Che la gente non veda di buon occhio gli allevamenti è sotto gli “occhi” di tutti. Complice di tutto ciò il senso d’inganno percepito dall’opinione pubblica derivante dalla sensazione che si stiano nascondendo loro le verità che ci sono dietro all’allevare gli animali che producono cibo. La linea che fin qui sta prevalendo è da una parte quella di ignorare il disagio che la gente prova nei confronti degli allevamenti e dall’altro la radicalizzazione delle posizioni dell’opinione pubblica.
Purtroppo stiamo tutti pagando la scelta di non avere voluto raccontare la verità ai cittadini, cosa che avremmo potuto fare non avendo nulla da nascondere, ma la comunicazione di una larga parte dell’industria agro-alimentare si è incentrata per anni su improbabili allevamenti stile Heidi che nella realtà dei grandi numeri non esistono, e che non è detto non inquinino e rendano gli animali felici. Solo alcuni solitari eremiti scelgono di vivere la natura integralmente e secondo le sue aspre regole. Vivere in natura non significa infatti andare a fare le gite o le ferie in montagna o al mare, nè praticare sport nei parchi cittadini.
Nel mondo ormai completamente dominato dall’uomo, fatto di città e di allevamenti intensivi, che poi sono la stessa cosa, tranne quel poco di natura primigenia che è rimasta, tutto il resto è stato pesantemente addomesticato, e quindi antropizzato. La natura a cui sempre di meno apparteniamo segue unicamente le leggi del “gene egoista” a cui interessa solo diffondersi grazie alla riproduzione e alla sopravvivenza del più adatto. Nel libro “Il gene egoista” di Richard Dawkins gli esseri viventi vengono definiti come “macchine da sopravvivenza” che servono da contenitori ai geni per sopravvivere e diffondersi.
La stragrande maggioranza degli uomini non vivrebbe più allo stato selvaggio, anche perché non sarebbe più in grado di farlo, ma pretende che gli animali d’allevamento, che l’uomo ha creato così, lo facciano, e che ne siano anche felici. L’uomo ha stretto alcuni millenni fa un patto con alcune specie animali che ha permesso a tutti di crescere e moltiplicarsi sulla terra. Ovvio è che la crescita esponenziale della specie umana, e delle specie animali e vegetali che esso ha domesticato, deve cambiare le sue regole perché la terra è satura e le risorse naturali stanno finendo.
Uno dei passaggi più delicati che la gente fa fatica ad accettare dell’allevamento è quello del fine vita, ossia della macellazione che conclude la vita di ogni animale destinato a produrre cibo per l’uomo. Essendo un argomento difficile, le filiere del latte e della carne hanno fino ad ora deciso di non parlarne e di glissare le domande, ma visto che un numero sempre crescente di persone sta riducendo, o addirittura interrompendo, il consumo di prodotti di origine animale anche per questa ragione, è forse bene affrontarlo prima all’interno delle filiere zootecniche e poi con l’opinione pubblica.
Alla natura, della morte degli individui non interessa sostanzialmente nulla. Prima che l’uomo costruisse le sue città e organizzasse un mutualistico soccorso, anche esso, come tutti gli animali, molto raramente moriva di vecchiaia. La debolezza dell’età avanzata trasforma infatti prede e predatori in cibo potenziale per tutte le specie carnivore. La morte, pertanto, vista dal punto di vista della natura, è inevitabile nelle prede e rappresenta il fine vita di ogni predatore. La morte terrorizza l’uomo al punto di negarla ed esorcizzarla, come avviene nella tradizione giudaico-cristiana e in molte altre religioni. Molte persone stanno diventando vegane per evitare di allevare gli animali per poi cibarsene. Quello che serve è spiegare alla gente che la morte, o macellazione, è l’atto più naturale che esiste e che coinvolge ogni essere vivente, animale o vegetale, che sia. Le filiere del latte e della carne devono chiedersi con onestà e lungimiranza commerciale se ci siano degli aspetti del trasporto al macello e della macellazione che devono essere rivisti. Per fare questo è necessario uno sforzo culturale congiunto che coinvolga la bioetica, l’antropologia, la filosofia, l’etologia e la zootecnia.
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