Le micotossine sono dei metaboliti secondari prodotti da diverse specie di funghi e muffe. Alcune di esse hanno delle applicazioni pratiche e vantaggiose, come nel caso delle tossine prodotte dal genere Penicillium da cui fu estratta la penicillina, ma molte altre sono conosciute per avere soprattutto effetti negativi. A questo secondo gruppo appartengono per esempio le tossine prodotte dai funghi tossici e quelle che sono prodotte da muffe che contaminano le derrate alimentari. I ruminanti, ed in particolare le bovine da latte, a differenza degli animali monogastrici sono alimentati con razioni piuttosto variegate e complesse, ed in quantità decisamente superiori. Questo amplifica la probabilità di venire a contatto con diverse tipologie di micotossine ed in proporzioni assai variabili. La presenza del rumine rappresenta comunque un vantaggio evolutivo importante poiché la maggior parte delle micotossine ingerite subiscono, quasi sempre, un processo di depotenziamento ad opera delle fermentazioni microbiche.

Gli effetti tossici delle micotossine si estrinsecano su diversi organi e apparati. In questo articolo approfondiremo gli effetti che le principali micotossine hanno sulla fertilità, con particolare riferimento alla bovina da latte.

Aflatossine

Le aflatossine sono le micotossine più conosciute nel settore della vacca da latte. Sono prodotte da muffe del genere Aspergillus e si dividono in 4 tipi: B1, B2, G1 e G2, ma la più importante è la B1. Nel rumine le aflatossine sono convertite in tossicolo (meno tossico), ma una parte sfugge e, attraverso il circolo ematico portale, arriva al fegato, dove l’aflatossina B1 viene convertita in aflatossina M1, che a sua volta passa nel latte in proporzione variabile tra l’1% ed il 6%. L’aflatossina B1 è un potente composto cancerogeno che esprime i suoi effetti negativi a livello di differenti vie metaboliche. L’effetto nocivo sulla fertilità è sempre stato considerato di tipo indiretto: l’ingestione cronica di aflatossine determina la riduzione dell’assunzione di sostanza secca ed una ridotta funzionalità epatica, questo comporta ipofertilità a causa principalmente della perdita di nutrienti e dell’insufficienza epatica. Nel 2019 Jiang e colleghi hanno pubblicato sul Journal of Dairy Science un interessante studio sperimentale che dimostra l’effetto diretto di aflatossina B1 sulla vitalità dell’embrione. In particolare, l’esposizione ad una quantità di 40 μg/L di aflatossina B1 determina una ridotta capacità dell’embrione di diventare una blastocisti, mentre a concentrazioni superiori (400 μg/L e 4000 μg/L) lo sviluppo embrionale si arresta completamente. Si è ipotizzato che tale effetto possa essere dovuto all’incremento dei radicali liberi ROS (reactive oxygen species) indotto dall’aflatossina B1, ma in realtà gli stessi effetti si sono avuti anche con l’aggiunta di un antiossidante (Trolox), per cui è molto probabile che l’effetto embriotossico possa essere dovuto ad altri meccanismi. Gli autori ipotizzano un’interferenza nel processo di attivazione del genoma a livello di 8 cellule, ma l’ipotesi resta da verificare. Il valore di guardia delle aflatossine nella vacca da latte è molto preciso. Il latte prodotto può essere usato per l’alimentazione umana rispettando il valore massimo di 50 ppt (50 ng/kg), per cui l’ingestione massima possibile di aflatossina B1 si aggira sui 40 ppb (40 μg/kg) giornalieri. Mantenersi al di sotto di questo livello massimo di aflatossine ci offre sufficienti garanzie di essere al riparo da problemi di natura sanitaria e riproduttiva.

Deossinivalenolo (DON)

Analogamente alle aflatossine, l’effetto del DON sulla fertilità della bovina è per lo più di tipo indiretto. L’ipofertilità conseguente all’ingestione cronica di DON è la conseguenza di una riduzione dell’ingestione di alimenti e dell’utilizzo della proteina a livello ruminale ed enterico. Uno studio di Dänicke et al. del 2002 ha dimostrato una riduzione dell’efficienza della sintesi proteica da parte dei microrganismi ruminali del 24%, con una conseguente riduzione del 25% della quota di proteine che arriva a livello intestinale. La quantità di proteine che la bovina assorbe attraverso l’intestino è un segnale importantissimo per innescare tutta una serie di meccanismi necessari a sostenere una fertilità soddisfacente; per cui la riduzione del flusso di proteine nell’intestino determina un impatto decisamente negativo sulle performances riproduttive. Il DON è prodotto da muffe del genere Fusarium, che comprende anche Fusarium graminearum responsabile della produzione di zearalenone (ZEN) i cui effetti sulla fertilità sono più diretti di quelli del DON. È molto frequente una co-contaminazione degli alimenti da parte di entrambi i tipi di micotossine dal momento che le specie che le producono appartengono allo stesso genere (fusarium) e si sviluppano in condizioni ambientali molto simili. È necessario quindi sospettare sempre una compartecipazione di entrambe le micotossine in sede di indagine clinica.

Zearalenone (ZEA)

Il Zearalenone è una micotossina ad attività simil-estrogenica che può contaminare una serie numerosissima di alimenti per animali, come mais, riso, grano, sottoprodotti dei cereali e perfino l’erba dei pascoli. L’attività principale di ZEA e dei suoi metaboliti consiste nel legame con i recettori per gli estrogeni a livello ovarico ed endometriale, dove esprime un potente effetto iperestrogenico che si manifesta con i seguenti sintomi: vulvovaginiti, sviluppo precoce della ghiandola mammaria nelle manze, riduzione della dimensione del corpo luteo (fino ad un 25%), cisti ovariche e aborti. La specie bovina è decisamente più resistente all’attività patogena dello zearalenone rispetto al suino, che rimane la specie allevata più sensibile e su cui si concentrano una gran quantità di studi scientifici. Questa minore sensibilità sarebbe da ascrivere all’attività metabolica della flora microbica ruminale che è in grado di ridurre significativamente la quantità successivamente assorbita dall’intestino. Le ricerche scientifiche su ZEA che riguardano la bovina da latte sono per lo più di tipo descrittivo, per cui rappresentano situazioni piuttosto specifiche che vengono descritte e messe in relazione all’ingestione di zearalenone. Da questo punto di vista non è semplice dare indicazioni su quali quantità minime ingerite possano dare problemi di fertilità. Weaver et al. nel 1986 riportò una riduzione apprezzabile del tasso di concepimento in manze che assumevano 250 mg al giorno di zearalenone. Coppock et al. nel 1990 descriveva un aumento dell’incidenza di infezioni genitali e un peggioramento generale delle performances riproduttive in bovine alimentate con diete co-contaminate da DON e ZEA in quantità di 660 μg/kg (DON) e 440 μg/kg (ZEN). Whitlow e Hagler in una review del 2005 affermano che i problemi riproduttivi nelle bovine da latte sono associati all’ingestione di diete con concentrazioni di ZEN pari o superiori a 400 ppb.

Tricoteceni di tipo A: Micotossina T-2 

La tossina T-2, prodotta da muffe ancora una volta del genere Fusarium, è una potentissima tossina responsabile soprattutto di infiammazione, ulcere ed emorragie a livello gastroenterico. Il suo ruolo come interferente dell’attività riproduttiva nella specie bovine risale ad uno studio di Huszenicza et al. del 2000. In questa ricerca si mise in evidenza una risposta alterata all’induzione dell’estro con prostaglandine, in particolare un ritardo di circa 2 giorni nel gruppo trattato con 9 mg/giorno per via orale per 20 giorni. Purtroppo, il campione sperimentale era veramente esiguo: 5 manze trattate contro 4 non trattate, per un totale di appena 9 soggetti. La numerosità del campione, a mio avviso, non supporta adeguatamente la significatività dei risultati. Gli effetti della tossina T-2 sulla fertilità della bovina hanno necessariamente bisogno di ulteriori approfondimenti.

Ocratossina A

Le ocratossine sono sostanze tossiche prodotte da alcune specie di Aspergillus e Penicillium che possono contaminare vari tipi di alimenti. I principali effetti dell’ocratossina A sulle cellule animali consistono nell’inibizione della sintesi proteica, la perossidazione dei lipidi, il danneggiamento del DNA e l’induzione di stress ossidativo nei tessuti. Nella specie bovina l’intossicazione da ocratossina A è decisamente meno frequente rispetto ai monogastrici, in quanto il rumine è capace di un’intensa attività di degradazione in fenilalanina e ocratossina α, decisamente meno tossica. Ad oggi non c’è alcun legame diretto evidente tra ingestione di ocratossina A ed infertilità nella bovina da latte.

Alcaloidi dell’Ergot

L’ergotamina è il principale alcaloide prodotto da alcune specie di Claviceps (segale cornuta). I segni clinici dell’intossicazione da ergotamina derivano dall’attività agonista di quest’ultima per i recettori della dopamina; ne consegue un ispessimento progressivo della parete delle arteriole periferiche che porta al restringimento del loro lume e quindi ad una ridotta perfusione sanguigna. Questo iter patogenetico si osserva anche nell’intossicazione per ingestione degli alcaloidi prodotti da fieno contaminato dal fungo Neothypodium coenophialum (ergonovina, ergovalina ecc.) responsabile della festucosi. I principali segni clinici dell’intossicazione di questi alcaloidi sono caratterizzati da sintomi nervosi, necrosi graduale delle estremità e intolleranza al calore. Sono tuttavia numerose le evidenze di un intervento diretto sulle performances riproduttive della vacca da latte. L’IGF-1 (Insuline Growth Factor di tipo 1) è uno dei principali fattori di crescita follicolare e la sua concentrazione ematica risulta essere significativamente ridotta. Le concentrazioni ematiche di ormone luteinizzante (LH), follicolostimolante (FSH) e prolattina sono ridotte in bovine che assumono alimenti contaminati da alcaloidi dell’ergot. Questi alcaloidi riescono ad interferire con i meccanismi di liberazione dell’FSH e dell’LH per un’azione diretta sulle fibre monoaminergiche (catecolamine), peptidergiche e GABAergiche. I neuroni ipotalamici responsabili della produzione di GNRH non hanno recettori per gli steroidi (es. estrogeni), per cui la loro attività è controllata da altri neuroni che possiedono i recettori per gli steroidi e che sono in rapporto con i neuroni produttori di GNRH attraverso le fibre precedentemente indicate. L’ergotamina ed altri alcaloidi alterano la trasmissione di quelle fibre nervose attraverso la loro azione agonista per i recettori della dopamina. L’ergotamina influenza la sintesi delle prostaglandine e la contrattilità del miometrio grazie ad un’azione agonista sui recettori α-adrenergici. La morte embrionale, l’aborto e l’anticipazione del parto sono eventi possibili in seguito all’ingestione di alcaloidi dell’ergot, e vedono come meccanismo patogenetico principale la ridotta produzione di progesterone per una scarsa perfusione del corpo luteo e degli invogli a causa dell’effetto di queste sostanze sulla riduzione del lume delle arteriole.

Rocquefortina C

La Roquefortina C è una micotossina abbastanza conosciuta in quanto è una possibile contaminante dei formaggi erborinati. Prodotta da muffe del genere Penicillium, si ritrova talvolta all’interno dell’insilato di mais ammuffito. Si sospetta essere l’agente causale di episodi di paralisi, aborto e ritenzione di placenta descritti da Still et al. nel 1972 e da Auerbach et al. nel 1998. Come detto per la tossina T-2, anche per rocquefortina C sono necessari ulteriori approfondimenti per avere la certezza di un legame tra la sua ingestione ed i disturbi della fertilità nella bovina da latte.

Conclusioni

Le micotossicosi sono delle condizioni patologiche potenzialmente assai dannose. Purtroppo, l’estrema varietà di tossine esistenti e le differenze di patogenicità sulle varie specie animali allevate non aiutano ad avere una visione sufficientemente ampia del loro reale impatto sulla salute e sulla fertilità. Ne consegue che solo raramente vengono messe in relazione certa di causa-effetto con un problema sanitario o riproduttivo; la maggior parte delle volte sono totalmente ignorate nelle diagnosi differenziali oppure chiamate in causa senza un reale fondamento. Il materiale scientifico presente è abbastanza vario ma nel complesso piuttosto datato. E’ auspicabile che la comunità scientifica ponga un’opportuna attenzione su questo argomento che necessita di uno studio sistematico in modo da fornire al Medico Veterinario dei punti fermi su cui basare i propri ragionamenti diagnostici.

Colgo inoltre l’occasione per ringraziare il Prof. Antonio Gallo che mi ha gentilmente fornito parte della bibliografia da cui ha avuto origine questo articolo.