Nel 1997 l’Italia ha ratificato il protocollo di Kyoto che impone ai paesi firmatari obblighi vincolanti di riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra (greenhouse gases, GHG). I gas serra, detti anche climalteranti, oggetto delle azioni di riduzione sono: l’anidride carbonica (CO2) prodotta principalmente dall’impiego di combustibili fossili; il metano (CH4) prodotto dalle discariche, dagli allevamenti e dalle coltivazioni di riso; il protossido di azoto (N2O) prodotto nel comparto agro zootecnico e nelle industrie chimiche; gli idrofluorocarburi (HFC), i perfluorocarburi (PFC) e l’esafluoruro di zolfo (SF6) impiegati nelle industrie chimiche e manifatturiere. Ognuno di questi gas ha un proprio potenziale nei confronti del riscaldamento globale (global warming potential – GWP) che esprime la loro capacità di esercitare l’effetto serra in relazione al potenziale della CO2 che viene presa come riferimento, e che per questo viene posta convenzionalmente uguale a 1. Con riferimento specifico ai due gas di interesse per il settore dell’allevamento animale, il CH4 e il N2O, questi hanno un potenziale riscaldante rispettivamente di 21 e 310 volte superiore a quello della CO2, mentre i composti fluorati, di interesse per settori produttivi diversi da quello zootecnico, hanno un potenziale di migliaia di volte superiore. Pertanto, 1 g di metano e di protossido di azoto esercitano un effetto riscaldante pari a quello esercitato da 21 e 310 grammi di anidride carbonica e ciò viene espresso rispettivamente in termini di 21 e 310 g di CO2 equivalente.
Lo strumento ufficiale di verifica degli impegni assunti a livello internazionale con il protocollo di Kyoto è l’inventario nazionale delle emissioni e degli assorbimenti dei gas ad effetto serra. In Italia, la funzione di contabilizzazione delle emissioni è svolta dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA).
L’inventario nazionale delle emissioni di gas serra più recente è datato 2014 ed è riferito all’anno 2012. Il documento indica che in Italia il settore agricolo rappresenta la seconda fonte di emissione tra i diversi comparti esaminati (7,5% dell’intera quota di emissioni nazionale) e che le emissioni di CH4 (da fermentazione enterica e da deiezioni) e N2O (da deiezioni) derivanti dal comparto zootecnico, espresse in CO2 equivalente, rappresentano il 51,4% del totale delle emissioni riconducibili all’agricoltura. Con riferimento specifico all’allevamento animale, in termini di CO2 equivalente le emissioni di metano ammontano al 70,1% di quelle totali di GHG riconducibili al comparto, mentre quelle di protossido di azoto rappresentano il restante 29,9%. Inoltre, sempre in termini di CO2 equivalente, dall’analisi dei dati emerge che il 60,4% del totale delle emissioni deriva dalla fermentazione enterica mentre il restante 39,6% origina dalle deiezioni. Nella tabella 1 sono riportati i livelli di emissione da fermentazione enterica e da deiezione delle principali specie animali allevate in Italia, calcolati sulla base di quanto riportato nell’ultimo inventario nazionali delle emissioni. Ebbene, i dati riportati testimoniano come i ruminanti nel loro complesso siano la fonte di oltre l’80% del totale delle emissioni climalteranti del comparto zootecnico Italiano, e di come la fonte principale di produzione sia rappresentata dalla fermentazione enterica.
Anche se al momento attuale l’Italia non si è ancora formalmente impegnata a ridurre le emissioni ascrivibili al settore zootecnico, nella nota che seguirà (Allevamento dei ruminanti e cambiamenti climatici: sfide e opportunità. 2. Interventi di mitigazione) verranno presi in esame i possibili interventi strutturali e/o gestionali che possono permettere di ridurre le emissioni di gas climalteranti nell’allevamento dei ruminanti. Nel linguaggio tecnico internazionale questi interventi vengono definiti interventi di mitigazione.
Tabella 1. Emissioni totali espresse in giga grammi (Gg), di CH4, N2O e di CO2eq per specie/categoria animale allevata in Italia
Autori: Andrea Vitali, Nicola Lacetera
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