Quando un operatore sceglie di certificare fa volontariamente un passo avanti rispetto al modus operandi adottato fino a quel momento ed intraprende una strada che non è semplicemente forma, ma soprattutto sostanza. Certificare un servizio, un processo, un sistema o un prodotto è per l’imprenditore un investimento importante sia in termini economici che di impegno continuativo nel tempo. Il punto di partenza dovrà essere perciò in grado di sostenere l’allineamento ad uno standard o norma, ma dovrà anche produrre un ritorno economico in grado di giustificare l’investimento. Gli sforzi globali devono essere comunicati in modo chiaro e non ingannevole al consumatore o all’attore della filiera destinatario del servizio/prodotto.

La certificazione è una procedura volontaria attraverso la quale un organismo di terza parte, accreditato (ente di certificazione), dichiara la conformità di un prodotto, servizio, sistema, processo o persona rispetto ad una norma o standard. La caratteristica di indipendenza dell’ente terzo rispetto all’elemento da certificare è verificata ed accreditata dall’Ente di accreditamento. In Italia, Accredia è l’Ente Unico nazionale di accreditamento designato dal governo italiano che ha il compito di attestare competenza, indipendenza ed imparzialità degli enti di certificazione. Esistono diversi tipi di certificazione:

  • di sistemi di gestione, che per un’impresa significa rendere il proprio sistema di gestione efficace ed efficiente, ed avere uno stimolo all’innovazione di processi ed organizzazione aziendale; un esempio dal mondo alimentare è la ISO 22000 – Sistemi di Gestione per la sicurezza alimentare;
  • di prodotto o servizio, che fa riferimento a un bene, un servizio o un processo produttivo (si pensi a DOP, IGP e STG, nonché all’agricoltura biologica);
  • di persone, che attesta il possesso e il mantenimento nel tempo di abilità e competenze professionali di una persona rispetto a specifiche attività.

Il bene in oggetto, in questi scambi tra ente di certificazione ed impresa, sotto la “supervisione” dell’ente di accreditamento, è la qualità certificata, elemento che permette ad un’azienda di ingenerare fiducia nei propri acquirenti. Pertanto, la sostanza della certificazione è assicurare la qualità dell’oggetto di certificazione, garanzia legata al principio di terzietà che, a sua volta, sta alla base dell’affidabilità del sistema così stabilito. La posizione super partes dell’ente di accreditamento garantisce tutto questo.

Certificare un sistema di gestione, prodotto o servizio significa rispondere al bisogno di fiducia che gli attori di una filiera, consumatore incluso, chiedono in modo crescente nel contesto di un mercato sempre più dinamico, normato ed attento. D’altronde, la qualità è elemento di confronto anche tra concorrenti e permette di adottare strategie produttive e di mercato mirate, rafforzare la competitività e favorire una crescita dei consumi consapevole rispetto alla sicurezza del bene. In particolare, il consumatore negli ultimi anni ha sviluppato consapevolezza ed attenzione, alla costante ricerca di certezze che una certificazione può dare. Come esempio, possiamo prendere questo studio meta-analitico dei fattori che influenzano l’acquisto di alimenti biologici, con il quale i ricercatori hanno analizzato i fattori alla base dell’acquisto di alimenti biologici, su un campione di oltre 124 mila consumatori, riportati in 150 lavori pubblicati nell’intervallo di tempo 1991-2016. I risultati di questo studio dimostrano che gli attributi “credence” (sulla fiducia) riferiti al cibo biologico hanno un valore maggiore rispetto a “search” (sulla ricerca) ed “experience” (sull’esperienza). Ciò dimostra come il mercato sia influenzato dai benefici percepiti del cibo biologico rispetto a quelli degli alimenti prodotti in maniera convenzionale. Questi risultati non sminuiscono l’importanza degli attributi “search” ed “experience”, ma suggeriscono il ruolo predominante della credence, ovvero fiducia, durante l’acquisto di alimenti biologici.

L’uso distorto delle certificazioni causa sia danni al principio di libera concorrenza, e di conseguenza al corretto funzionamento del mercato, che danni diretti ai consumatori, che vedono tradita la fiducia riposta nella qualità certificata. Pratiche come questa comportano una frode in commercio. Un caso piuttosto famoso è quello legato a Prosciuttopoli.

Nell’importante ruolo di garanzia della qualità, la certificazione ha una duplice funzione: quella di informare sui “contenuti” garantiti e di distinguere l’oggetto della certificazione dal resto sul mercato. Come comunicare tutto il contenuto di una certificazione al consumatore finale? Lo strumento a disposizione è l’etichettatura. In realtà dire etichettatura ci limita, poiché questo termine corrisponde a qualunque “menzione, indicazione, marchio di fabbrica o commerciale, immagine o simbolo che si riferisce a un alimento e che figura su qualunque imballaggio, documento, avviso, etichetta, nastro o fascetta che accompagna o si riferisce a tale alimento” [Reg. (UE) n. 1169/2011]. Estendiamo quindi il tutto al concetto di fornitura di informazioni sugli alimenti, perché la comunicazione a distanza (web e altre modalità) rientra nel campo di applicazione del regolamento citato. Tutte le informazioni sugli alimenti, obbligatorie e volontarie, devono adempiere all’obbligo di pratiche leali d’informazione. Le informazioni non devono indurre in errore il consumatore per quanto riguarda le caratteristiche dell’alimento, attribuendogli effetti o proprietà che non possiede, suggerendo che abbia caratteristiche particolari quando in realtà possiede le stesse caratteristiche di altri prodotti analoghi sul mercato, suggerendo la presenza di un particolari alimenti o ingredienti, quando un componente o ingrediente naturalmente presente o normalmente utilizzato è stato sostituito con un diverso componente o ingrediente. Oltre ad essere precise, chiare e facilmente comprensibili, fatta salva l’esistenza di specifiche norme (indicazioni nutrizionali, acque minerali naturali ed alimenti per particolari usi nutrizionali), le informazioni sugli alimenti non devono attribuire proprietà di prevenire, trattare o guarire una malattia umana, né fare riferimento a tali proprietà. Inoltre, le informazioni sugli alimenti devono avere una solida base di verità, che sia dimostrabile.

Quindi, per informare il consumatore delle caratteristiche distintive di qualità di un alimento rispetto agli altri sul mercato, può la certificazione rendere dimostrabile, con ragionevole affidabilità, tutto questo? La risposta è sì. Ecco perché non si può ridurre il bene certificazione, qualunque cosa essa vada ad assicurare, ad un mucchio di carte e documenti firmati. Quelle carte sono la concretizzazione e prova scritta di un lavoro complesso ed anche impegnativo per l’operatore.