La Febbre Q (da Query Fever, come inizialmente definita) è una zoonosi (malattia potenzialmente trasmissibile all’uomo) descritta per la prima volta nel 1935 tra i lavoratori di un macello in Australia e successivamente riconosciuta in tutto il mondo; in Italia, i primi casi di Febbre Q risalgono al 1944-45. La Febbre Q è considerata una malattia emergente o riemergente in Italia, come nel resto d’Europa, probabilmente anche a causa del progresso nelle tecniche diagnostiche che oggi permettono di rilevare facilmente l’infezione anche quando la sintomatologia è modesta o assente. Di seguito cercheremo di dare risposta ad alcune domande sulla Febbre Q.

1) E’ un batterio o un virus? C. burnetii è un piccolo batterio che però si comporta quasi come un virus. Infatti è un “parassita intracellulare obbligato” in quanto per moltiplicarsi entra nelle cellule, in particolare quelle del sistema immunitario (macrofagi e monociti). Recentemente è stato riclassificato nell’ordine Legionella (batteri simili a quelle che causano nell’uomo il “morbo dei legionari”).

2) Chi infetta? Coxiella burnetii colpisce i mammiferi (incluso l’uomo) domestici (ruminanti in particolare) e selvatici, uccelli e artropodi (zecche in particolare).

3) Come si trasmette? I ruminanti infetti rappresentano il principale serbatoio di Febbre Q per l’uomo. Gli animali infetti eliminano C. burnetii nell’ambiente soprattutto attraverso gli invogli fetali (in corso di aborto o parto normale), ma anche attraverso le secrezioni vaginali, le urine, le feci, lo sperma e il latte. La principale via di infezione nell’uomo e negli animali è l’inalazione di aerosol e di polveri contaminate. I sintomi nell’uomo sono quelli di una sindrome influenzale con possibili complicazioni cardiache croniche. Il consumo di latte crudo o altri prodotti derivati può essere considerato come una possibile, anche se non molto efficiente, via di trasmissione della malattia. In ogni caso la pasterurizzazione distrugge completamente il patogeno.

4) Quanto è resistente nell’ambiente? C. burnetii è molto resistente agli agenti chimici e fisici e può produrre forme simili a spore in grado di sopravvivere per diverse settimane nell’ambiente esterno, facilmente diffusibili attraverso il vento, e quindi facilmente inalabili.

5) Quali sono i sintomi nel bovino? Dal punto di vista clinico, soprattutto nei piccoli ruminanti ed in particolare nella capra, C. burnetii può provocare aborti, natimortalità e parti prematuri, mentre infertilità e metriti sono spesso gli unici segni clinici osservabili nel bovino. Recentemente è stato dimostrato che l’infezione da C. burnetii può influenzare il tasso di ritenzione placentare, l’intervallo parto-concepimento ed il tasso di gravidanze precoci (<90gg), mentre non ha influenza sul tasso di aborti post 90 giorni e sulla natimortalità.

6) Come si diagnostica? Il modo migliore per fare diagnosi è la ricerca diretta del batterio da feti abortiti, placenta e invogli fetali e tamponi cervico-uterini mediante PCR. Utilissima è la ricerca in PCR sul latte di massa.

7) Quanto è diffusa? Dati pubblicati riportano % di stalle da latte infette che variano dal 40 al 70%. Dati recenti (vedi tabella) riportano una % di positività pari al 44,4% (G.Valla-dati personali).

8) E’ possibile limitare l’infezione? Misure sanitarie indispensabili sono la rimozione e distruzione degli invogli fetali e dei feti abortiti (non gettare nella letamaia) e un igiene accurato in sala parto.

9) E’ possibile un trattamento antibiotico? L’antibiotico di elezione è la tetraciclina (due inoculazioni di un prodotto LA alla dose di 20 mg/kg ripetuto a distanza di due settimane). L’efficacia del trattamento è comunque limitata dal fatto che non è in grado di controllare l’infezione a lungo termine (servirebbero somministrazioni estremamente prolungate, economicamente non sostenibili).

10) E’ possibile vaccinare? Sì, di recente è stato reso disponibile anche in Italia un vaccino inattivato efficace nel controllo dell’infezione.

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