Il termine “fotoperiodo” indica la durata relativa delle ore di luce e di buio alle quali un organismo è esposto nelle 24 ore. Lo stimolo luminoso è percepito dalla retina e raggiunge la ghiandola pineale attraverso un complesso sistema di innervazione; l’effetto finale dello stimolo luminoso è l’inibizione degli enzimi limitanti per la sintesi della melatonina (Serotonina-N-acetiltransferasi, NAT; idrossindol-o-metil-transferasi, HOMT), con la conseguente di riduzione delle concentrazioni ematiche di questo ormone a livelli vicini allo zero. Questo meccanismo è comune a tutti i mammiferi ed è attivo nella specie bovina. Pertanto, quando un animale è esposto continuativamente ad un fotoperiodo “lungo” (16-18 ore di luce), le concentrazioni ematiche di melatonina saranno vicine a zero per la maggior parte della giornata; al contrario, esponendo un animale ad un fotoperiodo “breve” (8 ore di luce), le concentrazioni ematiche dell’ormone saranno elevate per la maggior parte del tempo.

È ampiamente dimostrato che il fotoperiodo influenza i ritmi biologici dei nostri animali, quali il ritmo sonno-veglia, la funzione riproduttiva, la crescita, la funzionalità del sistema immunitario e, nei mammiferi, la lattazione. È proprio la durata degli alti livelli di melatonina nel circolo sanguigno che “traduce” al sistema neuroendocrino dell’animale la durata del giorno. La melatonina interviene nella regolazione di tali funzioni influenzando la sintesi e la secrezione di altri ormoni a loro volta implicati nella regolazione di queste funzioni. Nella specie bovina, l’esposizione ad un fotoperiodo “lungo”, quindi in presenza di elevati livelli di melatonina per breve tempo, ha come conseguenza l’aumento della secrezione delle gonadotropine, del fattore di crescita insulina-simile 1 (IGF-1; Insulin-like Growth Factor 1) e della prolattina (PRL).

L’effetto più noto del fotoperiodo è senza dubbio quello sulla funzione riproduttiva, in particolare in quegli animali che presentano un’attività riproduttiva legata alla stagione (piccoli ruminanti, bufalo, equini). Per quanto riguarda la bovina, gli effetti del fotoperiodo sono stati documentati durante la fase prepuberale, in quanto è stato osservato che animali esposti ad un fotoperiodo “lungo” sono in grado di raggiungere la pubertà ed essere inseminati più precocemente. Negli adulti, sembra che la ripresa dell’attività ciclica nel postpartum sia più precoce nelle bovine che partoriscono durante l’estate. Anche la crescita sembra essere soggetta al fotoperiodo. Per esempio, si è osservato che a parità di ingestione di alimento, gli animali crescono più in fretta e accumulano meno grasso se esposti ad un fotoperiodo “lungo”. La spiegazione risiederebbe nella maggiore secrezione di IGF-1 e di sviluppo dei prestomaci che si osservano in queste condizioni. Gli effetti del fotoperiodo sulla lattazione sono senza dubbio meno noti, anche se negli ultimi due decenni un certo numero di studi ha cercato di far luce su questo fenomeno.

Durante la lattazione, la risposta produttiva positiva degli animali ad un fotoperiodo “lungo” si osserva dopo 3-4 settimane di esposizione, e i diversi approcci sperimentali hanno messo in luce come l’incremento di produzione sia dipendente proprio dall’esposizione al fotoperiodo “lungo” e non, ad esempio, a effetti legati all’alimentazione, a precedenti esposizioni a diverse condizioni di luce, oppure alla somministrazione di bST (somatotropina bovina). Quindi, in condizione di luce naturale, non dovrebbe apparire strano che, una volta iniziata la lattazione, gli animali producano di più tra i mesi di marzo e giugno.

Esistono delle ipotesi credibili, anche se non completamente provate, che spiegano questo fenomeno dal punto di vista fisiologico. Innanzitutto, l’effetto galattopoietico (mantenimento della lattazione) del fotoperiodo “lungo” può essere spiegato dal concomitante aumento di IGF-1 indipendente dall’aumento dell’ormone della crescita (GH). IGF-1 ha un forte effetto galattopoietico, spiegabile dalla sua azione anti-apoptotica: in altre parole, le elevate concentrazioni di IGF-1 impediscono la morte delle cellule epiteliali mammarie, garantendo così la sintesi del latte.

Il secondo candidato che spiega l’effetto galattopoietico del fotoperiodo “lungo” è la prolattina. Tuttavia, è importante sottolineare che le ipotesi descritte di seguito non hanno sino ad ora trovato un completo riscontro sperimentale. In questo contesto, è importante ricordare che il ruolo della prolattina nella lattazione dei ruminanti, e in particolare della bovina, è stato oggetto di una accurata rivisitazione, che può essere riassunta come segue. Nei ruminanti, inizialmente si considerava la prolattina un fattore importante soltanto per l’avvio della lattazione (lattogenesi), mentre non sembrava che avesse importanza per il mantenimento della sintesi e della secrezione del latte (galattopoiesi). Oggi, numerose ricerche sono arrivate a stabilire che questo ormone è importante anche per la galattopoiesi.

È possibile che l’esposizione a fotoperiodo “lungo” durante la lattazione influenzi l’ampiezza dei picchi di prolattina associati alle mungiture, rallentando così il declino della produzione di latte. Un elegante studio canadese ha infatti dimostrato come la riduzione della produzione di latte sia associata alla concentrazione raggiunta dalla prolattina in occasione delle mungiture, e non alle concentrazioni basali di tale ormone. Infine, è possibile che le più elevate concentrazioni di prolattina rendano maggiormente disponibile IGF-1 per le cellule epiteliali mammarie. Infatti, è stato provato che la prolattina inibisce la sintesi a livello di parenchima mammario di un membro della famiglia delle proteine leganti IGF-1 (IGFBP-5, Insulin-like Growth Factor Binding Protein 5), che sequestrando IGF-1 la rende indisponibile al legame con il suo recettore. La conseguenza di ciò sarebbe un aumento dell’apoptosi delle cellule mammarie e la conseguente riduzione della produzione di latte.

Gli effetti dell’esposizione al fotoperiodo durante l’asciutta sono completamente differenti da quanto si osserva durante la lattazione. Infatti, l’esposizione ad un fotoperiodo “breve” durante l’asciutta porta ad una produzione di latte nel corso della successiva lattazione considerevolmente maggiore rispetto ad una esposizione ad un fotoperiodo “lungo”. Secondo gli studi svolti sino ad ora, l’effetto del fotoperiodo “breve” dipende dalla durata dell’esposizione, in quanto necessiterebbe di una “finestra” di 35-60 giorni per essere completamente espresso.

Nel caso dell’esposizione ad un fotoperiodo “breve” durante l’asciutta, l’aumento della produzione di latte nella successiva lattazione dipende certamente dall’aumentato sviluppo del parenchima mammario (mammogenesi). Infatti, si possono osservare un aumento della proliferazione cellulare e una riduzione del grado di apoptosi delle cellule mammarie negli animali esposti a fotoperiodo “breve”, il che porta ad una ghiandola mammaria con un numero maggiore di cellule “produttive” e ad una maggiore quantità di latte prodotto.

Anche in questo caso, il meccanismo endocrino coinvolto dipende dalla prolattina, ed esiste un considerevole numero di studi a favore di questa ipotesi. Come abbiamo visto in precedenza, l’esposizione al fotoperiodo “breve” comporta livelli di melatonina elevati per la maggior parte della giornata, con conseguente riduzione dei livelli di prolattina. È stato provato che in risposta alla riduzione della concentrazione di prolattina, si osserva un aumento dell’espressione dei recettori per questo ormone in molti tessuti, tra i quali ricordiamo il fegato, la ghiandola mammaria e i linfociti. In conseguenza di ciò, questi organi diventano estremamente sensibili alla prolattina, che può esplicare così a pieno la sua funzione sulla mammogenesi e sulla lattogenesi. L’effetto finale potrebbe sempre dipendere dall’influenza positiva della prolattina sulla funzionalità di IGF-1, come descritto in precedenza. Infine, è opportuno segnalare che l’effetto del fotoperiodo “breve” non dipende da variazioni dell’assunzione di alimento.

Da quanto esposto in questo breve articolo, appare chiaro come la comprensione del ruolo del fotoperiodo e dei meccanismi che mediano i suoi effetti sul ciclo di lattazione possono contribuire a migliorare le condizioni di allevamento delle bovine da latte e rendere più efficiente la produzione.