono state riscontrate particolari difficoltà nell’esecuzione, gli animali hanno risposto positivamente alle manualità e non hanno manifestato alcuna complicazione secondaria (peritoniti o ascessi a livello del sito di prelievo), come pure nessuna delle bovine esaminate ha avuto un decremento nelle produzioni di latte. In totale, seguendo lo schema di Nordlund e Garrett (1994), come riportato nel grafico n.1, 33 aziende (il 33%) sono risultate indenni, 34 (il 35%) a rischio e 30 (il 32%) in presenza di acidosi ruminale subacuta. Dai risultati dell’analisi chimica iniziale dei componenti della dieta, abbiamo riscontrato che i valori di NDF (fibra resistente al detergente neutro), ADF (fibra resistente al detergente acido), NFC (carboidrati non strutturali), amido e proteina grezza, sono abbastanza similari tra le varie aziende e rientrano nelle proporzioni indicate come ottimali dalla bibliografia. Poiché quindi l’analisi delle diete iniziali ci esclude l’eventualità di un errato bilanciamento tra fibra e concentrati, non possiamo escludere che in alcune aziende gli errori siano da imputarsi ad una ridotta quantità di NDF proveniente dai foraggi (porzione fondamentale, in quanto quella in grado si stimolare la masticazione), ad una non perfetta preparazione del carro miscelatore, oppure ad una selezione dell’alimento da parte delle bovine. Infatti, dai risultati ottenuti dall’analisi chimica dei residui della dieta impiegata in lattazione abbiamo evidenziato nelle aziende in acidosi un aumento dei livelli di NDF e contemporaneamente un decremento dei quantitativi di amido, condizioni che inducono a sospettare le bovine selezionino l’alimento, ingerendo in prevalenza la componente amilacea. Inoltre, da tale indagine, si può affermare che all’insorgenza dell’acidosi ruminale subacuta concorrono non solo cause alimentari ma anche altri fattori, tra i quali sicuramente il più importante sembra essere un non adeguato management aziendale, in quanto, andando ad osservare le informazioni anamnestiche rilevate in ogni singolo allevamento, possiamo dire che in numerose aziende, soprattutto quelle in acidosi, erano ben presenti varie condizioni, sia cliniche che manageriali, che potessero far sospettare la presenza di SARA. La produzione di latte non è risultata statisticamente differente (P<0.05) nei 3 gruppi di aziende, come pure non sono state riscontrate differenze statisticamente significative nei valori di % di grasso (3.8, 3.6 e 3.5 nelle aziende normali, rischio ed in acidosi rispettivamente) e % di proteine (3.5 in tutti e 3 i gruppi). Questi risultati relativi alla qualità del latte indicano l’importanza della valutazione ed il controllo soprattutto del calo del tenore di grasso in caso di sospetto di uno stato di acidosi ruminale subacuta, ma al tempo stesso confermano l’impossibilità di fare diagnosi di SARA basandosi solo ed esclusivamente su questo parametro. Dalla presente indagine si è evidenziato inoltre come si possano trovare pH molto bassi anche in animali in lattazione avanzata, ben oltre i 60 giorni dal parto, e che esiste una scarsa correlazione tra pH ruminale e giorni di lattazione, per cui i nostri riscontri non si possono definire atipici, ed anzi, suggeriscono che situazioni di acidosi ‘adattata’ sono oggi molto comuni nelle nostre aziende.
CONCLUSIONI
Le indagini effettuate nel corso di questi 10 anni ci hanno permesso di evidenziare che tra gli allevamenti presi in considerazione esiste una distribuzione omogenea tra aziende in acidosi ruminale subacuta, aziende a rischio ed aziende indenni. Considerando l’estrema omogeneità con la quale è stata effettuata la scelta delle aziende oggetto dello studio, questa percentuale molto probabilmente rispecchia la situazione attuale generale degli allevamenti intensivi di bovine da latte del Nord-Italia. Sulla base del numero decisamente elevato di bovine esaminate, per un totale quindi di 1164 bovine alle quali è stata effettuata la ruminocentesi, possiamo confermare l’estrema validità di tale metodica quale tecnica d’elezione per il prelievo del liquido ruminale. Infatti, con una manualità oramai consolidata dal gruppo di studio ed adottando le opportune tecniche di contenimento, non sono state riscontrate particolari difficoltà nell’esecuzione, gli animali hanno risposto positivamente alle manualità e non hanno manifestato alcuna complicazione secondaria (peritoniti o ascessi a livello del sito di prelievo), come pure, a detta degli allevatori, nessuna delle bovine esaminate ha avuto un decremento nelle produzioni di latte. Seppur riscontrando a livello ruminale elevati valori assoluti di Acidi Grassi Volatili ed in particolare un rapporto non corretto tra Acetico e Propionico, i risultati delle analisi effettuate sulle diete impiegate non hanno tuttavia chiarito la causa dell’acidosi ruminale subacuta, confermando il sospetto che non sempre tale forma morbosa sia da imputarsi ad errori alimentari; tuttavia, la selezione che le bovine effettuano sulla dieta, ci autorizza a suggerire una maggiore attenzione nella preparazione del carro unifeed. Di estrema importanza risulta sicuramente il management aziendale, in quanto i livelli inferiori di pH ruminale sono stati rilevati nelle aziende che presentavano condizioni di benessere particolarmente scadenti.
Grafico 1. Distribuzione delle 97 aziende oggetto di studio nelle 3 classi (normali, rischio ed acidosi)
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