Il continuo parlare negativamente da parte dei media degli allevamenti e di quanto fa male mangiare la carne e consumare latte e formaggi, sta avendo un impatto negativo piuttosto pesante su tutta la filiera. Secondo gli ultimi dati ISMEA il consumo delle carni è diminuito del 5.8% nel 2015 rispetto al 2014. In Italia le filiere della carne rappresentano il 10% del valore di tutto l’agroalimentare. Nel primo semestre 2016, rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente, questo calo è aumentato al 6.1%. La stessa sorte è toccata ai prodotti a base di latte. Questo settore rappresenta in Italia il 14.5% di tutto l’agroalimentare ma ha subito nel 2015 un calo del 3.4% rispetto al 2014 e del 3.4% nel primo semestre di questo anno rispetto al primo semestre 2015. Il latte rappresenta 1/5 di tutto il comparto lattiero caseario ed ha registrato nel primo semestre dell’anno in corso un – 6.1%, soprattutto nel fresco.
Oltre agli aspetti etici e salutistici anche la crisi economica sta pesando negativamente sui consumi. Alcuni analisti dicono che le fasce più ricche della popolazione occidentale hanno ridotto i consumi di latte e carne per ragioni etiche e salutistiche, mentre quelle più povere perché non se li possono permettere. In controtendenza, e po’ a ridimensionare la motivazione economica, è il consumo dei prodotti ittici, in crescita del 4.3% nel 2015 rispetto al 2014 e che nel primo semestre 2016 ha fatto registrare un ulteriore incremento del 2%. Prodotti non certo a buon mercato che rappresentano il 7.4% del nostro agroalimentare.
Ruminantia ha recentemente pubblicato una lettera aperta destinata ai movimenti animalisti e ai consumatori, puntualizzando alcuni aspetti relativi al rapporto dell’uomo con gli animali e a cosa significa realmente la parola benessere. La nostra lettera è stata letta da molte persone ma purtroppo poco da quelli a cui era realmente indirizzata perché le nostre ragioni i media sembrano non volerle ascoltare. Ma ciò non ci ha meravigliato. Quello che ci sorprende sempre è l’assenza quasi totale di una qualsiasi reazione da parte delle organizzazioni che rappresentano gli allevatori, l’industria della carne e quella lattiero-casearia e, più in generale, le istituzioni e la politica. Possiamo capire che reagire a occasionali “attacchi” possa servire solo a versare benzina sul fuoco ma ormai sembra ci sia una competizione tra i giornalisti a chi accumula argomenti sempre più allarmistici su quanto faccia male alla coscienza e alla salute consumare latte e carne. Se tutto ciò non avesse conseguenze negative sui consumi sarebbe saggio rimanere in silenzio, ma così non è.
Nell’ottica di “squarciare” questo silenzio associativo e istituzionale e stimolare il dialogo con media, medici e in generale consumatori, Ruminantia e un gruppo di sue aziende sostenitrici lancerà un progetto nei primi mesi del 2017 dal nome “La stalla ideale” dedicato alla produzione del latte bovino. Si tratta di un’azione concreta a difesa dei diritti degli animali d’allevamento, dell’ambiente, della salute delle persone e dell’agricoltura, organizzata esclusivamente con le risorse economiche di alcune imprese parte della community di Ruminantia che si sono liberamente offerte e che la sostengono economicamente. Sono in pratica alcuni player del secondario e del terziario che condividono un progetto che deve dare anche al primario (allevatori) una ricaduta economica immediata e tangibile. Per come vanno le dinamiche internazionali della produzione e dei consumi del latte e dei sui derivati è difficile prevedere quell’aumento del prezzo del latte alla stalla sempre più indispensabile per garantire la sopravvivenza degli allevamenti italiani, e le elemosine di Stato a poco servono.
Il latte è sempre più una commodity, oggetto d’interesse della finanza alla stregua di petrolio, cereali e oleaginose. Nella storia del latte sono state ogni tanto create delle nicchie per valorizzarne il prezzo. La storia delle DOP, delle IGP, del latte d’alta qualità e di quello biologico ne sono l’esempio più tangibile. All’inizio pochi allevatori se ne sono interessati ma poi via via la crescita è stata stimolata da prezzi del latte alla stalla sempre più accattivanti. Diversamente del passato, dove la differenza la faceva il sapore e la suggestione storica, oggi sono altri gli argomenti che interessano ai consumatori sempre più informati/disinformati ma sempre più globalizzati. Oggi i consumatori non vogliono essere complici della sofferenza, reale o presunta, degli animali d’allevamento e vogliono che si rispetti l’ambiente. Inoltre, la preoccupazione dell’antibiotico resistenza e dei residui di molecole negli alimenti impongono una razionalizzazione dell’uso dei farmaci, che non significa non curare le bovine che stanno male.
La “stalla ideale” è una risposta pratica, solo come le imprese sanno fare, olistica o integrata a tutti questi condivisibili bisogni. La stalla ideale è un modello di struttura e di gestione a cui tendere nei tempi e nei modi tipici di qualsiasi attività imprenditoriale. La velocità di riconversione degli allevamenti sarà condizionata da quanto l’industria lattiero-casearia riuscirà a convertire in claims le innumerevoli narrazioni e certificazioni che “la stalla ideale” riuscirà a produrre. La “stalla ideale” non è un modello unico di sviluppo degli allevamenti. Esso si affianca a quelli di piccole dimensioni delle zone montane e pedemontane del nostro paese che dovranno però a loro volta generare argomenti tangibili di rassicurazione del consumatore. Questi allevamenti dispongono della grande risorsa dei pascoli, toccasana per salute degli animali e per il sapore di latte e formaggi. Pascoli però la cui gestione e valorizzazione nutrizionale va bene puntualizzata. Ruminantia sta allo scopo organizzando un ciclo di workshop dedicati a come valorizzare il vantaggio offerto dal pascolo e, in più in generale, dall’erba.
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