Bisogna essere onesti ed affermare che l’agroalimentare è il settore dell’economia italiana che ha sofferto meno in questi 27 mesi di crollo delle certezze che l’umanità aveva pazientemente costruito nei secoli. Messi in ginocchio economicamente e socialmente da un virus, angosciati da un clima impazzito, umiliati dalla pericolosità di dipendere da nazioni governate da tiranni, in molti sentiamo la necessità di salvare il salvabile mettendo però nel frattempo in sicurezza la nostra civiltà occidentale. Chi non crede negli slogan ma nella cultura e nell’informazione sa bene che è impossibile cancellare con un colpo di spugna il presente per tornare al passato, ma che bisogna rifondare su solide fondamenta un futuro che sia anche meglio di un passato di cui ovviamente ci ricordiamo solo le cose migliori.
Come ho avuto modo di ricordare in un articolo sull’edizione 2022 di Cibus, i grandi assenti a questa kermesse erano gli allevatori e gli agricoltori, anche se alcune loro cooperative figuravano tra gli espositori. Gli allevatori vengono collocati ai margini della filiera agroalimentare e solo se appartengono a cooperative e consorzi, che accorciano la filiera fino al retail, hanno la possibilità di aggiungere valore alla loro produzione. L’agricoltura e l’allevamento che vende il latte ad un acquirente vede remunerare la propria produzione attraverso le regole del mercato, ossia con prezzo determinato dal rapporto domanda/offerta, sorte che peraltro tocca ad ogni commodity. Se fosse solo così, già da molto tempo non ci sarebbe cibo a sufficienza per tutti perché molte aziende agricole avrebbero chiuso.
L’Unione europea (ma ciò avviene in tantissime nazioni del mondo), attraverso la PAC, eroga denaro in forma di sussidio. Per il 2021 prevedeva in totale 168,5 miliardi di euro in stanziamenti d’impegno. Nello scorso anno la PAC ha rappresentato il 33,1% del bilancio dell’UE-27 (55,71 miliardi di EUR). Questi fondi sono un’integrazione importante e imprescindibile dei ricavi degli allevamenti ed hanno anche l’obiettivo di orientare le produzioni agricole e zootecniche verso le esigenze etiche ed economiche dei cittadini europei e delle imprese. Dal 1984 al 2015 la produzione di latte bovino europea è stata condizionata dal regime quote latte ma senza che ci fosse un meccanismo regolatorio nel determinare il prezzo del latte alla stalla. Ora ci troviamo ancora nell’ambito di un’agricoltura e zootecnica che necessitano di sussistenza economica perché il meccanismo di determinazione del prezzo di cessione dei prodotti agricoli e zootecnici è, nella maggior parte dei casi, dovuto solo al rapporto domanda/offerta ed a speculazioni economiche e finanziarie.
La congiuntura pandemia/crisi ucraina/speculazione finanziaria/siccità, unita ad una crescita esponenziale della sensibilità dell’opinione pubblica e dei legislatori verso la sostenibilità a 360° e l’etica nella produzione del cibo, sta conducendo le aziende agricole e zootecniche ad acquisire un nuovo ruolo.
Da unità produttive, non sempre integrate in cooperative e consorzi, la cui responsabilità è solo fornire materie prime all’industria agroalimentare, si immagina che debbano diventare unità polifunzionali di presidio tecnico e culturale del territorio attive nei confronti del dissesto idrogeologico, della tutela della biodiversità, della qualità delle acque sotterranee e superficiali, nella conservazione delle tradizioni culturali, nella produzione di energia rinnovabile, e nell’impiego all’indispensabile di farmaci veterinari, agrofarmaci e concimi. Inoltre, si vorrebbe che garantissero una qualità della vita di alto livello agli animali d’allevamento, ormai sempre più riconosciuti come portatori di diritti, e ciò sta sempre più diventando un requisito etico della produzione di alimenti zootecnici.
Pertanto, gli allevamenti da semplici fabbriche di latte e carne potrebbero diventare unità produttive e culturali più complesse, fortemente integrate sia nelle realtà locali che in quelle nazionali. Le fattorie didattiche e le iniziative “stalle aperte” hanno negli anni passati cominciato ad aprire quel dialogo con la società oggi diventato indispensabile. Un contesto del genere e il forte stimolo che l’attuale Commissione europea sta dando a questa riqualificazione delle aziende agricole e degli allevamenti, possono essere una grande opportunità per dare un maggior valore alle produzioni primarie e una nuova reputazione agli allevamenti.
Le ricorrenti crisi di remunerazione dei prezzi del latte e delle carni alla stalla e di reputazione degli allevamenti “intensivi” rendono inevitabile una riconversione della zootecnia verso un nuovo modello produttivo e organizzativo.
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