L’allevatore può accorgersi del fatto che alcuni animali arrivino alla mungitura con la mammella già svuotata (si è verificato come un soggetto “succhiatore” possa arrivare ad assumere fino a 40-60 l di latte al giorno) o che le manze presentino una precoce secrezione della mammella, o ancora che arrivino al parto con lesioni dei capezzoli o che nelle primipare si presentino mastiti, deformazione o indurimento della mammella fino ad arrivare alla perdita di quarti.

Può trattarsi di possibili conseguenze della presenza di uno o più soggetti che continuino a “succhiare” dopo lo svezzamento.

L’importanza di queste situazioni risiede non solo nelle perdite economiche derivanti dal latte sottratto alla produzione e dall’eliminazione dei capi “succhiatori”; bisogna infatti tener conto anche del fatto che nei soggetti nell’ultimo terzo di gravidanza si verificano perdite di colostro e che l’atto di succhiare facilita l’ingresso di batteri nella mammella, il che porta all’infiammazione quando inizia la produzione di latte prima del parto. In effetti alcuni autori hanno evidenziato la presenza di mastite in manze in prossimità del parto e hanno potuto correlarla al comportamento di suzione, confrontando gli isolamenti batterici con quelli dei tamponi faringei delle manze svezzate; altri hanno verificato come tale comportamento favorisca l’escrezione di batteri nel latte al parto, il che non si verifica qualora venga impedito con l’uso di museruole.

Diversi studi hanno indagato questo fenomeno verificando che interessa generalmente un esiguo numero di soggetti (0,5% ma anche fino a 40% delle vacche) e che le aziende interessate vanno dall’1 al 40% delle aziende da latte oggetto delle diverse indagini, arrivando al 54% se si considera il comportamento anche nelle manze. Non si tratta comunque di un’alterazione comportamentale propria della bovina da latte, in quanto è stata riscontrata anche in bovini da carne e bufale. Risulta difficile trovare lavori che concordino nei risultati sui fattori causali di questo fenomeno. Un accordo sembra esserci quantomeno nel far risalire tale problema degli adulti alla fase di allevamento del vitello, in quanto sembra esserci una correlazione fra il comportamento di succhiamento dei vitelli e quello delle manze e delle vacche.

Normalmente, allo svezzamento, si assiste alla scomparsa del comportamento di suzione nel vitello; in natura tale interruzione viene attuata dalla madre ma negli animali in allevamento zootecnico si osserva talvolta il perdurare di tale comportamento, con manifestazione di stereotipie da riflesso di suzione, scatenate dalla regione ombelicale od inguinale di un conspecifico. Il vero e proprio comportamento di suzione della mammella sembra che inizi sempre nelle manze, ma facilmente passa inosservato. Quando nelle vacche si evidenziano i fenomeni sopraelencati, l’allevatore cerca di correre ai ripari e le soluzioni adottate comprendono generalmente l’applicazione di anelli o cavezze che sono dotati di punte finalizzate a infastidire il soggetto succhiato e a suscitare quindi una risposta comportamentale di evitamento nei confronti del soggetto “succhiatore”. In alternativa si possono applicare ai capezzoli, oggetto del comportamento indesiderato, delle sostanze dal sapore amaro in modo da scoraggiarne la suzione. Viene anche segnalato l’uso di anelli da inserire nella cavità orale del soggetto succhiatore ed infine sono state descritte diverse tecniche di resezione linguale finalizzate alla risoluzione del problema, ma vi sono perplessità sull’accettabilità etica di tali interventi che, inoltre, possono portare comunque all’eliminazione del soggetto per complicazioni post operatorie. Un rimedio che pare funzionare consiste nel frequente cambiamento dei gruppi con rimescolamento degli animali in quanto determinerebbe la separazione dei soggetti coinvolti (attivo e passivo). Tutti questi metodi sono volti ad arginare il problema ma si assiste spesso a recidive, per cui la strategia di intervento dovrebbe rivolgersi principalmente alla prevenzione dell’insorgenza di questi comportamenti. Ma come intervenire e in che fase?

Sicuramente l’eziologia è multifattoriale e comprende sia fattori genetici ed individuali che ambientali. La componente genetica non sempre è stata evidenziata, soprattutto in termini di razze predisposte, ma sono stati ad esempio individuati tori con un’elevata percentuale di figlie che presentavano questo problema. Per quanto concerne l’ambiente di allevamento, sono stati chiamati in causa diversi fattori che vanno dall’housing al management, particolarmente per gli aspetti legati all’alimentazione degli animali. Pare infatti che fra i fattori predisponenti vi siano lo svezzamento precoce, gli squilibri nutrizionali, ormonali e/o metabolici. L’importanza dei fattori coinvolti risulta diversa a seconda delle categorie di animali interessati; per cui ad esempio nei vitelli si è visto come siano predisponenti la ridotta durata di suzione materna, lo svezzamento precoce, la deprivazione di stimoli, soprattutto orali, per cui la presenza delle tettarelle oltre l’orario dei pasti sarebbe preventiva. Secondo alcuni studi i vitelli allattati risultano meno predisposti di quelli alimentati al secchio con latte, mentre lo sono ancor più quelli alimentati con latte ricostituito, ma altri riportano altresì che il fenomeno è assente nelle aziende in cui i vitelli non vengono affatto allattati dalla madre. Ancor meno concordanti gli studi sull’influenza della somministrazione del latte in secchi con o senza tettarelle, perché sono molti i fattori che interferiscono: quantità di latte somministrato, flusso del latte attraverso la tettarella, permanenza delle tettarelle oltre l’orario del pasto ecc. Secondo alcuni autori il comportamento deriva da un insufficiente sviluppo del rumine e viene influenzato, anche dopo lo svezzamento, da tutti i fattori che incidono sull’assunzione dell’alimento: durata del pasto, densità energetica e disponibilità, compresi gli spazi alla mangiatoia. Per quanto riguarda l’influenza del tipo di stabulazione degli animali, non sempre il comportamento è stato messo in relazione in maniera univoca con stabulazione libera o fissa, densità, presenza di paddock esterni o possibilità di pascolamento, soprattutto per quanto riguarda le manze e le vacche. Si è visto, però, come la percentuale di manze manifestanti suzione non nutrizionale risulti maggiore nelle aziende i cui vitelli vengono allevati in box interni senza accesso all’aperto.

In effetti, il fenomeno della suzione non nutrizionale negli adulti è un problema comportamentale che si instaura precocemente nella vita dell’animale; sembra che rappresenti un effetto a lungo termine della suzione reciproca dei vitelli, per cui la prevenzione deve essere attuata nelle prime fasi di allevamento migliorando le tecniche di somministrazione del latte e di stabulazione del vitello e la gestione delle manze da rimonta. In particolare, i vitelli dovrebbero avere a disposizione sufficiente spazio e possibilità di accesso a recinti esterni che servano da arricchimento ambientale fornendo stimoli e distogliendo l’attenzione dai compagni di gruppo, lo svezzamento dovrebbe avvenire solo nel momento in cui l’assunzione di foraggio e concentrato sia tale da coprire i fabbisogni e soprattutto nel primo anno di vita andrebbe garantita la copertura dei fabbisogni energetici assicurando anche la costante disponibilità del foraggio. Inoltre, per evitare recidive, risulta importante la tempestività di intervento sui soggetti che inizino a manifestare il comportamento.

DOI: 10.17432/RMT.2015-2029