Il prolasso della vagina e/o uterino è una evenienza patologica caratterizzata da un’estroflessione della parete dell’organo attraverso la rima vulvare. Questa si osserva negli stadi avanzati di gravidanza, subito dopo e, raramente, molto tempo dopo il parto. La sua incidenza può essere bassa (2-6%) o elevata (7-35%). Si considera, invece, una condizione di normalità un’incidenza inferiore al (2%). La vagina, in seguito ad un rilassamento del diaframma pelvico (struttura costituita dalla confluenza dei muscoli elevatori dell’ano e dal muscolo coccigeo lateralmente, dal muscolo sfintere esterno medialmente, dal muscolo otturatore esterno e dalla fascia perineale in basso) e dei suoi mezzi di ancoraggio, nonché del tessuto connettivo e delle pareti laterali e infero posteriori della vagina, subisce uno spostamento caudale, una successiva inversione ed infine un prolasso, prima parziale e poi eventualmente completo, seguito il più delle volte dal prolasso della cervice e talvolta dell’utero.

Il prolasso vaginale e/o uterino riconosce una o più cause (etiologia multifattoriale) che frequentemente interagiscono tra loro. In particolare, nella eziopatogenesi del prolasso intervengono fattori predisponesti e fattori scatenanti. I primi (fattori predisponesti) possono essere di natura genetica o ambientale ma entrambi agiscono modificando la normale conformazione scheletrica, mentre i secondi (fattori scatenanti) sono rappresentati dalle tecniche di allevamento e in special modo dall’alimentazione. La predisposizione può essere congenita e/o acquisita durante l’accrescimento, in particolare nelle prime fasi della vita e più raramente nell’età adulta, per patologie di natura traumatica o infettiva. Sono predisposti quegli animali che presentano coda attaccata alta, arti falciati e un bacino corto e pendente posteriormente, caratterizzato da una larghezza media della groppa (misurata tra le due ali dell’ileo) e da una notevole larghezza agli ischi. Trattasi quasi sempre di soggetti nei quali il pavimento del bacino è molto più corto dell’estensione del canale vaginale che, per tale motivo, in caso di vis a tergo – determinata anche da una semplice pressione endoaddominale (feto grande e rumine eccessivamente rigonfio) – protrude facilmente al di fuori delle labbra vulvari in concomitanza della fisiologica lassità dei legamenti che si verifica a fine gestazione. La groppa della bufala si presenta di forma trapezoidale con un diametro anteriore (larghezza agli ilei), medio (larghezza ai coxofemorali) e posteriore (larghezza agli ischi) che si riducono progressivamente di circa 6 cm. Questa particolare conformazione della groppa (ad imbuto) e la maggiore statura, risultano fondamentali per ottenere soggetti meno predisposti al prolasso vaginale e/o uterino.

Le anomalie della conformazione scheletrica dei soggetti e principalmente della regione della groppa possono essere congenite o acquisite durante l’accrescimento, in particolare nelle prime fasi della vita, quando siano impiegati succedanei del latte inidonei a promuovere nei soggetti un armonico sviluppo, vengano adottate diete carenti protratte nel tempo o il fronte della mangiatoia sia insufficiente e penalizzante per i soggetti in accrescimento più deboli del gruppo, oppure in quei soggetti colpiti da ripetuti episodi di patologie enteriche nei primi tre mesi di vita che causano un alterato assorbimento minerale a livello intestinale (Sindrome da malassorbimento). È infatti necessario ricordare che l’accrescimento del tessuto osseo e, quindi, la normale conformazione del soggetto, groppa compresa, avviene proprio nella fase di svezzamento, per cui errori alimentari o patologie in questa fase possono modificare la normale conformazione morfologica delle regioni zoognostiche e predisporre il bufalo al prolasso. Per tale motivo, i succedanei del latte utilizzati per vitelli bufalini dovrebbero tener conto del rapporto Ca:P (1,73; Ca 1,8 – 2 g/Kg, P circa 1,1g/Kg) presente nel latte materno, rispetto al latte bovino (1,33; Ca 1,1 g/Kg, P 0,8g/Kg). Inoltre, la diversa capacità di assunzione degli alimenti (2,4% vs 2% del P.V. rispettivamente per il bovino e il bufalo) che caratterizza i primi mesi di vita delle due specie comporta, in condizioni di allattamento naturale, una ingestione di principi nutritivi che penalizza il vitello bufalino rispetto al bovino non per Kcal assunte bensì per proteine, lattosio, Ca e P. Maggiore risulta invece la quantità di lipidi ingerita che, a nostro avviso, annulla la differenza esistente tra la quantità di proteine assunta dalle due specie in quanto ne esalta l’utilizzazione nel bufalo diminuendo notevolmente la quota di aminoacidi utilizzati per esigenze energetiche. In considerazione che non esistono sostanziali differenze di peso tra le due specie e che l’apparato scheletrico incide in misura maggiore nel bufalo, è ipotizzabile che la minore quantità di Ca ingerita da quest’ultimo debba dipendere da una migliore assorbibilità del Ca del latte bufalino, in quanto maggiore è la quantità legata alle proteine. Tra le cause scatenanti il prolasso vaginale e/o uterino nelle fasi immediatamente precedenti o successive il parto, è possibile identificare:

  1. Macrosomia fetale: responsabile del prolasso soprattutto nelle primipare e nei soggetti di piccola mole o con angustia pelvica. In tal caso sarebbe opportuno ridurre la stretta consanguineità all’interno dell’allevamento ed eliminare i tori che generano vitelli macrosomici.
  2. Lacerazioni della vagina e/o del perineo: la problematica si evidenzia soprattutto nei soggetti più deboli, che non sempre riescono a sottrarsi alle offese di quelli più robusti, dal momento che nella specie bufalina sono molto evidenti i fenomeni gerarchici.
  3. Fenomeni infiammatori dell’apparato urinario di natura traumatica o infettiva: pur essendo un’evenienza alquanto sporadica, stati infiammatori dell’apparato urinario, vescica in particolare (es. pielonefriti), e digerente in secondo luogo, possono scatenare l’evenienza patologica;
  4. Fenomeni flogistici a carico dell’apparato digerente (enterotossiemie): forme di enterotossiemie sostenute soprattutto dal genere Clostridi, molto simili a quelle che si riscontrano negli ovini, che agendo a livello del digerente e comportando manifestazioni diarroiche, peraltro favorite da diete ricche in proteine e/o in energia fermentescibile, determinano squilibrio minerale, tenesmo, ritenzione di placenta e prolasso vaginale.
  5. Somministrazione di alimenti non idonei: alimenti ammuffiti e impiego di diete eccessivamente fermentescibili o caratterizzate da quantità elevate di proteine sono tra le cause più frequenti riscontrabili nella pratica. Maggiori danni si riscontrano quando la disponibilità del fronte della mangiatoia non consente anche ai soggetti meno vigorosi un sufficiente approvvigionamento alimentare. In tal caso essi ingeriranno gli scarti rappresentati dagli alimenti ammuffiti mentre le bufale più vigorose assumeranno quantità superiori a quelle stabilite di insilato e concentrato che predispongono alle enterotossiemie e alle clostridiosi, similmente a quanto si verifica nella pecora a fine gestazione. Sono di solito i soggetti più forti e quelli più deboli ad essere interessati dal prolasso. Diete caratterizzate da elevate quantità di insilato e/o concentrati (> 59%) eccessivamente fermentescibili, determinano acidosi metabolica, responsabile sia di una maggiore incidenza di prolasso uterino, per idratazione ipotonica dell’organo prima del parto, sia di una maggiore incidenza di endometriti nei primi 60 gg dal parto. L’immissione in circolo di acidi organici, che si verifica in corso di acidosi subclinica, determina, infatti, un abbassamento delle resistenze immunitarie dell’organismo; ciò permette la colonizzazione dell’utero da parte di patogeni responsabili di fenomeni flogistici, e quindi di ipofertilità, accompagnata da una sofferenza epatica, testimoniata da valori più elevati di GGT e di LDH e, causata dal maggiore impegno da parte di quest’organo nella trasformazione dell’acido lattico in propionico. In tali soggetti, con acidosi subclinica sono stati osservati valori ematici elevati di P, unitamente a più alti livelli di Cu.
  6. Errori dietetici durante la fase dell’asciutta: è questa una delle principali cause imputabili al prolasso nella specie bufalina. La lunghezza del periodo di asciutta (circa 4 mesi) nella specie bufalina fa sì che carenze anche minime protratte per molto tempo, possano determinare danni notevoli che si riflettono sulle condizioni di salute nella successiva lattazione. In particolare, la carenza di P durante l’asciutta rappresenta una delle cause più frequenti di prolasso vaginale e/o uterino in questa specie. Nel razionamento della bufala durante l’asciutta è consigliabile integrare la razione con sali minerali al fine di apportare circa 45 g di Ca e 45 g di P, mantenendo il rapporto tra questi due elementi vicino all’unità. Gli eccessi di Ca, anche se minimi, determinano quiescenza delle paratiroidi, che non risultano pronte, a fine gestazione ed all’esordio della lattazione, a mobilizzare il calcio dalle ossa. Ciò determina alterazioni di un ottimale rapporto Ca:Mg a livello ematico utile al mantenimento del potenziale di membrana e, quindi, della permeabilità e dell’eccitabilità della fibrocellula muscolare liscia: un’alterazione del rapporto favorisce il rilasciamento della muscolatura utero vaginale, cui consegue atonia e, quindi, prolasso dell’utero. In soggetti con diete carenti in P si sono registrate, prima del parto, calcemia sempre al di sotto di 10 mg/dl, che scende a circa 8 mg/dl al momento del parto, e la fosfatemia sempre nella norma (5-6 mg/dl). L’integrazione con P innalza la calcemia, sollecitando le ghiandole che ne regolano l’omeostasi, innalzando i valori a 10 mg/dl durante l’asciutta e a circa 9 mg/dl subito dopo il parto. Ciò è ulteriormente dimostrato dal fatto che i soggetti che assumono una dieta con rapporto Ca:P vicino all’unità mostrano un innalzamento dell’ALP nelle prime fasi della lattazione, testimonianza di una pronta attivazione delle paratiroidi. In questi soggetti, infatti, è stata osservata una limitata oscillazione dei valori di calcio e magnesio. Un deficit giornaliero, ad esempio, di soli 10 grammi di calcio perpetuato per 60 giorni (durata dell’asciutta nella vacca) o per oltre 120 giorni (durata dell’asciutta nella bufala) causerà rispettivamente una carenza di 600 e 1200 grammi e, quindi, un depauperamento del 6,7% o del 13,3% delle riserve scheletriche di un soggetto adulto di circa 600 kg. Una pari carenza giornaliera di fosforo comporterà un depauperamento delle riserve scheletriche del 12% (vacca) o del 24% (bufala).

Pertanto, durante la fase di asciutta, e soprattutto nel periparto, è consigliabile:

  • non superare i 5-7 kg di insilato;
  • non utilizzare foraggi freschi in quanto la loro composizione minerale è la meno prevedibile;
  • impiegare esclusivamente fieni monofiti di graminacee e concentrati, in misura non superiore ai 2-3 kg, caratterizzati da una bassa fermentescibilità e in grado di fornire un giusto apporto di PG (800 g), sufficiente ad assicurare la copertura del fabbisogno;
  • somministrare un’idonea integrazione minerale, in grado di garantire un rapporto Ca:P vicino all’unità.

In conclusione, una corretta tecnica di allevamento, a partire dalla fase neo-natale, unitamente alla conoscenza e al soddisfacimento dei fabbisogni dei soggetti in tutte le fasi produttive rappresentano buone norme per ridurre una delle principali tecnopatie dell’allevamento della specie bufalina, in grado di incrementare l’ipofertilità e determinare un allungamento dell’intervallo interparto già condizionato dalle peculiari caratteristiche riproduttive di questa specie.

Autori: Roberta Cimmino1, Gianluca Neglia2

1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale per il Mezzogiorno, Via Salute, 2 – 80055 Portici, Napoli.

2 Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali – Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Via Delpino 1, 80137 Napoli