Da tempo quasi “immemore”, la mia attività di ricerca – sotto la guida del compianto Prof. G. Piana e del Prof. V. Cappa – si è intrecciata con le anomalie digestive delle bovine da latte; in particolare per la presunta relazione con problemi sanitari molto seri (a parte i non trascurabili fenomeni di “indigestione”, diarrea, calo produttivo e di minore ingestione ecc.). A tale riguardo è da tempo nota, anche se non sempre adeguatamente spiegata, la relazione negativa con alcune “malattie” degli arti (laminite e sue conseguenze, gonfiori dei garretti, arrossamento e gonfiore del cercine coronario, ecc.) e con la fertilità, ma anche con fenomeni di immunodepressione con accresciuto rischio di varie malattie infettive fra le quali spicca la mastite. Non per nulla, molte di queste ultime problematiche erano (e sono) associate ad alimenti (foraggi verdi ed insilati non ben conservati, concentrati altamente fermentescibili, foraggi troppo sminuzzati ecc.) e/o modalità alimentari (concentrati in dosi eccessive, variazioni alimentari troppo rapide, unifeed “macinato” ecc.) notoriamente causa di disturbi digestivi, in particolare della funzionalità ruminale essendo associate a scarsa o nulla attività ruminativa e motoria dell’organo. Da molto tempo tuttavia (anni ’80), era stata da noi evidenziata la possibilità (e non eravamo i primi) che all’origine degli stessi sintomi non vi fossero solo disturbi ruminali, ma anche dell’intestino; ciò perché nei cavalli la colica ha la stessa tipologia di origine, perché le diete ricche di amidi – non di rado “baipassabili” e difficilmente utilizzabili in toto nell’intestino tenue – portano a processi fermentativi intensi anche nel cieco-colon (ove meno efficaci sono i mezzi “protettivi tipici del rumine: tamponi, papille a sviluppo variabile ecc.). Da sottolineare inoltre che non pochi lavori, anche del nostro Istituto, avevano dimostrato sintomi analoghi pur senza evidente alterazione del contenuto del rumine (la cui parete è inoltre poco permeabile alle endotossine).
Comunque sia, l’entità dei danni è ben nota e non abbisogna di ulteriori precisazioni, se non per richiamare una possibile aggravante nel caso questi disturbi digestivi si verifichino nel periodo di transizione; l’inadeguata ingestione di alimenti e l’elevata mobilizzazione delle riserve vengono infatti esasperate con le conseguenze facili da prevedere. Pure opportuno è un qualche approfondimento sui meccanismi all’origine dei predetti fenomeni, come cioè una anomalia fermentativa nel tratto gastro-enterico abbia conseguenze tanto gravi e lontano dal digerente stesso.
Non certo da oggi è noto che i batteri Gram negativi posseggono, nella loro parete cellulare, un composto lipopolisaccaridico (LPS) che viene rilasciato solo in caso di “morte” del batterio (di qui il termine di endotossina), in grado di interagire con i recettori “toll like” di macrofagi e di altre cellule del sistema immunitario, dando così il via al processo infiammatorio ed alla risposta immunitaria. Per quanto riguarda in particolare il processo infiammatorio (reazione di fase acuta), esso può essere locale o sistemico ed è mediato dal rilascio di citochine pro-infiammatorie: interleuchina – 1, interleuchina – 6 e fattore di necrosi tumorale (TNF alfa o beta). Queste citochine, e gli associati eicosanoidi di tipo infiammatorio (prostaglandina E, leucotrieni, trombossani ecc.) provenienti dal metabolismo dell’acido arachidonico (omega 6), determinano in vario grado quei fenomeni notoriamente associati ad un evento infiammatorio:
– locale: aumento del flusso sanguigno e della permeabilità dell’endotelio capillare (da cui arrossamento, calore e gonfiore), ma anche accresciuta sensibilità delle terminazioni nervose (da cui dolore);
– sistemico: effetti piretico, anoressizzante e sul metabolismo con prevalenza dei fenomeni catabolici (lipolisi nel t. adiposo e proteolisi nel t. muscolare) mentre a livello del fegato si assiste ad una deviazione delle sintesi proteiche. In particolare, a livello epatico, si riducono le sintesi di proteine ordinarie, di qui il loro calo nel sangue e la denominazione di proteine negative di fase acuta. Sono le albumine, le lipoproteine, molte proteine di trasporto di vitamine ed ormoni (es. della vitamina A o RBP, del cortisolo o CBG ecc.), ma anche enzimi attivi nel fegato (es. implicati nella “clearance” della bilirubina) od anche rilasciati nel sangue con varie funzioni (es. la paraoxonasi che protegge le lipoproteine dalla ossidazione). Per contro aumentano altre proteine epatiche, quelle inducibili necessarie soprattutto in queste situazioni per favorire i processi di difesa dai patogeni e di riparazione dei danni tessutali. Si tratta di aptoglobina, siero alfa amiloide, proteina C reattiva, ceruloplasmina ecc. ; in questo caso, essendo aumentate, vengono denominate proteine positive di fase acuta.
Da notare che le citochine pro-infiammatorie circolanti possono indurre e/o riattivare processi infiammatori latenti e lontani dal luogo del loro rilascio (da cui gli “stoppini” nel latte, gonfiori agli arti ecc.) od alterare la microcircolazione in alcune aree “delicate”, da cui ad esempio la laminite nel bovino e nel cavallo.
Prima di tornare al digerente, è forse opportuno approfondire il meccanismo con cui il processo infiammatorio aggrava la già difficile fase di transizione; anzitutto premettiamo che non solo i patogeni, ma anche le condizioni di “sofferenza” dei tessuti possono dare avvio alla infiammazione (e questa poi può “auto-innescarsi”, cioè “perpetuarsi”). Ricordiamo al riguardo i traumi, le lesioni di vario tipo, lo sforzo eccessivo, gli stress specie termico ed ossidativo, ma senza trascurare la relativamente recente acquisizione del rilascio di micro-quantità di citochine pro-infiammatorie da parte degli adipociti ripieni di trigliceridi (da cui la meta-infiammazione da eccesso energetico che caratterizza la sindrome metabolica dell’uomo, foriera di diabete, malattie cardiovascolari, cancro ecc.). Comunque sia, è facilmente comprensibile che gli effetti tipici delle citochine: minore ingestione di sostanza secca, fenomeni catabolici, deviazione delle sintesi epatiche ecc., aggravino il deficit energetico ed in particolare di glucosio, aumentando i NEFA da metabolizzare che, in queste condizioni metaboliche, sono convertiti a corpi chetonici (chetosi) e trigliceridi che – essendovi insufficiente quantità di lipoproteine – si depositano nell’epatocita (steatosi più o meno grave). Non per nulla, il nostro Istituto (Zootecnica della Facoltà d’Agraria di Piacenza) ha per primo (sin dagli anni ’80-90) evidenziato quanto segue:
- il parto-inizio lattazione si associa a relativamente frequenti fatti infiammatori di origine non sempre chiara;
- le bovine con più intensi fenomeni infiammatori nel 1° mese di lattazione (di cui meno del 50 % è manifesto, mentre i restanti sono evidenziabili solo grazie alle variazioni ematiche di proteine della fase acuta, specie le negative), si caratterizzano per essere meno produttive e contemporaneamente meno fertili;
- è confermato che queste bovine con eventi infiammatori mangiano meno e si caratterizzano per una minore efficienza energetica; di qui maggiore perdita di peso (BCS) e spesso valori più elevati di NEFA e corpi chetonici;
- l’uso di salicilato (nel nostro caso a livello sperimentale e solo dopo il secondamento, ma entro 3-4 giorni quando il colostro non è commercializzabile) ha permesso di migliorare la risposta produttiva, l’ingestione di sostanza secca, il bilancio energetico e successivamente la fertilità; mentre al livello ematico il processo infiammatorio mostra di essere meno intenso. Recentemente sono tuttavia apparse pubblicazioni su analoghe esperienze negli USA.
Tornando all’apparato digerente, ben sappiamo della enorme quantità di batteri presenti non solo nel rumine, ma anche nell’intestino; sappiamo altresì che molti sono Gram -, senza che ciò comporti alcun problema per l’animale (ed anche per l’uomo). La ragione è molto semplice: l’LPS, rilasciato da tali batteri con gradualità, viene disattivato a livello della mucosa e questa è comunque integra per cui ne passano solo tracce, “inattive” sul sistema di difesa. Al contrario, due possono essere le ragioni di passaggio “elevato” di LPS attraverso la barriera della mucosa:
- la prima è la più intuitiva, che cioè si creino nel digerente (non solo rumine, ma anche intestino) le condizioni per un esagerato sviluppo microbico per la presenza di troppi zuccheri-amidi. Insieme ai molti batteri si ha infatti una forte riduzione del pH (acidosi) che causa morte-lisi di quantità consistenti di batteri con rilascio di LPS il cui assorbimento può in queste condizioni essere facilitato dall’acidosi stessa e successivamente – avviato l’evento infiammatorio – dal rilassamento delle giunzioni che comunemente rendono “ermetici” gli spazi fra le cellule. Ciò è più facile nell’intestino, ma seri fenomeni di acidosi ruminale possono creare micro-lesioni anche nella sua parete per quanto ispessita. Da notare che anche altre cause “pseudo-alimentari” possono favorire l’aumento di permeabilità della mucosa; è il caso di alcune micotossine che hanno anche l’effetto di accrescere la suddetta permeabilità, ma anche varie cause di “danno” della parete del digerente: parassiti, forme allergiche, infiammazioni localizzate ecc.;
- più recentemente si va precisando che l’alterazione della permeabilità della mucosa, specie intestinale, si può avere anche per cause diverse dal digerente: interventi chirurgici, stress termico, sforzo fisico molto intenso, processi infiammatori intensi altrove localizzati e persino gli stress psicologici rilevanti ecc. Dunque, se è vero che le alterazioni digestive condizionano altri distretti dell’organismo, è vero anche il reciproco. Ovvio che, in queste circostanze, il rischio sarà maggiore se nel digerente alberga una popolazione microbica più sviluppata del normale come può accadere, per la bovina da latte, nella fase di transizione e durante quasi tutta la lattazione (quando la dieta è ad alto contenuto di carboidrati fermentescibili).
A questo punto trarre conclusioni, anche sul piano pratico, è relativamente facile almeno in termini di principi; le regole alimentari atte a prevenire disturbi digestivi (non solo nel rumine) sono essenziali e riguardano tutto quanto è connesso ai processi fermentativi ed alle loro conseguenze: tipo e quantità di carboidrati, velocità di transito nel digerente, tamponi naturali od aggiunti, modulatori del microbismo, adattamento dei meccanismi di assorbimento degli acidi ecc.. Esse tuttavia non bastano poichè è necessario evitare che la mucosa del digerente sia “danneggiata” ed allo scopo è necessario porre attenzione ad alcuni farmaci, alle micotossine, a varie cause di stress, a sforzo fisico eccessivo (es un parto distocico, quindi laborioso e causa di lesioni) ecc.. Se del caso è infine opportuno fare corretto uso di “farmaci” per regolare il microbismo, ma anche per attenuare i processi infiammatori.
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