La malattia cistica dell’ovaio colpisce la bovina da latte principalmente nel periodo postparto ed è caratterizzata dalla presenza di strutture ovariche anovulatorie. La patogenesi è multifattoriale e correlata all’induzione non sincrona dei recettori LH nelle cellule della granulosa e della teca durante la maturazione del follicolo, oppure alla desensibilizzazione dei recettori stessi. La degenerazione cistica rappresenta tutt’oggi una delle più comuni patologie riproduttive del post-parto.

Essa ha un grande impatto economico determinato dai seguenti fattori:

• Aumento del parto concepimento fino a sessantaquattro giorni
• Aumento dei soggetti riformati
• Aumento delle spese sanitarie

La definizione classica di “cisti ovarica” fa riferimento ad una struttura follicolare anovulatoria con un diametro di oltre venti millimetri persistente per almeno sette giorni in assenza di corpo luteo.

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Le cisti ovariche sono distinte con maggiore accuratezza, ecograficamente o anche manualmente, in follicolari e luteiniche.

Cisti follicolari e loro caratteristiche:

• Singole o multiple
• Parete sottile (inferiore o uguale a 3 mm)
• Bordo regolare
• Forma sferica
• Omogeneamente anecogene
• P4 inferiore ad un microgrammo/millilitro

Cisti luteiniche e loro caratteristiche:

  • Singole o multiple
  • Parete ispessita (oltre 3 mm)
  • Bordo irregolare
  • Anecogenicità disomogenea (ragnatela interna)
  • P4 superiore a un nanogrammo/millilitro

Sappiamo tuttavia che sia le dimensioni minime delle formazioni follicolari, sia il grado di luteinizzazione non hanno un significato assoluto da un punto di vista operativo. Le cisti si formano prevalentemente nei primi sessanta giorni di lattazione, spesso sono già percepibili entro i venti giorni dopo il parto e hanno una durata di circa dieci-quindici giorni. Circa il 50-60% delle suddette cisti vengono progressivamente sostituite da altre cisti. Durante queste fasi si possono verificare guarigioni spontanee che si riducono con il passare del tempo (dal 50% entro i cinquanta giorni dal parto al 20% dopo tale periodo). Le ipotesi eziopatogenetiche sono molte; è però assodato che è l’incapacità degli estrogeni di stimolare la liberazione del GNRH dai centri ipotalamici deputati al rilascio del picco preovulatorio di LH. Questa ipotesi è supportata dal fatto che la sensibilità ipotalamica degli estrogeni viene recuperata entro sei settimane dall’exeresi delle ovaie cistiche. Ciò lascia supporre che il fattore inibente il rilascio di LH possa essere di origine ovarica. L’attività steroidogenica delle cisti è diversa da quella di un normale follicolo, con
quantità di P4 nel liquido cistico più elevato che nel contenuto di un normale follicolo preovulatorio o di follicoli in corso di atresia.

Da considerare come fattori di rischio in grado di condizionare il comportamento ovarico sono i seguenti:

  • Variazioni periparto
  • Stagione del parto
  • Patologie puerperali (ritenzione placenta, metrite, ecc.)
  • Stress produttivo con ipersurrenalismo e β-endorfine
  • Età e numero dei parti
  • Genetica
  • Alimentazione (transizione scorretta con crisi energetica grave essenziale o mediata da ipocalcemia subclinica)

L’incidenza della patologia degenerativa è molto variabile e non solo per motivi oggettivi. Il numero dei rilevamenti dipende anche, infatti, dalla modalità di lavoro del ginecologo. I veterinari che come me seguono la vacca dall’immediato postparto sino alla fine del
periodo di riposo volontario, ovviamente, rileveranno più cisti rispetto a quelli che iniziano le rilevazioni ginecologiche più tardivamente. Ancora meno ne saranno riscontrate se le suddette visite ginecologiche vengono totalmente sostituite da automatismi farmacologici che portano la fecondazione a tempo determinato (double Ovsync, Presync/Ovsync, PG2G6 ecc.).

Personalmente ritengo importante l’esecuzione di precoci test ginecologici per utero e successivamente anche per ovaie, e al tempo stesso un’accurata valutazione della BCS, replezione ruminale, aspetto delle feci, ecc. Questo non vuol dire che tutte le cisti, o presunte tali, debbano essere curate, ma significa solo raccogliere un dato statistico insieme ad altri valori biochimici eventualmente rilevati da segnalare per correggere possibili errori nella gestione del management ambientale o alimentare (vedi Transition Cow Index – TCI).

I grafici riportati qui di seguito rappresentano l’incidenza numerica, e la conseguente incidenza percentuale, rilevate nel corso del periodo compreso tra il 2004 e il 2013 negli allevamenti che seguo come tecnico SATA. I suddetti dati si riferiscono a cisti ancora
presenti dopo il quarantacinquesimo giorno dal parto.

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Le terapie praticabili sono di diverso genere, tutte valide e non forzatamente alternative le une alle altre. Quelle riportate qui di seguito sono quelle che io stesso pratico abitualmente.

Metodi meccanici:

• Rottura manuale (da eseguirsi esclusivamente per cisti a parete molto sottile e di piccole dimensioni. Ricerche recenti hanno dimostrato l’innocuità di questa pratica)

• Aspirazione cieca o ecoguidata

P4: CIDR o PRID per nove-quattordici giorni. Questa terapia trova spiegazione nella capacità di modulare l’azione dell’asse ipotalamo-ipofisario riducendo la pulsatività del LH, sincronizzando nuove ondate follicolari che producono follicoli preovulatori al termine della sua azione.

HCG: spiccata attività LH simile è in grado di causare la luteinizzazione delle cisti o l’ovulazione di follicoli compresenti con conseguente aumento della progesteronemia. Le dosi possono variare da 1.000 fino a 30.000 unità.

GNRH: induce liberazione netta e rapida di un picco di LH entro sessanta minuti dall’e.v con ritorno a livelli basali in settantadue ore. È in grado di determinare la luteinizzazione della cisti e l’ovulazione di follicoli compresenti con successiva insorgenza di una fase luteale.

Le dosi consigliate sono:

  • 50 microgrammi di Lecirelina
  • 20 microgrammi di Buserelin
  • 100 microgrammi di Gonadorelina

Le terapie indicate non sono necessariamente alternative le une alle altre, ma possono essere utilizzate insieme o in sequenza.
Alla luce di tutte queste considerazioni, è importante porre l’accento sul fatto che la degenerazione cistica è espressione di un disturbo metabolico di origine ambientale e alimentare. Il rilevamento per via ecografica o manuale non deve essere fine a se stesso,
ma deve servire per un’analisi dei fattori di rischio in un’ottica di prevenzione.