Il dizionario Treccani riporta la seguente definizione del termine antibioticoresistenza: “insensibilità di un microrganismo all’azione batteriostatica o battericida di un antibiotico, per spontanea refrattarietà, oppure come conseguenza di mutazioni che consentono al batterio di neutralizzare l’azione dell’antibiotico”.
Dalla definizione appare evidente che la resistenza agli antibiotici può essere suddivisa in due categorie principali: una resistenza intrinseca ed una resistenza acquisita. In questo articolo descriveremo i principali meccanismi attraverso i quali i batteri esprimono la loro resistenza alle sostanze dotate di attività antimicrobica.
La resistenza intrinseca, indicata anche come innata, primaria o naturale, si riferisce allo stato di normale insensibilità di gruppi di batteri verso alcune tipologie di antibiotici o classi di antimicrobici. Per esempio, la mancanza della parete cellulare determina la naturale resistenza dei micoplasmi all’attività microbicida delle penicilline e delle cefalosporine. Queste sostanze, che hanno come principale target la sintesi strutturale della parete batterica, non hanno alcun effetto sui micoplasmi che ne sono naturalmente privi. La resistenza intrinseca deriva anche dalla difficoltà oggettiva da parte dell’antibiotico di raggiungere il target. Per esempio, la vancomicina, a causa del suo peso molecolare elevato, non ha la capacità di attraversare la membrana esterna dei batteri Gram negativi rendendoli particolarmente resistenti alla sua attività microbicida.
La resistenza acquisita si manifesta quando alcuni batteri, precedentemente sensibili ad un antibiotico, diventano improvvisamente insensibili.
Questo fenomeno può avvenire in seguito ad una mutazione cromosomica oppure per acquisizione di materiale genetico esterno derivante da popolazioni batteriche distinte. Le mutazioni cromosomiche sono eventi relativamente rari e, di norma, vengono regolarmente corrette dai meccanismi cellulari fisiologici. A meno che non risultino essere particolarmente vantaggiose per i microrganismi, queste mutazioni si fissano con difficoltà in una popolazione batterica. L’acquisizione di materiale genetico esterno è senza dubbio l’arma più potente (e più temibile) posseduta dai batteri.
Nel 1959 la scoperta dei plasmidi-R in Giappone rivoluzionò lo studio dell’antimicrobicoresistenza. I plasmidi sono dei piccoli frammenti circolari di DNA presenti nel citoplasma dei batteri e separati dal cromosoma. Non svolgono funzioni essenziali ma conferiscono ai batteri delle proprietà speciali e quando veicolano i geni codificanti per l’antibioticoresistenza si definiscono plasmidi-R. La caratteristica più importante dei plasmidi è quella di poter essere trasferiti da un batterio ad un altro, non solo tra batteri della stessa specie ma addirittura tra batteri di generi e famiglie differenti, a patto che siano filogeneticamente affini.
Nel 1974 vennero poi scoperti i trasposoni. Questi sono degli elementi genetici che, nei batteri, sono in grado di spostarsi da una posizione ad un’altra all’interno dell’unico cromosoma, ma anche sui plasmidi o sui fagi (virus dei batteri). Quando si integrano nei plasmidi-R o nei fagi possono essere agevolmente trasferiti e quindi scambiati tra i batteri, e rappresentano un ulteriore meccanismo di formazione e amplificazione dei caratteri di antibioticoresistenza.
Ora individueremo e descriveremo i quattro meccanismi di resistenza espressi dai batteri:
- Inattivazione enzimatica che avviene attraverso la distruzione o la modificazione chimica dell’antibiotico.
- Riduzione dell’accumulo nella cellula che prevede l’esistenza di meccanismi che riducono l’ingresso della sostanza oppure promuovono l’allontanamento dell’antibiotico all’esterno della cellula (pompe di efflusso).
- Produzione di biofilm da parte di una comunità costituita da un microrganismo principale oppure da un’ampia varietà di batteri differenti.
- Modificazione del target attraverso la mutazione, la modificazione chimica o la protezione dei siti target.
La resistenza intrinseca si manifesta principalmente attraverso i meccanismi di riduzione dell’ingresso nella cellula, inattivazione dell’antibiotico e pompe di efflusso, mentre la resistenza acquisita opera prevalentemente con sistemi di modificazione del target, inattivazione dell’antibiotico e pompe di efflusso.
Inattivazione enzimatica
L’inattivazione dell’antibiotico può avvenire in due modalità distinte che prevedono una vera e propria degradazione della molecola oppure il trasferimento di un gruppo chimico alla sostanza.
Le β-lattamasi sono un ampio gruppo di enzimi che esercitano la loro attività idrolizzando (rompendo) la struttura chimica comune alle penicilline e le cefalosporine: l’anello β-lattamico. L’attività antibiotica delle β-lattamine ne risulta irreversibilmente danneggiata.
L’inattivazione dell’antibiotico in seguito al trasferimento di gruppi chimici alla sostanza è sostenuta da un nutrito gruppo di enzimi (transferasi) che catalizzano il trasferimento di gruppi acili, fosfati, adenilici ecc. indebolendo o inattivando la sostanza. Per esempio, l’acetilazione (aggiunta di un gruppo acetile) è un meccanismo di resistenza espresso verso il cloramfenicolo e i fluorochinoloni, mentre la fosforilazione (aggiunta di un gruppo fosfato) viene espressa contro gli amminoglicosidi.
Riduzione dell’accumulo nella cellula
Un antibiotico, per poter svolgere la sua funzione batteriostatica o battericida, deve necessariamente raggiungere una concentrazione efficace all’interno della cellula batterica. Esistono due meccanismi attraverso i quali i batteri riescono a contrastare il raggiungimento di una concentrazione efficace: riduzione dell’ingresso e aumento dell’espulsione della sostanza. Il primo meccanismo prevede la modificazione del numero o della permeabilità di proteine specifiche di membrana chiamate porine. Il secondo consiste nell’aumento di numero delle cosiddette pompe di efflusso. Le porine sono delle proteine transmembrana che permettono il trasporto passivo da un versante all’altro di una membrana. Esistono due meccanismi attraverso cui le porine impediscono o limitano fortemente l’ingresso di sostanze: una riduzione del numero e delle mutazioni che modificano l’affinità per le sostanze. È emblematico il caso di alcune Enterobatteriaceae che, come meccanismo di resistenza ai carbapenemi, esprimono la riduzione (fino alla scomparsa totale) del numero di porine.
Le pompe di efflusso sono delle proteine di membrana in grado di espellere attivamente le sostanze che si accumulano nelle cellule. I batteri posseggono numerosi geni codificanti per la sintesi delle pompe di efflusso. Alcune di esse sono normalmente espresse come proteine costitutive di membrana mentre altre sono indotte da una sovraesposizione a determinate sostanze come possono essere gli antibiotici. Esistono 5 famiglie di pompe di efflusso e si differenziano in base al sistema di trasporto utilizzato. La funzione originaria delle pompe di efflusso è quella di allontanare le sostanze tossiche dalla cellula batterica e sono comunemente utilizzate da numerose classi di batteri per esprimere l’antibioticoresistenza.
Produzione di biofilm
I biofilm batterici sono dei complessi conglomerati di microorganismi che aderiscono alle superfici e si trovano racchiusi in una matrice auto-prodotta di sostanze polimeriche extracellulari (EPS), principalmente composte da polisaccaridi, proteine e DNA. Tale matrice fornisce un sostegno strutturale e protezione per le cellule batteriche al suo interno. I biofilm possono essere caratterizzati da una predominanza di una singola specie, oppure possono essere costituiti da una varietà di popolazioni microbiche, come si osserva nel microbiota intestinale.
La formazione del biofilm conferisce diversi vantaggi ai batteri, inclusa una protezione efficace dalle risposte immunitarie dell’ospite e dagli agenti antimicrobici. La matrice EPS agisce come una barriera fisica, ostacolando la penetrazione delle cellule immunitarie e delle sostanze antimicrobiche.
Le cellule batteriche all’interno dei biofilm manifestano frequentemente una ridotta suscettibilità agli agenti antimicrobici che è determinata da diversi fattori:
- I batteri all’interno dei biofilm mostrano un’attività metabolica e dei tassi di crescita piuttosto lenti, rendendoli meno sensibili a quegli antibiotici che mirano alle cellule in fase di divisione attiva.
- La struttura densa ed eterogenea della matrice del biofilm ostacola la diffusione degli agenti antimicrobici e richiede concentrazioni più elevate per avere efficacia.
La stretta vicinanza delle cellule batteriche all’interno dei biofilm facilita lo scambio di materiale genetico, inclusi i geni di resistenza agli antimicrobici. Ciò aumenta il potenziale per la diffusione della resistenza agli antibiotici tra le popolazioni batteriche all’interno del biofilm e verso altri ambienti, rappresentando un pericolo significativo nella gestione delle infezioni batteriche.
Modificazione del target
Vi sono molteplici componenti nella cellula batterica che possono essere bersaglio delle sostanze antimicrobiche e altrettanti target che possono essere modificati dai batteri per consentire la resistenza a tali farmaci. Di seguito è riportata una serie di esempi per illustrare le varie modalità di sviluppo di antibioticoresistenza attraverso questo meccanismo.
I batteri gram-positivi possono sviluppare l’abilità di modificare la struttura e/o il numero delle Penicillin-Binding Proteins (proteine leganti la penicillina o PBP), coinvolte nella costruzione del peptidoglicano nella parete cellulare. Una variazione del numero delle PBP influisce sulla quantità di farmaco che può legarsi a quel bersaglio mentre la variazione della struttura può ridurre l’abilità del farmaco di legarsi o inibire totalmente il legame.
Le mutazioni a livello delle subunità ribosomiali possono conferire resistenza agli aminoglicosidi. Queste modifiche alterano la conformazione del ribosoma, riducendo l’affinità del farmaco per il suo bersaglio e compromettendo così la sua efficacia nel bloccare la sintesi proteica batterica.
La metilazione delle subunità ribosomiali è un altro meccanismo comune di resistenza agli aminoglicosidi e ai macrolidi. Questo processo comporta l’aggiunta di gruppi metilici alle subunità ribosomiali, interferendo con il legame del farmaco e riducendo la sua efficacia nel bloccare la sintesi proteica.
L’attività antimicrobica delle tetracicline può essere efficacemente contrastata da meccanismi di protezione ribosomiale, in cui delle specifiche proteine legano il ribosoma e impediscono al farmaco di raggiungere il suo sito bersaglio. Questo meccanismo riduce la capacità delle tetracicline di bloccare la sintesi proteica batterica.
Come evidenziato, i microrganismi hanno numerose possibilità di eludere l’effetto antibatterico delle sostanze ad attività antibiotica. Alcuni sistemi sono piuttosto semplici, altri invece sono decisamente più raffinati ed elaborati. In ogni caso, per qualsiasi antibiotico che si utilizzi, l’espressione di resistenza da parte dei batteri target è solo una questione di tempo per cui il nostro compito è quello di essere sempre coscienti e responsabili sia nella prescrizione sia nell’utilizzo.
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