Le premesse

Il dibattito sul sistema di pagamento del latte a qualità (PLQ) è oggi più che mai aperto suscitando grande interesse tra gli addetti ai lavori. Negli ultimi anni è stata corrisposta di fatto una premialità senza importanti incrementi per l’azienda e i ripetuti tentativi di adeguare il prezzo del latte alla stalla a margini di profitto sempre più ridotti, hanno contribuito a distrarre l’attenzione sull’attuazione di un pagamento qualità rispondente ai reali costi di produzione ed al lavoro necessario per conseguirla.

La carica batterica totale (CBT) del latte di massa rientra tra i parametri igienico sanitari che definiscono il PLQ ed è tutt’oggi ancorata al concetto di qualità individuato alla fine degli anni ’80. In attesa che tale concetto venga rivisto in favore di una qualità “differenziata”, cioè connessa alla destinazione produttiva del latte ed alla corretta diagnosi delle fonti di  contaminazione microbica, occorre indirizzare gli interventi tecnici affinché lo stato igienico-sanitario generale dell’allevamento mantenga standard elevati.

Il limite massimo di microbi previsto dal non più recente regolamento CE 853 del 2004 è di 100.000 ufc per ml di latte, calcolato come media geometrica su base bimestrale con almeno 2 prelievi al mese; diverse tabelle industriali prevedono ormai franchigie al di sotto delle 50.000 ufc e secondo dati e studi scientifici effettuati nel corso dell’ultimo ventennio, le aziende che lavorano bene conseguono valori medi ben al disotto delle 25.000 ufc.

Come raggiungere e mantenere un obiettivo così ambizioso? E in quale momento va attivato un percorso di verifica? Prendendo spunto da una famosa affermazione è possibile dire che se “un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova” allora l’allevatore che al terzo cartellino del latte rileva una CBT in aumento deve attivarsi immediatamente per determinare la o le cause, escludendo eventuali anomalie sul prelievo e trasporto dei campioni di latte dalla stalla al laboratorio.

Normalmente le principali cause di un aumento della CBT sono da ricercare nella non corretta sanificazione (pulizia e disinfezione) delle attrezzature deputate all’estrazione, trasporto e stoccaggio del latte e/o in anomalie funzionali del sistema di refrigerazione. Nella maggior parte dei casi risulta piuttosto semplice individuare la causa, in altri il lavoro d’investigazione non sempre dà i risultati attesi e diviene necessario valutare accuratamente e con consapevolezza i vari punti critici, per individuare le fonti di contaminazione batterica, meglio se con l’aiuto di un tecnico specialista.

Le fonti di contaminazione

Essendo il latte appena munto pressoché sterile con valori di CBT al di sotto di 1.000 ufc per ml è facile intuire che il livello di contaminazione microbica del latte cresce nei passaggi successivi alla mungitura. Le fonti di contaminazione del latte sono da attribuire ai batteri presenti:

  1. all’interno della mammella
  2. sulla superficie dei capezzoli e della mammella
  3. sulla superficie delle attrezzature per l’estrazione, il trasporto e lo stoccaggio del latte

La carica microbica del latte refrigerato non risulta significativamente influenzata dai batteri presenti all’interno delle mammelle di vacche sane; in rari casi gli Streptococchi, in particolare S. agalactiae e S. uberis, possono essere causa di un moderato rialzo della conta batterica in base al numero di bovine infette ed allo stadio d’infezione. Anche lo Staphylococcus aureus raramente influisce sulla CBT del latte di massa. I microrganismi responsabili di mastiti ambientali concorrono al rialzo temporaneo della CBT ma il loro contributo è influenzato dalle altre fonti di contaminazione presenti in stalla come pure dalla stagionalità.

Nel caso dei batteri presenti sulla cute della mammella, quelli di origine naturale hanno una bassa influenza sulla CBT del latte, mentre quelli provenienti dall’ambiente di stabulazione  e presenti su bovine con capezzoli e mammelle molto sporche influiranno significativamente sulla conta batterica del latte, soprattutto se si pratica una tecnica di mungitura inadeguata (es. mancata asciugatura, uso eccessivo di acqua, uso di tovagliette non disinfettate) ed un utilizzo non corretto dei filtri del latte.

Rispetto alle suddette cause di contaminazione i batteri presenti sulla superficie dell’impianto di mungitura e sulle attrezzature di stoccaggio del latte hanno una forte influenza sulla CBT del latte refrigerato. I residui di latte che rimangono sui materiali (gomma, plastica, vetro e acciaio) dell’impianto di mungitura costituiscono il substrato ideale per la crescita esponenziale di svariati tipi di batteri, in special modo quelli di natura ambientale. Pure la pietra del latte risulta essere un substrato, seppur lento, di crescita microbica e perfino l’acqua utilizzata per il lavaggio è causa di una contaminazione del latte quando non presenta le caratteristiche di potabilità richieste dalla normativa vigente.

L’attuale sistema d’analisi dei campioni di latte basato sulla citometria di flusso non consente una diagnosi puntuale della tipologia, nè tantomeno della fonte, di batteri presenti nel latte.

Il Controllo

Non soffermandosi più di tanto sulla prima fonte di contaminazione, che è responsabile di un aumento della CBT del latte ma non in modo significativo, si deve invece porre attenzione alla carica microbica presente sulla cute delle mammelle, procedere ad una valutazione delle  condizioni igieniche di vacche e lettiera e modificare la loro gestione con interventi mirati. Una routine di mungitura che preveda: una eliminazione dei primi getti di latte, la disinfezione pre-mungitura ed una asciugatura completa dei capezzoli, ridurrà tuttavia la carica microbica sui capezzoli e del latte di ben oltre il 50%; una veloce osservazione dei filtri del latte monouso a fine mungitura darà un’idea dell’efficacia della routine di mungitura adottata.

In merito al terzo e più importante fattore d’inquinamento microbico, sarà opportuno verificare le procedure di pulizia e disinfezione dell’impianto di mungitura, così come delle altre attrezzature, al fine di eliminare completamente residui organici (latte, letame, mosche, peli, paglia, etc.), inorganici (pietra del latte, minerali, calcare, etc.) e chimici sia in presenza di lavaggio manuale che automatico, entro un’ora dalla fine della mungitura.

Vediamo adesso quali sono gli aspetti fondamentali di un corretto lavaggio dell’impianto:

  1. Temperatura dell’acqua – Fermo restando l’esistenza di detergenti/disinfettanti che agiscono bene sia con acqua calda che fredda, in generale è indicato l’uso di quella calda nella fase di lavaggio vero e proprio, in quanto accentua l’effetto microbicida del disinfettante e permette ai tensioattivi non schiumogeni, contenuti nella soluzione di lavaggio, l’emulsione dei grassi e delle proteine per una loro facile rimozione dalle superfici. Mediante un semplice termometro digitale si potrà verificare la temperatura della soluzione di lavaggio nella vaschetta di accumulo che dovrà essere almeno di 50°C per ottenere 65-70°C in ricircolo. Nella fase di prelavaggio una temperatura dell’acqua di 30-35°C favorirà la rimozione del latte e dei residui organici dalle condutture a fine mungitura ed il mantenimento della suddetta temperatura della soluzione di lavaggio.
  2. Uso e dosaggio detergenti/disinfettanti – L’uso quotidiano a fine mungitura del detergente alcalino mantiene le attrezzature pulite dai residui organici mentre quello acido elimina i residui minerali ed inibisce la crescita di batteri; l’acido si utilizza mediamente 2 volte a settimana dopo quello alcalino o in sua sostituzione, con acqua fredda o calda. La quantità di detergente mescolato con l’acqua deve essere quella indicata in etichetta, di solito 1-2%. Quantità superiori non migliorano di fatto il lavaggio ma riducono la durata dei componenti in gomma.
  3. Quantità e qualità dell’acqua – I volumi d’acqua impiegati vanno valutati attentamente in funzione dei diametri delle condutture, seguendo le specifiche tecniche previste dalla ditta costruttrice, soprattutto nel caso di impianti di mungitura sprovvisti di lavatrice automatica. I gruppi di mungitura richiedono generalmente 12-14 litri d’acqua ciascuno nella fase di prelavaggio e circa 10-12 nella fase di lavaggio. Considerare la durezza dell’acqua al fine di valutare l’efficacia ed il corretto dosaggio dei prodotti utilizzati.
  4. Azione meccanica – L’azione meccanica dell’acqua, o quella manuale di spazzolatura in caso di mungitura diversa dalle sale, favorisce l’eliminazione dei residui ed è quindi fondamentale valutare la presenza/assenza degli iniettori d’aria; la corretta turbolenza, la velocità e la formazione di tappi della soluzione durante il suo passaggio sui gruppi di mungitura e su eventuali misuratori del latte può essere osservata durante il lavaggio.
  5. Tempi di contatto – In generale i tempi sono dettati dal tipo di lavaggio se manuale o automatico e dal tipo di detergente utilizzato, ma è comunque opportuno che la fase di prelavaggio duri 3-5 minuti, quella di lavaggio 10-15 m. e quella di risciacquo 10 minuti.
  6. Drenaggio – Al termine di ogni lavaggio è importante che l’acqua rimasta nelle attrezzature sia drenata in quanto è una probabile fonte di contaminazione batterica. Valutare le pendenze delle condutture, lo stacco delle tettarelle dalle coppette ed il posizionamento delle attrezzature ai fini di una completa sgocciolatura.

Per concludere questa breve panoramica sugli aspetti salienti del lavaggio è d’obbligo spendere due parole sul controllo igienico delle attrezzature. L’ispezione veloce di alcuni punti critici quali: guaine, collettori, tubi lunghi del latte, vaso terminale e delle condutture del latte, la parte superiore interna rappresenta una delle zone di deposito più frequente, fornirà indicazioni utili sulla presenza di depositi molli, pellicole o altri residui.

Conclusioni

In definitiva sia la tecnica di mungitura sia il sistema di lavaggio rappresentano importanti punti critici su cui eseguire una preliminare quanto accurata indagine, senza ovviamente tralasciare un’attenta verifica delle modalità e dei tempi di refrigerazione del latte.

Consulenti aziendali, industria, laboratori di analisi e soprattutto allevatori continueranno a confrontarsi anche nel post quote con la CBT e con l’attuale sistema di pagamento del latte qualità, nel rispetto della normativa vigente, delle necessità dell’industria e delle esigenze salutistiche del consumatore, insieme coscienti però che gli sforzi sostenuti per raggiungere gli standard qualitativi richiesti andranno attentamente ponderati in base alle reali necessità aziendali e considerando che l’onere dei costi è sempre e solo dell’allevatore.