Il gruppo delle malattie oggetto di trattazione, denominate in modo non sempre appropriato dal mondo accademico e non come PIROPLASMOSI, MALATTIE DELLE ZECCHE, FEBBRE DA ZECCHE, MALARIA, MALATTIA EMOLITICA, ha un percorso scientifico-culturale che non risale all’altro ieri della Medicina Veterinaria.

La storia delle patologie da emoprotozoi (parassiti che hanno un’azione patogena sul sangue dell’individuo colpito) risale alla fine del XIX ° secolo, quando scienziati come Babes, Theiler et al., con l’ausilio del microscopio ottico, cominciarono ad osservare nella parte corpuscolata del sangue di varie specie animali, in particolare nei globuli rossi, dei corpuscoli che, in base allo scopritore, prendevano il nome di babesia, theileria o altro.

A tal proposito, mi piace ricordare, che un veterinario pugliese alla fine del 1800 scopriva, sempre con l’ausilio del microscopio, l’agente responsabile della piroplasmosi equina. Questo collega, era Guglielmi, operava in Castellaneta (TA) ed era meglio noto come il papà dell’attore del film muto Rodolfo Valentino.

Gli agenti più noti, responsabili di queste patologie nel bovino, sono: Babesia bigemina, B bovis, B. divergens,  Anaplasma centrale, A. marginale, Thileria parva, T. annulata, T. mutans e tanti altri agenti patogeni che ometto per non annoiare il lettore.

La trasmissione di queste malattie avviene attraverso vettori rappresentati da zecche di vari generi come Ixodes, Boophilus, Haemaphisalis. Le zecche hanno il ruolo di vettori attivi poiché i parassiti sviluppano nel loro corpo alcune fasi del ciclo vitale e, senza si esse, non sarebbero in grado di riprodurre l’infestazione. Un aspetto pratico e, non trascurabile, è che molte volte l’uomo assume la parte di vettore passivo della trasmissione per queste malattie mediante l’uso di siringhe contaminate da sangue infestato dai parassiti.

Da tenere presente, dal punto di vista epidemiologico, le segnalazioni di un consistente numero di casi clinici dovuti alla trasmissione attraverso siringhe usate per iniettare in vena l’ossitocina al momento della mungitura.

Un altro aspetto da tenere presente in queste malattie è la diffusione geografica delle stesse.

Nell’immaginario degli addetti al settore zootecnico, la diffusione di queste parassitosi è tipica delle zone a clima caldo e quindi del sud dell’Europa, o di altre zone simili poiché in questi habitat vivono i vettori del parassita ossia le zecche.

Purtroppo questa affermazione non sempre corrisponde al vero in quanto, sia le segnalazioni ufficiali della letteratura, sia lo scambio di informazione fra buiatri , confermano l’assioma che “ le malattie le trovi se le cerchi” per cui la distribuzione geografica di queste parassitosi riguarda anche zone a clima più rigido come il nord dell’Europa o dell’Italia.

Generalmente, la forma clinica si osserva nei bovini superiori ai due anni di età.

Senza addentrarci troppo nei dettagli, dobbiamo specificare che il danno provocato dal parassita all’ospite, nel nostro caso il bovino, è dovuto a una distruzione dei globuli rossi. Questa distruzione avviene principalmente per un fatto meccanico cioè, il parassita moltiplicandosi all’interno dell’emazia, la rompe rendendo liberi i prodotti di disgregazione. Per alcuni parassiti la distruzione dei globuli rossi avviene per un processo immunologico.

Quindi, i sintomi clinici sul bovino sono anemia, ittero, a volte emoglobinuria accompagnati da sintomi di ordine generale come abbattimento, anoressia, stipsi/diarrea ma soprattutto febbre elevata nella fase iniziale della malattia. Gli esami di laboratorio, da un semplice striscio di sangue e osservazione al microscopio fino ad indagini più sofisticate come la PCR, permettono la classificazione eziologica del parassita.

L’esito della malattia va dal fausto all’infausto, quest’ultima soprattutto su animali senza protezione immunitaria come quelli introdotti in zone endemiche da zone indenni.

La terapia si avvale di prodotti attivi sui parassiti ed altri miranti a rimediare ai danni causati dagli stessi.

Il prodotto attivo e registrato sul bovino per queste patologie è l’imidocarb, e su alcuni parassiti come l’anaplasma, anche le tetracicline. Da aggiungere che in passato vi erano più presidi contro queste malattie ma, al momento, per vari motivi commerciali e burocratici, non condivisibili per chi opera in campo, la disponibilità di armi terapeutiche in buiatria diventa sempre più critica.

A completamento della terapia bisogna ricordare anche l’obiettivo di ricostruire ciò che è andato distrutto, cioè i globuli rossi, con antianemici e nei casi gravi anche con trasfusioni di sangue.

Non esistono, al momento, in Italia presidi vaccinali registrati per queste patologie.

A questo punto bisogna fare chiarezza sullo stato dell’arte di queste patologie.

Le malattie parassitarie dei bovini sono, molte volte, sottostimate e inquadrate secondo la visione del mondo accademico orientato alla clinica del singolo. Nell’allevamento della bovina da latte, la patologia di un animale, và contestualizzata in ambito di mandria.

Come riferito da M. L’hostis ,in un interessante articolo su un numero monotematico di “Summa Animali da Reddito”, le forme cliniche da emoparassiti si hanno quando si rompe l’equilibrio fra ospite, il bovino nel nostro caso, e il patogeno.

La stessa evidenza viene da osservazioni cliniche della praxis buiatrica quotidiana.

Le Piroplasmosi spesso si osservano in periodi non corrispondenti alla maggior diffusione dei vettori (zecche), ma nei periodi critici per l’allevamento dove l’immunodepressione impatta fortemente sulla salute, e quindi sul reddito della bovina. Molte volte l’esplosione di casi clinici, anche di marcata gravità, si registra in concomitanza di eventi stressanti come vaccinazioni con virus vivi, perdita di BCS della mandria per cambio del sistema di alimentazione, insufficiente numero di poste in mangiatoia, concomitanza con altre parassitosi (pidocchi ematofagi o rogne).  A conferma di quanto osservato in pratica, non si può che essere in sintonia con i dati epidemiologici riferiti dall’autore francese summenzionato. Lo stesso parla di bassa incidenza di forme cliniche e di alti livelli di positività sierologica, il che significa che rispettando l’eziopatogenesi di molte malattie parassitarie, fra l’ospite e il patogeno viene a crearsi un rapporto di “ non belligeranza”, chiamato in medicina PREMUNIZIONE, che consiste nella presenza nell’ospite di un numero contenuto di parassiti che stimolano il sistema immunitario senza provocare azione patogena. La malattia si svilupperà quando un fattore immunosoppressivo per l’ospite darà la possibilità al parassita di moltiplicarsi e virulentarsi per una rottura degli equilibri fra gli stessi. In conclusione di questa trattazione, dove volutamente non si è sceso nei dettagli scientifici, il messaggio agli allevatori e ai colleghi buiatri è, che di fronte ad un problema di “ piroplasmosi”, oltre a tener presente la vecchia clinica del singolo, oggi ancora più valida rispetto al passato, si deve valutare la patologia in funzione del nuovo paziente ossia la mandria. Situazioni di mancato benessere (per fortuna nell’allevamento della bovina da latte quello vero e il burocratico molte volte coincidono) portano alla manifestazione di patologie che sono spie di criticità per l’allevamento come clostridiosi, mastiti, metriti, zoppie e le piroplasmosi fanno parte di questo gruppo che potremmo classificare con il vecchio, ma sempre valido, termine di MALATTIE CONDIZIONATE.