Questo articolo ha lo scopo di raccogliere e diffondere l’esperienza maturata sul campo in questi anni nell’affrontare situazioni difficili da gestire e risolvere, sperando di fornire informazioni utili a chi dovesse affrontare queste problematiche.

I micoplasmi dell’allevamento caprino sono principalmente rappresentati da M. agalactiae, M. Capricolum e M. mycoides; di questi nei focolai del nord Italia sono protagonisti principalmente il M.agalactiae e il M. capricolum.

In Lombardia dopo anni in cui non si sentiva più parlare di questi batteri  si è verificata la presenza del M. agalactiae e M. capricolum a partire dal 2009 cui fa seguito in Trentino Alto Adige, in particolare nella provincia di Trento, dove viene messo in atto un piano obbligatorio per gli allevatori di controllo delle micoplasmosi a partire dal 2010.

Visto l’esempio trentino anche la Lombardia si munisce di un piano di monitoraggio e controllo di questa malattia a partire dell’anno 2011.Vengono quindi esaminati, in occasione della bonifica di Stato, tutti i capi presenti nei vari allevamenti caprini e ovini del territorio Lombardo attraverso test sierologico per M. agalactiae.

In caso di positività il Veterinario Ufficiale esegue una visita in allevamento andando a verificare eventuali segni o sintomi sui capi risultati positivi alla sierologia; fortunatamente nella maggioranza dei casi non c’è seguito alla sierologia e quindi il monitoraggio viene chiuso con esito negativo.

Nel caso in cui fossero presenti sintomatologie sospette viene eseguito il prelievo di latte sul quale si verifica attraverso metodica “PCR” la negatività o positività. In quest’ultimo caso attraverso l’ordinanza si impone il blocco sanitario dell’allevamento, l’eliminazione dei capi positivi e la riverifica dei restanti onde rientrare nella negatività e l’annullamento del vincolo sanitario.

Nella pratica quotidiana la positività sierologia cui fortunatamente non fa seguito la sintomatologia clinica non è infrequente. La sensibilizzazione del sistema immunitario a micoplasma attraverso un contatto più o meno recente può essere la spiegazione logica a questa situazione.

L’analisi di più situazioni verificate su campo permettono di puntualizzare alcuni capisaldi: la patologia presenta un’esordio endemico molto rapido con agalassia improvvisa e alterazione del latte, il quale assume aspetto cremoso tendente al giallastro simile ad un colostro, in certi casi associato o meno ad alterazione della consistenza mammaria, con indurimento del parenchima e linfonodi sopramammari notevolmente iperplasici. Alla palpazione non si rileva dolore e la mammella non è iperemica nè c’è  presenza di alterazione esterna.

Alla visita clinica i soggetti colpiti non presentano sintomi riferibili a patologia in corso; l’unico rilievo è la temperatura rettale oltre i 40,5 C° , fino a 42 °C, incredibilmente associata ad appetito e ruminazione conservata e nessun’altra alterazione. Tale quadro si riscontra in corso di Micoplasma Capricolum dove la cheratocongiuntivite e l’artrite sono un’eccezione.

I soggetti colpiti da mastite aumentano quotidianamente in grande numero determinando il crollo della produzione lattea, in genere in una sola settimana abbiamo dimezzamento della quantità di latte prodotto.

Più complicato e grave il riscontro da M. Agalactiae il quale ,oltre ai sintomi mammari già sopra descritti e sovrapponibili a M. capricolum, provoca fenomeni artritici colpendo particolarmente l’articolazione carpica con algia alla palpazione e iperplasia bilaterale ben visibile, praticamente patognomonico se associata alla situazione clinica in atto, invalidante per i soggetti colpiti che presentano mancata deambulazione, rapida anchilosi degli arti colpiti con anoressia, mancata assunzione di cibo e rapido defedamento organico costringendo l’allevatore a riforma forzata o alla morte entro breve tempo degli stessi animali.

In alcuni casi il riscontro artritico si rileva anche a livello posteriore, garretto e articolazione tibio-rotulea.

La cheratocongiuntivite non è un’eccezione con formazione di panno corneo bilaterale seguito da ulcerazione, cecità e dolore, cui consegue anoressia, difficoltà di movimento, scadimento delle condizioni generali.

Dall’analisi del latte abbiamo già detto che il primo segnale è dato dal crollo produttivo, dalla difficoltà alla filtrazione e da un notevole aumento delle cellule somatiche le quali presentano valori superiori ai 3,5 milioni/ml sul latte di massa e su quello per emimammella, con valori fino a 10 -15 milioni/ml.

Possibile è la valutazione in campo: dopo aver prelevato il latte si lascia depositare nella provetta per circa 20 minuti; in caso di riscontro positivo si noterà un alone grigiastro nella parte superficiale rispetto al resto del contenuto che manterrà colore biancastro.

La diagnosi confermativa viene emessa dal laboratorio tramite analisi microbiologica con semina su terreno specifico, PPLO agar, considerato che il micoplasma non cresce sul terreno di coltura generico (l’agar sangue), e tramite metodica molecolare vale a dire la PCR.

Va puntualizzato che per avere diagnosi certa è opportuno inserire entrambe le metodiche, in quanto capita che esistano discordanze di risultato. E’ comunque sufficiente una positività delle due per essere sicuri che il protagonista della patologia in atto sia Micoplasma.

La mastite da micoplasma, non essendo fortunatamente diffusa nel nord Italia, quindi poco conosciuta e con  sintomatologia subdola, viene spesso all’inizio sottovalutata dall’allevatore che  avverte con ritardo il veterinario aziendale che si trova poi ad affrontare una situazione già compromessa.

Già in corso di sospetto la separazione immediata degli animali sintomatici è fondamentale, tramite creazione dei gruppi di mungitura, meglio con l’uso di impianti differenti per le sane e le infette,  disinfezione accurata dell’impianto di mungitura, messa in atto di post-dipping con prodotti a base di clorexidina, disinfezione della lettiera con appositi prodotti ad azione battericida, accurato pre-dipping seguito da asportazione dei primi getti di latte al fine identificare eventuali animali nuovi sintomatici che verranno subito separati ed inseriti nel gruppo delle infette.

Queste pratiche l’allevatore deve recepirle e metterle immediatamente in atto se vuole limitare i danni, e comunque il ritardo di pochi giorni dall’inizio dei sintomi crea una situazione drammatica.

Le terapie antibiotiche messe in atto trovano poco o nullo riscontro: l’uso dei macrolidi, in particolare la Tilosina sembra il farmaco ancora più sensibile se somministrato per lunghi periodi, almeno 8-10 giorni, e comunque per avere un minimo di risposta terapeutica è necessario iniziare la somministrazione ai primi segnali, altrimenti è assolutamente inefficace.

Un capitolo a parte merita la vaccinazione che permette una rapida remissione dei sintomi mastitici in corso di patologia in atto, soprattutto in caso di M. capricolum, e diventa protettiva per il proseguo della vita produttiva dell’intero gregge.

Dopo il primo inoculo, eseguito sia sulla sane che sulle infette, viene richiamato a un mese di distanza seguito da vaccinazione di richiamo ogni 4-6 mesi onde mantenere un titolo anticorpale protettivo.

Anche le rimonte dovranno essere sottoposte a protocollo vaccinale a partire dal secondo terzo mese di vita.

In commercio esistono 2 tipi di vaccini, di cui solo uno polivalente, M. agalactiae,M. capricolum e M. mycoides subsp.mycoides e registrato anche per caprini.

In alternativa alcuni Istituti Zooprofilattici (Sassari e Izs del Mezzogiorno) hanno laboratori attrezzati per produrre vaccini stabulogeni, altrettanto efficaci e paragonabili ai commerciali.

Il piano vaccinale deve essere gestito dal veterinario aziendale, in maniera scrupolosa con rispetto dei tempi d’inoculo e dei modi di somministrazione; se queste pratiche non vengono rispettate la patologia comparirà di nuovo in allevamento.

Il concetto che la vaccinazione diventi risolutiva per il controllo della patologia deve essere altrettanto chiaro, come il fatto che gli animali trattati diventano portatori sani, quindi in grado di diffondere la malattia se introdotti in altri greggi .Di conseguenza la movimentazione in questi allevamenti deve rigorosamente cessare o restare attiva solo per l’introduzione di nuovi capi.

Se il Veterinario aziendale, responsabile del piano vaccinale, è in grado di fare capire l’importanza della cosa all’allevatore il quale coscienziosamente la mette in atto, si creano le premesse risolutive di una problematica molto grave e difficile da controllare.

Quindi parlare di situazione ingestibile perché legata alla monticazione e al pascolamento comune delle greggi non deve essere la scusa per lasciare che la patologia diffonda nel territorio.

L’allevatore serio, il Veterinario aziendale preparato e l’Autorità Sanitaria nella veste del Veterinario Ufficiale che gestiscono in maniera ottimale la situazione collaborando tra loro, risolveranno la situazione impedendo la diffusione del focolaio.