Le cisti ovariche rappresentano una delle patologie riproduttive storicamente più frequenti negli allevamenti di bovine da latte ad alta produzione. L’incidenza è variabile e dipende in larga misura dalla qualità delle strategie manageriali, può essere un problema molto serio nelle aziende caratterizzate da una gestione carente e lacunosa oppure rappresentare un’evenienza piuttosto rara nelle realtà con un management puntuale ed eccellente. Tradizionalmente viene definita ciste ovarica una formazione cistica di diametro superiore a 25 mm presente su una o entrambe le ovaie, in assenza di un corpo luteo, che persiste per un tempo superiore ai 10 giorni.

Dal punto di vista pratico è doveroso sottolineare che non si considerano patologiche le cisti accompagnate da un corpo luteo attivo o quelle la cui parete abbia uno spessore tale da far supporre la presenza di tessuto luteinico sufficiente a portare la progesteronemia ad un valore superiore a 0,5 ng/ml; quest’ultime formazioni sono identificate come cisti luteiniche e corpi lutei cavitari.  Diverso è il discorso sulla ciste follicolare, caratterizzata da una parete sottile e un quadro ormonale patogenetico peculiare che si esprime con una serie di sintomi clinici assai diversi; la maggior parte delle cisti follicolari non presenta alcun segno clinico (anaestro) mentre una parte minoritaria si contraddistingue per un’alterazione del comportamento estrale tale da determinare cicli estrali irregolari fino alla ninfomania.

In condizioni fisiologiche l’ultima fase dello sviluppo del follicolo vede protagonisti l’ormone follicolo- stimolante (FSH) e l’ormone luteinizzante (LH). In particolare, l’LH viene liberato dall’ipofisi con una frequenza sempre maggiore e coadiuva l’attività dell’FSH e di altre sostanze ad attività follicolostimolante (ad es. IGF-1) a completare la “maturazione” del follicolo preovulatorio. Sarà il follicolo, mediante la produzione crescente di estrogeni (estradiolo), a provocare una liberazione massiva di LH e determinare l’ovulazione.

La ciste ovarica è quindi una condizione patologica indotta dall’alterazione neuroendocrina dell’asse ipotalamo-ipofisi-ovaio: l’assenza di un picco pre-ovulatorio di ormone luteinizzante (LH) comporta la mancata ovulazione del follicolo di Graff che, aumentando di dimensione, diventa cistico.

La condizione patogenetica precedentemente esposta (assenza o insufficienza del picco preovulatorio di LH) riconosce una serie di fattori di rischio che, opportunamente gestiti, sono in grado di ridurre sensibilmente l’incidenza di questa patologia riproduttiva. Lopez Gatius e colleghi nel 2002 ha raccolto in un suo articolo una lista di fattori predisponenti le cisti ovariche individuati nelle seguenti condizioni:

  • BODY CONDITION SCORE. Un BCS eccessivo nel periodo dell’asciutta rappresenta uno dei maggiori fattori di rischio per la patologia da cisti ovariche (odds ratio: 4.3). l’ingrassamento può derivare dal fatto che le bovine vengono asciugate già grasse o perché incrementano il BCS in asciutta. Anche l’eccessiva perdita di peso dopo il parto predispone al rischio di maggiore incidenza di malattie riproduttive tra cui le cisti ovariche. Il motivo principale risiede nella maggiore esposizione alla steatosi epatica e all’esasperazione dell’equilibrio energetico negativo (BEN) la cui influenza sull’omeostasi ormonale e metabolica è ben conosciuta.
  • ALIMENTAZIONE. Il ruolo dell’alimentazione sull’attività ovarica è stato profondamente indagato ed è universalmente riconosciuta l’importanza di un corretto razionamento nell’avere una ripresa efficace dell’attività riproduttiva. Consapevole della difficoltà di ridurre in poche righe la complessità dei legami tra nutrizione e fertilità, in questa sede sarà sufficiente ricordare un paio di punti di importanza pratica: il ruolo diretto della quota dell’amido in razione sulla concentrazione ematica di propionato e glucosio, necessari per una liberazione puntuale e precisa di ormone luteinizzante (LH) e la quantità/qualità delle proteine ingerite essenziali per la sintesi epatica di IGF-1, tra i più potenti stimolatori dello sviluppo follicolare.
  • STRESS DA CALORE. La stagionalità è un fattore di rischio significativo incrementando la probabilità di incidenza di cisti ovariche di ben 2.6 volte qualora la bovina partorisse nel periodo estivo rispetto ai parti che avvengono nel periodo invernale. Ciò è imputabile all’effetto dello stress da calore (THI maggiore di 72) sulla fertilità ed in particolare sullo sviluppo follicolare. Il meccanismo patogenetico che porta alla ciste ovarica in seguito all’esposizione cronica al calore eccessivo prevede due percorsi che agiscono sinergicamente: l’esasperazione dell’equilibrio energetico negativo (BEN) per una ridotta ingestione di alimento e l’interferenza delle alte temperature sulla fase finale dello sviluppo follicolare e la steroidogenesi.
  • MALATTIE PUERPERALI. Quando la bovina è affetta da una qualsiasi malattia del puerperio (gemellarità, metrite, chetosi, dislocazione dell’abomaso etc.) è esposta ad una probabilità doppia di sviluppare patologia da cisti ovariche. In particolare, sembra che l’incidenza sia maggiore nel primo periodo che va dai 43 ai 49 giorni post-parto ma che la maggior parte si risolva spontaneamente entro il periodo volontario d’attesa, soprattutto quando le malattie puerperali sono trattate tempestivamente e con successo.
  • QUANTITA’ DI LATTE PRODOTTO. Una produzione elevata di latte è correlata positivamente al rischio di sviluppare cisti ovariche. la spiegazione potrebbe essere duplice: un’esasperazione dell’equilibrio energetico negativo nelle vacche maggiormente produttive ed un’alterazione sensibile del metabolismo degli ormoni; in riferimento a quest’ultimo punto è utile ricordare che le vacche ad elevata produzione si distinguono per un flusso elevatissimo di sangue attraverso il fegato e questo comporta delle inevitabili ripercussioni sul catabolismo degli ormoni che si esprime con concentrazioni ematiche ormonali decisamente inferiori.
  • EREDITABILITA’. La maggior parte degli studi presenti in letteratura sono concordi nell’attribuire un’ereditabilità piuttosto bassa per la malattia da cisti ovariche e per i tratti sanitari in generale. Il ruolo dei fattori ambientali è decisamente preponderante. Tuttavia, la componente genetica non può essere ignorata dal momento che in un sistema di selezione artificiale anche i caratteri a bassa ereditabilità, nel tempo, sono in grado di fissarsi nella popolazione ed esprimersi con una certa rilevanza. Negli ultimi anni alcune scoperte interessanti cercano di fare luce su questi aspetti e, sebbene sia necessaria una doverosa cautela di interpretazione, sono disponibili alcune evidenze. Guarini e colleghi nel 2019, in uno studio volto a descrivere l’aspetto genetico di alcune malattie riproduttive nelle bovine di razza Holstein in Canada conferma la bassa ereditabilità di alcune malattie riproduttive (ritenzione di placenta, metrite e cisti ovariche) ma mette in evidenza le alterazioni di alcune proteine enzimatiche, come la malato deidrogenasi (che interviene nel ciclo di Krebs), presenti con maggiore frequenza nelle bovine con cisti ovariche. Queste evidenze sono corroborate da una ricerca di Zhao et al. del 2012 che dimostra una forte correlazione tra l’alterazione di alcuni enzimi del ciclo di Krebs e la sindrome dell’ovaio policistico nella donna. La possibile ereditabilità di questi caratteri complessi andrebbe quindi ricercata nelle modificazioni genetiche trasmissibili che riguardano alcuni enzimi coinvolti nelle vie metaboliche che, indirettamente, determinerebbero le disfunzioni riproduttive.

La patologia da cisti ovariche è una condizione patologica che merita un’attenzione particolare nell’ambito della gestione riproduttiva degli allevamenti di bovine da latte. Se il management è eccellente, l’incidenza è spesso contenuta, la maggior parte (almeno il 60 – 70%) regredisce spontaneamente entro il termine del periodo volontario d’attesa ed il resto risponde molto bene alla terapia farmacologica permettendo l’ingravidamento senza particolari difficoltà. Diverso il caso in cui si metta in evidenza un’incidenza piuttosto elevata, superiore al 10% delle bovine dopo la fine del periodo volontario d’attesa o alla diagnosi di gravidanza; in questo caso il reperto di ciste ovarica rappresenta un valido campanello d’allarme (purtroppo tardivo!) sulla necessità di rivedere il management del periodo di transizione e della prima fase di lattazione. Affidarsi unicamente alla terapia, senza rimuovere i fattori di rischio, è un atteggiamento miope e pericoloso dal momento che comporta un dispendio di tempo, l’aumento dei giorni open (parto concepimento) ed il conseguente rischio di riforma delle bovine se queste non dovessero rimanere gravide entro i giorni stabiliti dalle regole aziendali.